Recensione: The Unseen

Di Roberto Gallerani - 9 Febbraio 2009 - 0:00
The Unseen
Band: Eyefear
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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79

Quarto album per gli australiani Eyefear, che escono con questo The Unseen sotto la Dockyard1. Il gruppo fonda il suo stile su un sound che si pone a metà via tra Symphony X e Kamelot, con qualche venatura di power teutonico. Il valore aggiunto della band è senza dubbio il cantante ex Pagazus Danny Cecati, dotato di una timbrica rocciosa, melodica, di grande estensione e che riesce in ogni frangente ad adattarsi al meglio al suono della band.

Ammetto che sono rimasto sorpreso da questo gruppo, soprattutto per la capacità di ricreare atmosfere magiche, come era nel loro intento guardando la copertina, piene di carica emotiva senza per questo dimenticare che qua si suona metal. La presenza dietro al mixer di Tommy Hansen poi rende questo prodotto di prima qualità sotto ogni punto di vista.
Ottime le tastiere e le chitarre, che, invece di ricercare continuamente l’assolo del secolo, si concentrano maggiormente nel conferire ai brani una quadratura ben precisa, sulla quale la batteria cavalca in maniera intelligente, dosando il doppio pedale con parsimonia, cambiando i ritmi in modo da dare quel sapore prog che insieme al suono delle tastiere rende l’album anche vario, seppur nel limite del genere.

Difficilmente si trovano cadute di tono in questo The Unseen; dopo l’intro Hypnosis i nostri subito ci propongono un trio di pezzi da pelle d’oca: roccioso e affascinante la traccia Illusions, veloce e più power oriented Bridge che è caratterizzata da un chorus veloce ed emozionante allo stesso tempo. La terza di queste tracce è la title track, un brano di difficile catalogazione: grandi sono le orchestrazioni ricreate dalle tastiere, la batteria si sposta volentieri su lidi prog; il tutto viene accompagnato da un monumentale Cecati, che offre una interpretazione perfetta! Voce profonda e delicata che immediatamente dopo diventa aggressiva alzandosi di tonalità, conferendo al chorus del brano, un mid tempos davvero riuscito, quel pathos che trasforma un buon brano in un piccolo gioiello.
Unico brano meno riuscito è Always Reason, che rimane un po’ anonimo alla distanza. Gli Eyefear raddrizzano subito la mira con Wasting Away, un lento davvero commovente, merito anche in questo caso della prova dietro al microfono del bravissimo Cecati.
Darkness Til Dawn mostra come gli australiani non dimenticano i grandi maestri del passato, ricreando un brano, tastiere a parte, roccioso e cadenzato, intriso di heavy metal anni ’80, impreziosito comunque da un break centrale dal gusto prog.
Con Confessions si ritorna sui classici lidi power-prog tanto cari agli Eyefear, mentre Clouded Mind chiude l’album; un brano che parte dolce, con solo voce e pianoforte, per poi aumentare gradualmente di intensità, con una strofa prog che funge da preludio a un chorus epico e maestoso, un mid tempos con violini che accompagnano la voce.

Le emozioni contenute in questo disco sono tante, il combo australiano ha dimostrato di attraversare un periodo di ottima ispirazione e di aver raggiunto una padronanza del songwriting di primissimo livello. Il gruppo riesce a non ripetersi all’interno dell’intero disco, le soluzioni proposte, seppur moderatamente innovative, riescono a sorprendere ogni volta. Inoltre gli Eyefear riescono, come già sottolineato, a ricreare brani dotati di pathos ed emozioni, senza dover esagerare in orchestrazioni e altri arrangiamenti.
Una band che si ascolta davvero con piacere, un album che non dovreste lasciarvi scappare.

Roberto “Van Helsing” Gallerani

Tracklist:
1. Hypnosis
2. Illusions
3. Bridge
4. The Unseen
5. Always Reason
6. Wasting Away
7. Darkness Til Dawn * MySpace *
8. Confessions * MySpace *
9. A Clouded Mind

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