Recensione: Tyranny of Souls

Di Filippo Benedetto - 29 Maggio 2005 - 0:00
Tyranny of Souls
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Anno: 2005
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85

E’ ritornato. Finalmente è disponibile nei negozi il nuovo, atteso, album di Bruce Dickinson. Il successore di “Chemical Wedding”, a distanza di ben sette anni si impone nel mercato discografico hard’n’heavy con un titolo in bella vista quanto mai d’impatto: “Tyranny of souls”.
Innanzitutto bisogna fare una considerazione preliminare a questa recensione. Si sa che il famoso vocalist dei Maiden non ha mai nascosto una intima tensione alla sperimentazione di nuove sonorità, se vogliamo anche lontane dal sound della band che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Ha anche rischiato molto della sua autorevolezza in campo hard con esperimenti molto lontani dall’immaginario metal (e progetti come Skunworks più di tutti ne sono prova evidente). Tuttavia il nostro non ha mai rinunciato alla sua integrità artistica portandolo ultimamente, anche se per vie tortuose, ad esplorare lidi prettamente heavy metal con una grinta compositiva e d’attitudine invidiabili. E’il caso appunto degli ultimi due lavori del nostro: quei Accident of Birth e Chemical Wedding che hanno fatto gridare al miracolo a milioni di fans sparsi per il globo. Era lecito quindi aspettarsi da l’AirRaidSiren un nuovo album che rispecchiasse fedelmente la ritrovata anima metal del cantante. In questo senso “Tyranny of Souls” ribadisce e rafforza la convinzione di trovarci di fronte ad un musicista ancora in stato di grazia compositiva. Non solo. Ribadisce ancor di più l’inscindibile legame creativo con Roy Z, indiscutibile “deus ex machina” del metal proposto dal 47enne singer britannico.
La copertina del platter, non proprio eccellente sotto il profilo dell’artwork, sembra suggerire la volontà da parte del cantante di osare qualcosa di più rispetto al passato: via quindi i riferimenti a William Blake , per lasciar spazio a nuove suggestioni visive mutuate dall’opera di Hans Hemling (è sua infatti l’opera “The Mouth of Leviathan”). Le liriche però mantengono quel forte collegamento alle tematiche cupe e apocalittiche già abbondantemente narrate nello splendido “Chemical Wedding”. La differenza con le due precedenti prove in studio si nota soprattutto nella proposta prettamente musicale, dove composizioni di più diretto impatto sonoro hanno la meglio sulla maestosità armonica.

In apertura troviamo un’intro dai toni oscuri e sinistri, forse non riuscitissima ma azzeccata nell’evidenziare la forte inclinazione del cantante verso soluzioni armoniche oscure ed ermetiche. A seguire “Abduction” dà il via definitivo all’album con una scarica di adrenalina Heavy Metal da ricordare ancora per molto tempo. Il riffing è roccioso, diretto, impreziosito da solos perfettamente innestati lungo le linee melodiche portanti del brano. Menzione particolare va fatta per la prestazione vocale di Dickinson, avvolgente e graffiante con me non mai. L’incipit, insomma, promette davvero bene. La terza track assale le orecchie con un imponente muro di riffs che rimanda direttamente allo stile più tipico dello speed metal. E’ la volta di “Soul Intruders”, bella song che sviluppa tutto il suo appeal nel refrain principale dove gli echi della Vergine di Ferro si possono comodamente (e piacevolmente) rintracciare. Il cemento artistico tra Bruce e Roy Z è fortissimo, lo si avverte prepotentemente notando la perfetta sincronia sia sul versante vocale che tecnico strumentale (il chitarrismo di Roy-Z può  forse non piacere a tutti, ma non è mai scontato e intriga l’ascoltatore). Passando a “Kill Devil Hill” notiamo una evidente drammatizzazione dei temi melodici, risaltata da vocals ora sofferte ora ricche di pathos e soprattutto da un lavoro in sede esecutiva trascinante e maestoso. L’epicità propria di questa traccia trova, infine, il giusto punto di forza, non solo nel bel refrain ma anche nei breaks melodici più soffusi. Con la successiva “Navigate the seas of the sun” il nostro mostra il suo lato più intimista, sfornando una ballad semi acustica che sembra far riemergere per incanto le suggestioni romantico decadenti della splendida “Tears of the dragon” (con le dovute proporzioni del paragone, sia chiaro). Le vocals qui si fanno più morbide e a tratti suadenti, la cura per gli arrangiamenti è cristallina e rapisce l’ascoltatore emozionandolo nel bell’assolo per chitarra acustica. Bel colpo, Bruce! Siamo alla sesta track, “River of no return”, e notiamo nuovamente un Heavy metal interpretato in chiave drammatica e riflessiva. Il brano in se è piacevole all’ascolto, ma rispetto agli episodi precedenti non aggiunge molto in più di particolarmente stuzzicante. “Power of the sun”, invece, impone un roccioso riffing heavy metal che risente della lunga esperienza maideniana del famoso cantante da una parte e delle originali doti chitarristiche del giovane chitarrista. Il risultato è una song in perfetto equilibrio da passato e presente, da gustarsi tutta d’un fiato. Quando si giunge “Devil on a hog” la sensazione di ascoltare un brano tratto dalla discografia più hardrock oriented di Mr Dickinson è fortissima. Non che sia un male necessariamente (pur non essendo uno degli amanti di quella fase della carriera del singer, ne riconosco in alcuni episodi un discreto valore artistico), più banalmente ne rilevo poco amalgama con il resto della tracklist. Il brano scorre senza stancare, anzi la sua semplicità d’impianto risulta piacevole allontanando la tentazione di “skippaggio” alla song seguente. A conti fatti la “allegra” parentesi di questa song risulta essere una scelta ben meditata, poiché il successivo pezzo dispiega tutt’altra forza persuasiva: cupa, fortemente “sabbathiana”  nell’incedere, “Believel” sviluppa egregiamente il discorso musicale intrapreso negli episodi più oscuri di Chemical Wedding, arricchendoli di un pathos espressivo e una pesantezza in sede esecutiva di grande impatto. Probabilmente (ma questa è l’opinione modesta del sottoscritto) sarà in questo brano che troveremo, se vi sarà l’occasione di ascoltarne un altro capitolo discografico, il Bruce Dickinson del futuro. Giungiamo alla traccia conclusiva, “A Tyranny of Souls”. La title track riprende, rafforza le intuizioni armoniche e d’atmosfera impostate nel precedente brano, calibrando ancora meglio la forza d’urto dell’oscuro e malefico riffing. Il risultato è una song maestosa nell’incedere, con una teatralità d’insieme che potrebbe senza problemi gareggiare in bellezza con gli episodi più epici (e se vogliamo anche progressivi) dell’ultima fatica dei Maiden.

La conclusione di questa recensione, per chiudere l’analisi di “Tyranny of Souls”, è rapida e definitiva: questo è un gran bel disco, forse apparentemente disomogeneo in alcuni episodi, ma sicuramente degna chiusura di una trilogia “metallica” inaugurata con “Accident of Birth”.
 

Tracklist:
 
1. Mars Within (intro)
2. Abduction
3. Soul Intruders
4. Kill Devil Hill
5. Navigate The Seas Of The Sun
6. River Of No Return
7. Power Of The Sun
8. Devil On A Hog
9. Believil
10. Tyranny Of Souls, A

Line Up:

Bruce Dickinson (vocals)
Roy Z (guitar, bass instrument)
Mistheria (keyboards)
Juan Perez, Ray Burke (bass guitar)
David Moreno (drums)

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