Recensione: Venereal Dawn

Di Daniele D'Adamo - 11 Settembre 2014 - 0:20
Venereal Dawn
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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84

 

«focul t?u nu ne mai înc?lze?te
distrugerea ta peste noi din cer»

Il Sole è malato. La sua luce, maledetta, riduce le persone in poche tribù isolate, in perenne lotta per il sangue. Unico, temporaneo rimedio alla peste solare. Ma il sangue nutre anche innominabili ‘cose’ che nidificano negli spazi subatomici per librarsi nel cielo.

Prendendo spunto da “The Wounded Land”, una novella di Stephen R. Donaldson contenuta nel IV libro di “The Chronicles Of Thomas Covenant”, i Dark Fortress elaborano un concept potente e complesso per costruire l’intelaiatura lirica di “Venereal Dawn”, settimo full-length dalle malcelate ambizioni tecnico/artistiche. Un concept che distribuisce in nove canzoni una storia di sopravvivenza, tradimento e sacrificio attraverso un ambiente assai ostile, foriero di morte e desolazione.

Ponendo alcune domande sul funesto destino dell’Umanità. Cosa succederebbe alla vita sulla Terra se le leggi fragili della natura fossero alterate anche di poco? Come reagirebbe la psiche umana innanzi alla prospettiva di un’inevitabile estinzione? Di quanto potrebbe essere rimossa l’anima umana prima che la sua essenza svanisca completamente? Si possono comprendere le conseguenze di un’evoluzione radicale e forzata, e la follia che essa determina? Aggiungendo a questi tremendi interrogativi forza e tensione emotiva con frasi, invocazioni, deliri in lingue diverse dall’ordinarietà dell’inglese come il rumeno, lo spagnolo, lo swahili e l’arabo, il quadro dell’immane tragedia è completo.  
 
Forte di questa struttura narrativa così impregnata di epicità, visionarietà e dinamicità, il black metal del sestetto tedesco assume dei contorni immensi, frastagliati, che racchiudono un’enorme quantità di musica. Impossibile da assimilare se non dedicando all’ascolto di “Venereal Dawn” un lasso di tempo assai esteso, se rapportato alla media delle produzioni del genere. Ore e ore non basteranno mai, per sondare, esplorare, inglobare nella mente gli straordinari, sterminati paesaggi dipinti da Morean e compagni. Per una longevità sostanzialmente senza fine, o quasi. Già solo le due suite “Venereal Dawn” e “On Fever’s Wings”, per citare un esempio, rivelano mondi figurativamente complicati, stratificati in numerosi livelli che s’intersecano e si sovrappongono per un rompicato quasi irrisolvibile.

Proponendo così una miriade di sfaccettature che riflettono i furibondi e convulsi attacchi all’arma bianca dei blast-beats, i ciclopici mid-tempo, le eteree ricamature acustiche. Lasciando fuori dalla porta gli ampollosi eccessi del symphonic nonché le melodie che debbono agganciare a tutti i costi. Per uno stile praticamente unico, perfettamente a fuoco malgrado la moltitudine di elementi – anche eterogenei o addirittura antitetici – presenti. Per esempio il pianoforte di “On Fever’s Wings” e i riffoni iper-stoppati di derivazione thrash della song medesima, oppure le morbide armonie degli strumenti acustici a corde di “The Deep”, lacerate dal doloroso screaming di Morean.      

È anche la pregevolissima qualità del songwriting che, oltre alla decisa manifestazione di un carattere unico, a sé stante, fa di “Venereal Dawn” un lavoro di grande livello sotto tutti i punti di vista. Una qualità che non viene mai meno nei sessantotto minuti che descrivono le entità microparticellari durante il loro definitivo attacco alla Terra alleandosi al Sole. Con vette di spettacolare magnificenza coincidenti con l’irresistibile crescendo di “Venereal Dawn”, culminante in un esplosivo, trascinante refrain corale sostenuto dalla forza blast-beats; il maligno quanto affascinante refrain di “Lloigor”; i cori extraterresti di “Betrayal And Vengeance”, evidente tributo al (volutamente rozzo) mito di Quorthon e dei suoi Bathory.  

Sarebbe delittuoso lasciar scivolare via nella corrente nera “Venereal Dawn” senza onorare i Dark Fortress per il titanico lavoro svolto. Un lavoro che dimostra senza ombra di dubbio che il black metal, anche nelle sue forme più classiche e allineate alla tradizione, è ben lungi dallo scomparire nell’oblio. A patto, ovviamente, cha al timone della nave ci siano dei talenti puri e cristallini come quelli che scorre nel sangue dei Nostri.
 
Daniele “dani66” D’Adamo
 

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