Recensione: Tubular Bells

Di Nectar - 4 Gennaio 2004 - 0:00
Tubular Bells
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1973
Nazione:
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100

Sul finire degli anni ’60 ad un eccentrico adolescente inglese venne in mente di comporre un’opera che per struttura e stile non aveva precedenti nel mondo della musica. Dopo infinite difficoltà legate alla sua realizzazione e innumerevoli rifiuti da parte di label più o meno famose, nel 1973 il demo di Tubular Bells approdò presso la neonata Virgin che offrì a Mike Oldfield un contratto e degli studi di registrazione all’altezza per poter incidere nuovamente il disco. In due mesi Oldfield si occupò personalmente, da impareggiabile polistrumentista e compositore, delle dozzine di sovraincisioni, degli arrangiamenti e della produzione.

Nacque così Tubular Bells, capolavoro senza tempo, costituito da due suite strumentali di circa 20 minuti ciascuna in qui si mischiano e si confondono trame musicali in parte derivate dalla scuola di Canterbury (Soft Machine e Caravan su tutti), dal folk, dalla psichedelia, e in parte partorite dalla creatività vulcanica di un artista che in trent’anni ha suonato e composto ogni genere di cosa, dalla progressive strumentale più intricata e cervellotica al pop danzereccio (chi non ricorda Moonlight Shadow?), fino alla Chill-out di cui è considerato pioniere.

Il disco si apre con l’inquietante e strafamoso arpeggio di pianoforte reso celebre dal film L’Esorcista, presto vibrafono, basso, tastiere e chitarre arricchiscono la melodia aggiungendone altre fino a quando tra continui rintocchi elettrici ed acustici, tra assoli armonizzati, romantici mandolini (mandolini?…sì, mandolini) e mille altri spunti melodici, si arriva al finale della prima suite, da molti considerato il capolavoro del capolavoro. L’idea di base è semplicissima e affascinante, su un costante tappeto di chitarra e basso si avvicendano dieci strumenti diversi, ognuno introdotto dal “maestro di cerimonie”, a suonare la stessa linea melodica fino agli epici rintocchi delle campane tubolari che affiancate da un etereo coro femminile disegnano uno dei momenti migliori dell’opera.

La seconda suite è più pacata e psichedelica della prima, sin dall’inizio uno stuolo di chitarre disegnano litanie di rara suggestione in cui le melodie principali vengono fatte passare con eleganza e precisione da uno strumento all’altro, uno scossone lo offre la parte centrale della suite in cui una melodia dall’incedere quasi marziale fa da collegamento ad uno degli episodi più “anomali” del disco, una sorta di siparietto rock guidato da chitarra e piano (è anche l’unico momento in cui è presente una batteria) disturbato da incomprensibili urla e rantolii di un “uomo delle caverne” (Oldfield confessò di averlo registrato completamente ubriaco). Su un tappeto d’organo due chitarre dalle sonorità liquide ci guidano verso il finale del disco intrecciandosi in un autentico esercizio di tecnica e stile su cui aleggia l’ombra di David Gilmour (Pink Floyd). E a chiusura di un disco complessivamente anomalo Oldfield ci offre uno spiazzante arrangiamento del classico The Sailor’s Hornpipe (avete presente Braccio di Ferro?).

Risulta ovvio che Tubular Bells non è un disco per tutti, il fatto che sia interamente strumentale e che non possa essere accostabile a stili e riferimenti certi tende più a disorientare che incuriosire l’ascoltatore, tuttavia per la grande carica sperimentale che spesso raggiunge e supera gli intenti del movimento progressive voglio consigliarlo a tutti, dagli amanti della musica senza confini (che è il significato originale della progressive) fino ai defenders più convinti che potranno avere una calma di qualità prima delle tempeste.

Nel corso degli anni Mike Oldfield ha riproposto la sua opera prima in svariati modi, soprattutto in sede live, nel 1975 incise una versione orchestrale, nel 1992 pubblicò un clamoroso riarrangiamento in chiave new-age (Tubular Bells II) che lo portò a vincere il prestigioso titolo di “Compositore del Secolo” mentre quest’anno, nel trentesimo anniversario della pubblicazione, si è divertito a risuonare fedelmente la partitura originale (Tubular Bells 2003) affinando ovviamente suoni e produzione.

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