Recensione: War At Warfield [DVD]
Allora, partiamo dall’inizio:
TRACKLIST:
01. Disciple
02. War Ensemble
03. Stain of Mind
04. New Faith
05. Postmortem
06. Raining Blood
07. Hell Awaits
08. Here Comes the Pain
09. Die by the Sword
10. Dittohead
11. Bloodline
12. God Send Death
13. Dead Skin Mask
14. Seasons in the Abyss
15. Captor of Sin
16. Mandatory Suicide
17. Chemical Warfare
18. South of Heaven
19. Angel of Death
Se chiudessi la recensione qui, credo non ci sarebbe niente da obiettare. Ovviamente questa affermazione tende marcatamente all’esagerazione, anche perché è sempre difficile trovare un qualsivoglia opera artistica esente anche dal seppur minimo difetto. “War At Warfield” di difetti ne ha di sicuro ma, semmai, li affronteremo con calma, a tempo debito.
Il gustosissimo prodotto partorito dalla vulcanica attività commerciale di Rick Rubin, è quanto di più rappresentativo per esaltare nel giusto modo una carriera ultra trentennale di una band considerata punta di diamante nel panorama Metal mondiale. Dopo il lavoro dal sapore marcatamente “rustico” del Live Intrusion, gli Slayer tornano sul mercato internazionale con le riprese del concerto al Warfield Theatre di San Francisco. Un prodotto finalmente capace di dare il giusto lustro ad un gruppo che definire seminale è alquanto riduttivo; un DVD curato, ricco di interviste e contenuti extra e dal layout finalmente all’altezza degli Slayer.
Sul palco del Warfield, Araya e soci danno una nuova, ennesima dimostrazione di cosa significhi la parola Thrash: violenza sonora, quadrata, inscalfibile, irriducibile. Le immagini che corrono lungo lo schermo sono a testimoniare il lavoro eccezionale degli Slayer, band che rimane ai vertici dei gusti di generazioni di metallari, anche perché bravi a tenere dritta la barra del timone anche in periodi burrascosi, seguiti da album non particolarmente ben riusciti o particolarmente ispirati. Siamo comunque dinnanzi a vere e proprie icone della musica metal il cui declino sembra essere, fortunatamente, piuttosto lontano. Perché anche se ci rendiamo conto che, vuoi per l’età, vuoi per il mutare del gusto musicale globale o la mancanza di ispirazione o estro creativo, gli Slayer stanno subendo un lento ‘smarrimento’ compositivo dopo la pubblicazione del – fin troppo – sottovalutato “Divine Intervention”, è pur vero che dal vivo sono un gruppo che non teme rivali. Potrei pure peccare di partigianeria dicendo che nessuno li può eguagliare dal vivo; ma se anche così non fosse in termini assoluti, mi chiedo quante band potrebbero uscire a testa alta da un confronto con questi ‘vecchietti’ e quanti, invece, con le ossa sparse come in una partita di Shanghai?
Quelli che vediamo nel DVD sono, volenti o nolenti, quattro quinti (perché ricordiamo che un tal Dave Lombardo non compare in nessuna scena dei primi due Home-video) di un gruppo che, con una scaletta in grado di abbracciare praticamente due generazioni di appassionati, ha rotto letteralmente milioni di culi in giro per il pianeta. E lo ha fatto con un modus operandi degno del miglior Ted Bundy; che sia su un disco, che sia un live, sempre con Araya al centro, King a sinistra, Hanneman a destra e Lombardo/Bostaph dietro a distruggere qualsiasi cosa risultasse sopravvissuta alla prima linea di fuoco. Senza dimenticare l’amata Slaytanic Wehrmacht a scatenare l’inferno sotto il palco. Semplici, immediati: Slayer.
Certo, anche gli Slayer si sono abbandonati a qualche trovata scenica come le luci e le scritte che si vedono nel video, o il sangue sul muro di Marshall o, ancora, la famosissima pioggia; nulla però, se paragonato a certi spettacoli metal visti negli ultimi vent’anni. Un muro sonoro lanciato come un treno merci: ecco lo spettacolo pirotecnico, i palloni gonfiabili, i coriandoli o i pupazzi giganti offerti dagli Slayer. Con buona pace dei maghi degli effetti speciali.
Credo che parlare dei contenuti prettamente musicali sia superfluo. Quello che posso sottolineare, ed è proprio questo uno dei lati negativi dei lavori video della band, è la continua frammentazione del concerto con gli spezzoni delle interviste al pubblico; cosa difficile da skippare in Live Intrusion, fattibile ma comunque fastidiosa nella guerra di San Fransisco.
Della musica, in buona sostanza, è già stato detto tutto e pure il contrario: stare qui a commentare ancora “Postmortem”, “Seasons in the Abyss” o “War Ensemble” mi sembrerebbe un po’ prendermi gioco dell’intelligenza del lettore, quindi non lo farò. Quello che farò, invece, è parlare brevemente di tutto il contorno che sta dietro al DVD, sopratutto delle immagini girate tra il pubblico, vere e proprie indagini sociologiche sui fan statunitensi degli Slayer. È indubbiamente divertente vedere cosa la gente è disposta a dire – e a fare – per i famosi quindici minuti di notorietà. Certo, finire su un video degli Slayer non è cosa da tutti i giorni, e lo deve sapere bene (o no?) il tizio ubriaco fino al midollo con il maglione a righe verdi che strappa una lattina di birra a morsi tra l’ilarità generale, i giovani abbondantemente sovrappeso con evidenti turbe psicotiche represse in fondo a montagne di Bigmac, sgualdrine di Satana ed adoratori del male assoluto: Jim Carrey. Gente che fa parte integrante dello spettacolo e che si può incontrare anche da noi, spesso vittime degli psicologhi, vivisezionati da esperti, opinionisti, nullità da talk-show domenicale elevati ad esperti tuttologi da salotto buono nelle cicliche crociate anti-metal del bel paese. Spazio che viene dato anche a loro, portatori sani di biglietto d’ingresso, vera e propria ultima risorsa di un mondo musicale fatto oramai solo di download digitale (spesso illegale, ma che sto qui a dirlo), di brani in streaming e di concerti trasmessi nei cinema. Gli Slayer, forse anche per un minimo pubblico ludibrio, offrono spazio a loro, ai fan, non solo alle parole scontate del primo Scott Ian o Kirk Hammett che passano davanti alle videocamere. Un omaggio che voglio vedere come un gesto di riconoscenza verso chi ha permesso loro il lusso di vivere di quella infinita passione chiamata musica, cosa questa che si può davvero considerare privilegio ad appannaggio di pochi.
Amore che gli Slayer ricambiano, sempre, dando la possibilità ai fan di rischiare qualche vertebra o l’osso cervicale, con la conclusiva “Angel of Death”. Per amore, ma anche per sfida. Perché dopo un’ora di esibizione alla velocità della luce, concludere proprio con “Angel of Death” equivale a dire: “coraggio piscia sotto, noi ce la facciamo a suonare, voi siete pronti al finimondo?” La risposta, sempre piuttosto scontata e uguale in ogni angolo del pianeta – voglio sperare – e stata e sarà sempre la stessa: “fino a quando Voi sarete su quel palco, Noi saremo qui sotto”.
Ostinatamente, acciaccati ma per niente stanchi: Slayer!
Daniele Peluso
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