Recensione: Vermillion Eclipse

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 20 Aprile 2022 - 15:43
Vermillion Eclipse
Band: Semblant
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Death  Gothic 
Anno: 2022
Nazione:
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63

Ogni saluto porta con sé un carico di significati, aspettative, suggestioni e talvolta anche speranze, ma dal gusto che può essere dolce oppure amaro. È il caso del saluto “bentornati” che in relazione al luogo in cui si ritorna, reale o figurato, si potrebbe colorare, in base alle situazioni, di amenità oppure di gravità.
Bentornati quindi nel lido dolce e malinconico delle occasioni non del tutto perdute, ma neppure sufficientemente compiute; bentrovati laddove band e musica giacciono spiaggiati in attesa dell’onda in grado di dare la spinta definitiva o destinati a rimanere lì in attesa perenne di un colpo risolvibile, o fortunato, capace di mutare le sorti esistenziali e/o musicali.

Questa attesa però deve lasciare la speranza che ci possa essere, in qualche modo, una via di sviluppo (o anche di fuga) e magari di approfondimento per una favola che potrebbe essere scritta o meglio: riscritta.

Questo emerge dall’ascolto dell’ultimo lavoro dei brasiliani Semblant intitolato Vermillion Eclipse. Band dall’incredibile seguito nel parallelo e accecante mondo della rete e che ha dato prova di saper maturare così come l’evoluzione da Obscura del 2020 sta a testimoniare in modo inequivocabile. Vermillion Eclipse appare un album più maturo da tutti i punti di vista, ma privo di quella originalità che la provenienza geografica, la composizione della band, la contingenza ispirativa e la situazione tutta imponevano. L’album, piacevole e gradevole sin dal primo ascolto, sembra calamitare le istanze musicate da Soilwork e Lacuna Coil (per esempio), ma senza condirle di originalità. Infatti il genere, definito ambiguamente Extreme Metal, recepisce tanto dal mondo musicale circostante, ma senza avere quel colpo di arte necessario per rivederlo in chiave personale e identificativa; si ha sovente più la sensazione di ascoltare un classico Power Metal, e non solo, che altro. Di certo il quintetto brasiliano gioca abilmente sulle linee melodiche della voce, che vede l’intreccio tra quella femminile di Mizuho Lin e quella potente e graffiata di Sergio Mazul, che generano un sicuro effetto gradevole e piacevole alle orecchie dell’ascoltatore; ma questo, che avrebbe potuto configurarsi come un punto di forza e originalità dei Semblant, alla fine finisce per essere il canonico e previsto marchio di fabbrica.

L’intero disco sembra dire sempre “bentornati” alla centralità che acquisisce la doppia dimensione vocale, sia che si ascolti l’epicità di Henrage e sia che si ascolti la “nevermoriana” The Human Eclipse; qui la presenza ispirativa di Warrel Dane è marcata, molto marcata.

Questo apre altre riflessioni: come accennato, dalla bio si nota la dicitura “Extreme Metal” riguardo al genere proposto, definizione alquanto generica, ma che in realtà fa comprendere molte cose, una tra tutte il non voler entrare troppo nello specifico di una specializzazione (parafrasando espressioni di didattica musicale) che richiederebbe forse un più grande dispendio di energie.

L’immagine che la band dà di sé è furiosa ed estrema (appunto), con stilemi dark già visti più volte e in più epoche, eppure la voce di Mizuho Lin renderà il tutto molto più accessibile (troppo) con una chiara tendenza al mainstream. L’artwork di copertina è a cura di Giannis Nakos di Remedy Design (Evergrey, Amaranthe, The Agonist).

Enrage segna lo start dell’album, con una produzione gonfia e compressa. Assieme alla voce di Sergio Mazul, alcuni passaggi riportano da subito agli esordi dei Nigthwish (quelli di Oceanborn). Nelle clean vocals è imbarazzante la somiglianza del suo timbro vocale con quello di Nick Holmes dei Paradise Lost.

Destiny In Curse contiene delle belle linee vocali, soprattutto nei verse. I chorus non godono di molta originalità, soprattutto per chi è cresciuto a pane e ReVamp (gruppo dove alla voce troviamo la grandissima Floor Jansen). Il lato più aggressivo della band è fortemente ispirato al B-Side Project dell’ugola dei Nightwish.

I riff chitarristici presenti fino a questo momento sono poco incisivi anche nella successiva Purified, a tratti anche banali. Ma lo si capisce fin dalle prime note, come già detto, che il punto di forza della band è un altro (o meglio quello su cui tutta la band punta).

In The Human Eclipse si va velocissimi, melodici nel refrain e cadenzati nel chorus. Formula questa fin troppo abusata in questo ambiente, quasi fosse uno standard da seguire per evitare di “sbagliare”. Godibile il contrasto delle due voci, sicuramente  più in questo brano che in quelli precedenti.

Somber Concern contiene al suo interno forse il più bel chorus di tutto il disco, molto ispirato e fresco. Peccato per il lato strutturale: una canzone in formato “Radio Edit” così dannatamente perfetta (in termini di canoni estetici del sottogenere, compresivo dell’effetto “megafono” da sempre ciliegina sulla torta delle riprese) da sembrare a tratti artefatta nella sua interezza. Qui Juliano Ribeiro alla chitarra emerge finalmente nel solo centrale della traccia.

Appena si arriva a Through The Denial purtoppo si inizia a sentire una stanchezza di fondo, stavolta nell’essere ascoltatore: la formula ripetuta usata per i chorus “fatti con lo stampo” (e per cercare di restare stampati nella mente) diventa alle nostre orecchie molto pesante. Noi vi è una manovra imprevedibile, non un colpo di reni che possa rendere meno piatto ciò che seguirà (o ciò che è già stato) e in Black Sun Genesis (Legacy Of Blood Pt.Vi) ne abbiamo la prova: tutto è poco ispirato.

La successiva Bloodred Monarch (Legacy Of Blood Pt.Vii) è l’esaltazione del Power Metal, riff cadenzati nei verse e un crescendo corale prevedibile seppur ben curato nel mix (quest’ultimo impeccabile).

Parlare di arrangiamenti veri e propri forse è un po’ azzardato, ognuno dei musicisti cura il suo in modo professionale e senza troppi fronzoli, il motore della band costituito da Johann Piper al basso e Welyntom “Thor” Sikora alla batteria è ben oleato e tira dritto per la propria strada, creando un po’ di sano contrasto alle melodie vocali dilatate e aritmiche di Mizuho Lin.

Dunque questo Vermilion Eclipse non brilla certo per originalità e neppure per suddetta ispirazione, ma è il risultato dei tempi che corrono: tutto deve essere al proprio posto, seguendo le regole scritte sul manuale (compreso il look).
La passione dei nostri è innegabile, visti i dischi all’attivo, ma lavorare continuamente in questa “zona di comfort” potrebbe risultare artisticamente poco corretto, e ovviamente l’arte non va di pari passo con lo streaming o il numero di visualizzazioni sul web…lo sanno anche i muri.

 

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