Recensione: The Tragedy of Innocence

Di Alessandro Marcellan - 15 Gennaio 2007 - 0:00
The Tragedy of Innocence
Band: Prymary
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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83

E’ sempre difficile trattare argomenti delicati come quello affrontato nel 2° album dei californiani Prymary: l’abuso familiare sui minori, e il modo in cui esso va a ripercuotersi nella vita adulta. Ed è tanto più complicato se pensiamo che il concept è parzialmente autobiografico, traendo spunto da fatti realmente accaduti a Valerie Quirarte, moglie di Chris Quirarte, batterista e leader della band (attualmente in forza anche nei Redemption di Nick van Dyk). Il risultato, giunto dopo 3 travagliati anni di gestazione (con gran dispendio emotivo e accumulo di tensioni che hanno poi portato allo split con il bassista James Sherwood), è un disco che risente delle varie influenze dei membri della band (tutti coinvolti nel songwriting) per un metal progressivo non semplice, di buona personalità e dalle tinte inevitabilmente oscure e drammatiche, che cercheremo di descrivere seguendo la scansione temporale suggerita dagli stessi titoli delle tracce.

Valerie Quirarte: “Non sono l‘unica. Non sono la prima, e non sarò purtroppo l’ultima. Ma stavolta è successo a me. Questa è la mia storia…”

1. Dirty Room Part I – 25 years ago (2:55) (“La stanza sporca” – Età di Valerie: 5 anni). La narrazione si apre su un malinconico arpeggio chitarra-piano e la mesta voce di Valerie che annuncia: “Così tutto ebbe inizio…” (a rendere più realistico il dramma, si tenga presente che la voce narrante, che fa capolino in vari punti del disco, è stata prestata proprio dalla signora Quirarte). Pian piano entrano in scena la sezione ritmica e il vocalist Mike Di Sarro che, supportato da lancinanti lamenti di chitarra elettrica, dipana in una cantilena l’aberrante sevizia subita dalla bimba ad opera del padre: è un improvviso break strumentale d’impronta Fates Warning anni’90, introdotto dal basso distorto di Sherwood e da spaziali tastiere tra Derek Sherinian e gli Andromeda, a condurci nel fulcro della “perdita dell’innocenza”.

2. In My Shell – 22 years ago (7:34) (“Nel mio guscio” – Età: 8 anni). Si procede senza soluzione di continuità con il drumming ricercato di Chris Quirarte, che si farà apprezzare per tutto il disco con creativi pattern accostabili allo stile del “maestro” Zonder. Il brano presenta un grande assortimento di intuizioni ritmiche, melodiche e riffs, ma il clima generale resta introspettivo, ad esporre i tormenti e gli infondati sensi di colpa della piccola, che, sotto le minacce del genitore, finisce per chiudersi in sé stessa anche verso la madre ignara (con un camaleontico Di Sarro che a un certo punto fa il verso a Mustaine). Dopo un prepotente assolo di chitarra e la reprise di un ritornello molto “Pain of Salvation”, il pezzo si chiude sui suoni dell’innocenza: chitarra pulita, canto di uccellini, la voce della bambina che ingenuamente chiede “Where’s my daddy?”.

3. Soul Deceiver – 16 years ago (7:10) (“Ingannatore di anime” – Età: 14 anni). L’inizio è lento, pesante, praticamente “doom” (caratteristica che ritroveremo nel refrain), ma la dinamica non tarda a vivacizzarsi, esibendoci una precoce adolescente che scappa di casa dopo l’ennesima violenza (davvero sferzanti le liriche: “soffocami, violentami…io terrò dentro il dolore”). In generale, siamo di fronte a partiture fra le più complesse del platter, con dissonanze crimsoniane, episodi “jazzati” (retaggio degli studi di Sean Entrikin) e intricate soluzioni che hanno il loro precedente più immediato in “Metropolis”.

