Recensione: Uprising

Di Matteo Di Leo - 25 Marzo 2013 - 0:10
Uprising
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Anno: 2013
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60

Giovani ma tutt’altro che sprovveduti, i Bleed From Within.

Nonostante un’età media di soli ventiquattro anni, questi piacenti giovanotti sono stati già capaci di costruirsi un discreto seguito tra i coetanei del Regno Unito, tanto da finire nella scuderia di un’etichetta di primaria importanza come la Century Media Records.

Dopo il debutto “Humanity” del 2009 subito bissato da “Empire” l’anno successivo, i ragazzi di Glasgow hanno deciso smorzare i ritmi di lavoro a dir poco frenetici per caricare le batterie e ponderare al meglio la successiva mossa, che si spera essere quella decisiva. Per cosa? Ma per la consacrazione, è ovvio! Tutto infatti nel nuovo arrivato “Uprising” pare teso a questo fine, a partire chiaramente dal suono, un deathcore che già in partenza era potente, d’impatto e trendy al punto giusto, per l’occasione smussato, ripulito e ragionato. Ecco, ragionato è l’aggettivo che più si adatta a questo disco viste le attenzioni profuse per toccare le vette di popolarità (e qualità) già ad appannaggio per esempio di Becoming The Archetype, As I Lay Dying e soprattutto Bring Me The Horizon di cui i Nostri pare vogliano essere la risposta scozzese come il look del cantante Scott Kennedy conferma.

Ecco quindi chiamati a raccolta professionisti di primo piano come Martyn Ford (Bullet For My Valentine e Trivium tra le collaborazioni) e Romesh Dodangoda (Funeral For A Friend) alla produzione nonché Logan Mader per il missaggio con il ben preciso scopo di rendere esplosivi i nuovi pezzi. Cosi si spiega anche il capillare lavoro promozionale della casa discografica tedesca che evidentemente spere di aver tra le mani delle galline dalle uova d’oro in kilt e spedisce i nostri in giro per l’Europa con i Testament: quale sarà il responso dopo l’esibizione di quelle vecchie volpi di Chuk Billy e soci è una scommessa troppo rischiosa per questi intraprendenti britannici e su cui io francamente non punterei i miei sudati e (ahimè!) pochi euro. Lontani infatti sono ancora i livelli imposti da colossi di quella portata e i Bleed From Within devono ancora sudare parecchio se intendono raggiungerli, almeno che non vogliano accontentarsi di un successo ‘usa-e-getta’ per poi finire nel dimenticatoio dopo il quarto d’ora di celebrità di ‘Wahrliana’ memoria.

Ma tant’è, solo col tempo potremo saperlo, per il momento limitiamoci ad analizzare questo CD.

Con il proposito di piacere a molti, si rischia l’effetto contrario e di tirar fuori un album di qualità modesta o solo sufficiente, come in questo caso. È fuor di dubbio che il quintetto abbia delle qualità tecniche rispettabilissime: le due chitarre sono affiatate e variegate sia nelle ritmiche che nelle parti soliste, il vocalist padroneggia sia lo scream che il growl e la sezione ritmica, pur non spiccando per fantasia e perizia (specie il basso, rilegato in secondo piano) fornisce il motore che si conviene per un genere adrenalinico come questo. Cosa manca quindi per elevare “Uprising” a uscita da tenere in considerazione? Manca la parte fondamentale, le canzoni. Sì, perché puoi avere il migliore suono di questo mondo o la migliore capacità esecutiva (non è comunque questo il caso, ci mancherebbe) ma se non sei in gradi di inanellare un filotto di canzoni che rimangano nella memoria dell’ascoltatore e lo spingano a preferirti ad altri gruppi, beh, non hai quasi nulla in mano. Per carità, non mancano buoni pezzi come “Colony”, oppure “Nothing, No One, Nowhere” o ancora “Escape Yourself” e “The War Around Us” con Liam Cormier dei Cancer Bats quale ospite, ma si tratta di poche tracce di un full-length che ne contiene tredici per una cinquantina di minuti di musica.

Per il momento i sogni di gloria devono essere rimandati ma ciò non toglie che, armati di perseveranza, i Bleed From Within possano un giorno imporsi all’attenzione di tutti noi.

Matteo Di Leo

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