Recensione: The Sacrament Of Sin

Di Gianluca Fontanesi - 30 Luglio 2018 - 0:02
The Sacrament Of Sin
Band: Powerwolf
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2018
Nazione:
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73

Squadra che vince non si cambia, i Powerwolf lo sanno molto bene e di certo non hanno bisogno di presentazioni. A distanza di tre anni dal precedente e fortunatissimo Blessed & Possessed, il quintetto di Saarbrucken torna con una nuova fatica discografica che metterà sicuramente d’accordo tutti: dai fans di vecchia data fino ai nuovi adepti passando per i novelli Savonarola e gli usanti lance di Longino come stuzzicadenti. La sacrestia, che si gioca il primato di più famosa assieme a quella dei Ghost, negli ultimi anni ha avuto e riscontrato un successo che definire roboante è anche riduttivo. Perché, direte voi. La risposta è molto semplice: i Powerwolf in ciò che fanno sono molto bravi e meritano di stare dove stanno assieme a Sabaton e compagnia kitsch andante. Non aspettatevi quindi cambiamenti rilevanti nel sound o in qualsiasi altra cosa ruoti attorno alla band tedesca, non ce n’è nemmeno il bisogno; The Sacrament Of Sin è un disco Powerwolf al 100% e con tutti gli elementi che li hanno resi quello che sono oggi, né più né meno.  

Il disco è composto da undici brani e ognuno di essi potrebbe tranquillamente essere un singolo; come Blessed & Possessed, sono tutti anthem da cantare a squarciagola ai concerti e a tratti esaltanti alla massima potenza. La produzione in casa Powerwolf è sempre più roboante e pompata e la voce del buon Attila (no, quello vero è un altro) non ne sbaglia una. L’accoppiata iniziale, usata anche come apripista all’album, è micidiale e di facilissima presa: Fire & Forgive è un’efficacissima cavalcata e la burla ecclesiastica di Demons Are A Girl’s Best Friend è irresistibile e non riuscirete a smettere di cantarla per tutto il resto della giornata. Killers With The Cross è un frizzantissimo andante con brio, ma il carico da undici arriva con la seguente Incense & Iron e il suo incedere folk assolutamente micidiale, solare e spensierato. E’ proprio sulla leggerezza che vanno accolti e interpretati i Powerwolf; probabilmente in maniera seria non ci si prendono nemmeno loro stessi  e va assolutamente bene così. A sorpresa entra ora in scena una ballad, Where the Wild Wolves Have Gone che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è uno dei brani migliori del disco e sicuramente avrà un posto fisso in tutte le future setlist della band. Il brano è bello, epico, trascinante e dal ritornello potente  e molto evocativo; se avevate dubbi sulle capacità compositive dei Powerwolf, questo fugherà ogni dubbio.

Stossgebet sembra il nome di una sinistra (e anche destra) sputacchiera montabile targata Ikea; Google  lo traduce come “scossa di preghiera” e, anche qui, il brano risulta riuscitissimo e con un piglio marziale inedito che si accoppia a un ritornello da stadio di presa immediata. Il gradiente di tamarraggine – ruffianaggine è a livelli siderali; per la massima resa dei Powerwolf però è una componente fondamentale e ci saremmo stupiti del contrario. Nightside of Siberia ha un riffing che sembra un brano a caso degli Amon Amarth e risulta un tentativo di ripetizione delle atmosfere sovietiche ben riuscite in Armata Strigoi, facendo cilecca e presentandosi come una sua brutta copia. La titletrack e Venom Of Venus invece accelerano e martellano a dovere: la prima con una cavalcata velocissima e la seconda facendo il verso ad Army Of The Night sia strutturalmente che vocalmente. Nel momento in cui si iniziano a percepire momenti di stanca e carenza di idee, il binomio Nighttime Rebel e Fist by Fist (Sacralize or Strike) risveglia l’ascoltatore chiudendo l’album in maniera potente e trascinante.

La prima cosa che possiamo dire ai Powerwolf alla fine della fiera viene quasi spontanea: non sarebbe ora di prendere un bassista in pianta stabile? Passi lo studio, ma suonare dal vivo senza è una scelta piuttosto incomprensibile e che andrebbe ripianata. Detto questo, The Sacrament Of Sin è sicuramente un bel dischetto: non ha di certo la pretesa di fare storia o scuola ma si difende piuttosto bene e i suoi  42 minuti di metal senza troppi arzigogoli li sfoggia senza problemi. Non sarà di certo un disco dalla longevità ventennale ma nemmeno uno da cestinare nel breve periodo, ed è in grado di regalare qualche grande soddisfazione. Vi ricordate qualche tempo fa quando girava una macchina da scrivere con una decina di parole sui tasti e la scritta “generatore casuale di testi dei Manowar”? Possiamo applicare, senza offesa ovviamente, la stessa cosa per i Powerwolf: fuoco e fiamme, latinismi, inquisizioni, liturgie, benedizioni e tutto ciò che possa riguardare una curia di campagna sotto effetto di acidi. L’immaginario dei tedeschi è questo, e la Napalm serviva prontamente una versione dell’album con tanto di sciarpone da prete, totalmente sold out e adattissima per le assolate spiagge d’Europa in compagnia del vostro cane Cerbero.

Concludiamo dicendo che, se in Blessed & Possessed furono i Powerwolf a coverizzare le loro band preferite, per Sacrament Of Sin è stato fatto l’esatto contrario: le edizioni speciali vengono quindi offerte con un intero disco bonus nel quale band come Epica, Amaranthe e via dicendo coverizzano gli stessi  Powerwolf. Di questo lasciamo la totale scoperta a voi e ci congediamo benedetti e posseduti, con la speranza che torni presto il ghiaccio.

 

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