Recensione: The Synarchy of the Molten Bones

Di Andrea Poletti - 25 Dicembre 2016 - 0:00
The Synarchy Of Molten Bones
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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80

La sinarchia è un ipotetico governo di un sistema gerarchico, nel quale si è ammessi, si permane o si esce esclusivamente in base alla propria conoscenza e alle proprie capacità o, più precisamente, in base ai propri meriti.

L’ipotetica sinarchia del black metal moderno dunque deve per forza avere al suo interno i Deathspell Omega, che quali macchina pulsante e tritaossa non riescono o non voglio sbagliare un colpo. Parlare dei transalpini è andare incontro alla perfezione del contemporaneo concetto di estremismo nel black metal, dove le capacità tecniche si fondono alla perfezione nel comparto esoterico sperimentale che vede la band francese sempre un passo avanti rispetto agli altri. “The Synarchy of the Molten Bones” come già arcinoto, dura poco meno di mezz’ora, paradossalmente ai canoni contemporanei viene considerato un vero e proprio full-lenght e si presenta in silenzio, senza grandi proclami ma con una dose di rabbia e malvagità che viene aumentata esponenzialmente rispetto alla precedente trilogia. Ciò che infatti lo differenzia della trilogia formata da “Si Monumentum Requires, Circumspice”, “Fas” e “Paracletus” è quella inaspettata ed indomata base su cui poggia l’intero lavoro, ossia la violenza; la violenza che rende questo nuovo album il giusto compromesso per capire cosa erano e cosa sono oggi la band, per far notare al mondo ciò che i Deathspell sanno creare senza duplicare. Quali esseri umani ognuno di noi ha due facce e questo nuovo, breve capitolo dimostra ancora come non si finisce mai di scoprire cosa il lato oscuro ci possa riservare, come loro possono suonare tutto, rimanendo fedeli alle loro coordinate stilistiche. Il precedente “Drought” ci aveva lasciato intravedere qualche spiraglio di sperimentazione maggiormente tendente all’atmosfericità, oggi quella parte è leggeremente rimasta in retrovia, rimanendo li in un angolo a monito di come chi vuole può fare tutto.

Quattro brani che non ridimensionano moltissimo le carte in tavola ma cercano di andare a trovare la potenza e l’intensità nello spazio di pochi minuti; se escludiamo infatti la suite ‘Onward where Most with Ravin I may meet’ tutto si assesta intorno ai sei minuti di media, in certi momenti pare quasi che i brani vogliano divincolarsi tra aperture più tendenti al doom per sottolineare maggiormente la violenza di altri passaggi attraverso tempi e soluzioni che diventano artefici di visioni astratte e maleodoranti. C’è puzza di catacombe dell’umanità in queste canzoni. Cosa emerge è la correlazione astratta tra le diverse tracce, come se ci fosse un piano comune per farle intrecciare e confluire all’interno di un grande dipinto, fatto col sangue e il dolore dell’ascoltatore di turno. Anche i testi suggeriscono che tutto è ipoteticamente legato, bisogna fondere le vecchie ossa (molten bones), distruggere il passato e andare avanti, oltre per sviscerare il satanismo interno ad ognuno di noi visto quale libertà, quale proclamazione della supremazia sulle ceneri del passato. La natura ingannevole che ci ha preceduto non deve distogliere l’essere umano dal fine comune, la distruzione dei preconcetti religiosi e bigotti per un futuro migliore. Denso, solido e incrinato dalla forme ancestrali di un trascorso burrascoso, oggi noi abbiamo la possibilità attraverso i Deathspell Omega di proporzionarci al meglio, per testare in via definitiva cosa significa creare musica satanica nel 2016, confrontandola con tempi antichi. Ottimo il lavoro alle pelli e magnifiche le sensazioni dissonanti che prendono vita nei giochi di chitarra di Hasjarl, la macchina oramai è collaudata e sbagliare diventa pressoché impossibile soprattutto dopo che da quel secondo magistrale “Inquisitors of Satan” di passi falsi non se ne sono mai riscontrati. Giunti alla fine dell’album si riescono a ritrovare le stesse atmosfere dell’inizio, come a voler sottolineare l’apertura e la chiusura del cerchio, come a confermare che la sinarchia è li, il cerchio dei poteri forti lo puoi distruggere ma immancabilmente tornerà a farsi vivo nella medesima sostanza, lo schifo dell’uomo non ci da pace.

Non v’è molto altro da dichiarare, i Deathspell Omega hanno creato l’ennesimo centro, l’ennesima conferma della loro superiorità e innata potenza creativa; “The Synarchy of the Molten Bones” è un tassello breve ma estremamente importante all’interno della discografia del gruppo che ci lascia intravedere un curioso futuro, come se le sperimentazioni non siano affatto finite. C’è ancora molto da scoprire all’interno del mondo Deathspell e noi siamo qui a braccia aperte ad attendere un nuovo capitolo, più oscuro, sempre meno caritatevole e con l’innata dose di anarchico intelligente satanismo: geniali, superiori.

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