4. Oceans of Insolence – 15 years ago (5:54) (“Oceani di arroganza” – Età: 15 anni). Un pezzo emblematico del “Prymary sound”: da un lato, ancora contrasti ritmico-armonici (con l’ombra di Neil Peart), dall’altro frequenti aperture melodiche che rinviano nuovamente alla band di Matheos (stavolta “era Parallels”). Il tutto decorato dall’estro di chitarre e tastiere -con Smiley Sean anche in versione hammond– e da vocalizzi che approdano a fugaci accenni di scream/growl vocals. L’arroganza del titolo è il senso di onnipotenza del mondo maschile, ma per Valerie la facile concessione ad amori adolescenziali, strascichi di una mentalità “avvelenata” dal padre (consumati “…per essere sicura che loro mi avrebbero amato”) sarà anche -tra atmosfere pianistiche per la prima volta addolcite- la fonte di un segno di speranza: la nascita di un figlio, qui paragonato ad un “miracolo”. “Nata da una tragedia, una nuova vita cresce”

5. A Miracle – 14 years ago (5:38) (“Un Miracolo” – Età: 16 anni). In questa raffinata ballad, in bilico tra il neo-prog e i Porcupine Tree, si evidenziano alcune brillanti trasposizioni poetiche: gli oceani “malsani” della 4a traccia divengono qui acque benevole (“ancora la marea…temevo di affondare ma le acque mi hanno tenuto a galla”); la creatura messa al mondo col peccato consegna a Valerie una fase di relativa serenità e speranza (“31 agosto: un miracolo sorride al mio fianco…sarà lui la mia àncora in quest’oceano di arroganza”).

6. Born Again – 12 years ago (2:05) (“Rinata” – Età: 18 anni). Interludio melodico con vaghi richiami agli U2, che celebra il coronamento anche spirituale di questa fase della vita di Valerie: il matrimonio (“Un’anima gemella, con cui condividere tutto sotto la Casa di Dio”). Qui si chiude anche la sezione centrale “leggera” del disco.

7. Only Love – 3 years ago (6:10) (“Soltanto l’amore” – Età: 27 anni). Un duro accordo distorto tronca bruscamente le atmosfere morbide delle ultime due tracce. Valerie, dopo 9 anni di alti e bassi, è ancora lì a lottare coi fantasmi del passato, fra dubbi e ripensamenti messi in risalto da un basso allucinato e da tastiere oppressive sul modo che ha reso celebre Kevin Moore. Finisce quindi col tradire il proprio compagno (un altro dei demoni da sconfiggere, nella sua visione distorta dalle infamie subite nell’infanzia), con l’idea che “soltanto l’amore” potrà liberarla. Nella 2a parte irrompono folgoranti trame chitarristiche alla Zero Hour, assecondate da sintetizzatori “robotici” e tortuose sezioni strumentali che vedono impegnata tutta la band, prima dell’ultimo ritorno, soffuso, del bel ritornello. “Tutto sarà perdonato”, presagisce Valerie.

8. What Little Girls Are For – 3 days ago (9:35) (“Ecco a che servono le ragazzine” – Età: 30 anni. 3 giorni fa). Un titolo “forte” che delinea le perverse giustificazioni del padre agli occhi di una creatura innocente, e che era stato scelto in principio anche come nome dell’album: la band, su pressione della casa discografica, ha poi convenuto di sostituirlo con quello che leggete in alto. “Ho un segreto da confessarti…”, attacca timidamente Valerie, che, con il miraggio di affrancarsi da un pesante fardello, decide di rivelare al marito le meschinità del proprio passato. Il brano si sviluppa come una sorta di mini-suite teatrale ed intensa, tra P.o.S. e Queensryche, suddivisibile in 4 parti che riassumono, nel racconto, alcuni dei passaggi cruciali -visti sopra- della vita della ragazza: nel finale, la supplica di clemenza al marito, cantata da Di Sarro con voce fioca (“ora ci sei tu, diverso da tutti gli altri…le tue parole possono salvarmi e cancellare queste macchie…”). Ma sullo sfondo, Quirarte gioca nervosamente con le percussioni, quasi ad anticipare quella che è stata, nella realtà, la sua reazione…

