Recensione: Unleashed In The East

Di Wasted625 - 16 Gennaio 2004 - 0:00
Unleashed In The East
Band: Judas Priest
Etichetta:
Genere:
Anno: 1979
Nazione:
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90

Strano disco questo “Unleashed in the east”, il più controverso della carriera dei Judas Priest. Registrato dal vivo durante la tournee giapponese di “Killing Machine” (o “Hell bent for leather”, se preferite), conta tanti fans sfegatati, quanti detrattori. C’è chi lo reputa un vero capolavoro (se non addirittura il live più entusiasmante della storia) e chi lo considera un disco artificioso ed estremamente sopravvalutato. Le ragioni di questo amore/odio sono molte, ma (questa è la particolarità) nessuna di queste è criticabile.
La prima nota negativa sta nella presenza del pubblico, davvero troppo poca (ma i giapponesi non sono i fans più calorosi del mondo fin dal tempo dei Beatles?), la seconda è nella tracklist, indubbiamente ottima, ma priva di gemme quali, “Beyond the realms of death”, “Stained class”, “Killing machine” e “Dissident aggressor”. Ultima critica, la più pesante, le accuse di innumerevoli sovraincisioni (tanto che ironicamente molti hanno chiamato il disco “Unleashed in the studio”). Rob Halford ha recentemente dichiarato che l’unica cosa che è stata rifatta in studio è la sua voce, a causa di una fastidiosa tracheite che ne minò le prestazioni nella tournee nipponica, il resto parrebbe totally live.
Le note positive sono però altrettanto soddisfacenti. La prima è che il disco in questione è stato il primo live Heavy Metal (non Hard Rock) della storia (ma c’è chi attribuirebbe la palma agli AC/Dc di “If you want blood…”, se non addirittura ai Kiss di “AliveII”…), la seconda è che la potenza sprigionata dai Judas in questo live non ha perso niente a distanza di anni. La terza è che, nonostante tutti gli evidenti difetti, “Unleashed in the east” è un disco stupendo.Qui i Priest si spogliano delle loro influenze blues presenti in studio, per sfoggiare un sound gelido e diabolicamente perverso.
L’apertura con “Exciter” (il vero prototipo di “Painkiller”) e “Running wild” è da mozzare il fiato (forse il pubblico non urlava per questo…), e “Sinner” perde la sudditanza hendrixiana che la caratterizzava su “Sin after sin”, diventando un calderone di lava guidato dai deliranti duelli dei maestri Downing e Tipton, che insegnano ai giovani leoni della NWOBHM come stare al mondo. La voce di Halford passa dai sussurri più flebili a delle vere rasoiate sulla pelle (l’esecuzione di “Victim of changes” è assolutamente terrificante).
Le perverse visioni urbane dei Priest si traducono sul palco a colpi di “Hell bent for leather” (un riff ed un solo immortali, cuciti da un testo di storie di motociclisti venuti dall’inferno, parodiati da Halford che giunge sul palco a bordo della sua Harley) e “The ripper” (dove Ian Hill mostra che il ruolo di uomo inutile, che molti gli hanno attribuito, gli sta decisamente stretto). Spettacolare è la prova di Les Binks dietro i tamburi (il tocco di Bonham unito alla classe di Paice?), bravissimo ad assecondare gli impulsi Heavy rock dei suoi colleghi, ma capace di stupire nel suo breve solo della conclusiva “Starbreaker”. Lo speed rock di “Tyrant” farebbe la fortuna di tante band odierne, che inutilmente cercano di fare il verso alla band di Birmingham, che ancora oggi umilia sul palco la maggior parte degli act, nonostante l’età non più giovanissima, segno che forse nel mondo del metal le cose non vanno proprio benissimo.
Da qui in poi la carriera dei Priest sarà tutta (o quasi) in discesa, fino alla fuga di Halford ad inizio anni ’90. Nel 1986 verrà pubblicato un secondo live album, semplicemente intitolato, “Priest…live”, incentrato esclusivamente sulla produzione che va da “British steel” a “Turbo”. Sfortunatamente il disco riceverà solo critiche, ma in realtà si tratta di un ottimo album, reo di venire a supporto del contestatissimo “Turbo”. Comunque “Priest…live” forse si assesta un po’ sotto questo “Unleashed in the east”, che probabilmente rappresenta il miglior capitolo live dei preti inglesi, anche se pieno zeppo di difetti che si sarebbero potuti evitare facilmente anche se rimane un lavoro dall’indiscusso valore storico.

Tracklist:
1) Exciter
2) Running wild
3) Sinner
4) The ripper
5) Green Manalish
i
6) Diamonds and rust
7) Victim of changes
8) Genocide
9) Tyrant
10)Rock forever
11)Delivering the goods
12)Hell bent for leather
13)Starbreaker

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