9. Running Away – 2 days ago (7:00) (“Scappare via” – 2 giorni fa). “You’re such a whore!”: il compagno tradito sbatte la porta e se ne va. Riffing ossessivo, ritmiche indiavolate al limite del thrash, e una donna ripudiata, incompresa, a cui non resta che rifugiarsi nella droga e fuggire da tutto, anche da una vita senza più futuro (“non ho il tuo perdono…ma il passato non si può cambiare!”). Un breve stacco techno-industrial rimarca la perdita della lucidità mentale, i guizzanti assoli di Sean ed Entrikin annunciano il sopravvento della follia. Da sottolineare la qualità metrica del testo, con versi in rima alternata.

10. Dirty Room Part II – 1 day ago (3:02) (“La stanza sporca, parte 2a” – Ieri). Un’altra stanza maledetta, stavolta teatro del tentativo suicida di Valerie. Le coordinate del pezzo, dopo un alienante inizio elettronico, seguono quelle aggressive del precedente, rafforzate dall’agghiacciante recitativo di Mike Di Sarro. Il suono di un elettroencefalogramma piatto è metafora di una vita che appare al capolinea (“ora me ne posso andare…”).

11. Ask the Angels – 3 hours ago (5:45) (“Pregare gli Angeli” – 3 ore fa). Lo stato di trance della donna è reso da un largo arpeggio su un etereo tappeto di tastiere, quasi new-age, su cui le buone linee del cantato esprimono i pensieri inconsci di Valerie che, a contatto con visioni dell’aldilà, prega gli Angeli di portarla via dal mondo. Dopo un residuo impulso freudiano (“ma…se solo potessi chiedere agli angeli di riportarmi da te…”) giunge, toccante, il responso del Cielo, ripetuto ad libitum fino a che il “beep” continuo dell’elettroencefalogramma si tramuta in segnale intermittente: “…It’s not your time…”.

12. Choices – right now! (9:53) (“Scelte” – Proprio ora!). “Honey?…Oh my God!”: attanagliato dai rimorsi, Chris torna a casa e trova la moglie distesa in stato di incoscienza…poi il panico, le sirene dell’ambulanza e la folle corsa in ospedale guidata da un riffing movimentato. Il pezzo, assai “ricco” nei suoi 10 minuti, presenta un po’ tutti i caratteri del disco. L’unica parte che si ripete è lo splendido ritornello in cui la donna, sul letto d’ospedale, grida le proprie domande esistenziali, chiedendosi infine, di fronte all’ennesimo bivio della propria vita, se la sua prossima scelta condurrà alle tenebre o alla luce…

Chris Quirarte: “Mia moglie alla fine ha sconfitto i demoni e la sua vita è fortunatamente migliorata. Ma purtroppo non sempre queste storie finiscono così: perché vendere false speranze ad altre vittime, con un lietofine hollywoodiano? Noi siamo il risultato di una serie di scelte, ed ecco il finale “aperto”: riuscirà la protagonista ad usare le sue esperienze per cambiare la sua vita o riprenderà a distruggersi? Lascio la decisione all’ascoltatore”.

“The Tragedy of Innocence” è dunque un concept eccezionale nelle liriche e sorprendente a livello musicale, nonostante una durata di oltre 70 minuti che rischia di appesantire l’ascolto ed una produzione che, enfatizzando oltremodo i toni bassi, finisce per “castigare” le frequenze più acute ponendo talvolta in secondo piano lo stesso, raffinato, lavoro ai piatti di Chris Quirarte (si osservi che il disco è autoprodotto: il giudizio finale, ad ogni modo, non ne risente troppo). In sintesi: emozioni che non vanno a scapito della qualità (perché mai dovrebbero?), per quello che emerge come uno dei lavori più interessanti della scena progressiva recente e che non può non far mostra di sé nella bacheca 2006 degli appassionati (e nella mia top-list di fine anno).

Alessandro “poeta73” Marcellan  

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