Recensione: Warm Spaced Blue

Di Roberto Gelmi - 15 Giugno 2017 - 10:00
Warm Spaced Blue
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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75

La Black Widow Records è un’etichetta discografica che riserva sempre buone sorprese per gli amanti della musica progressive. L’italica label non si smentisce e pubblica il secondo album dei romani Ingranaggi Della Valle, che arriva dopo il valido disco di debutto, In Hoc Signo del 2013, incentrato sulle crociate. Il combo nasce dal sodalizio tra il tastierista Mattia Liberati e il chitarrista Flavio Gonnellini, ma a oggi la line-up consta di ben 7 componenti. Le sonorità sono cambiate negli ultimi anni: non sono solo influenze anni Settanta (Caravan, Camel, King Crimson), in Warm Spaced Blue c’è ampio spazio per la sperimentazione. Siamo, in definitiva, al limite tra prog e alternative rock. L’artwork è ricercato, così il titolo; la scaletta è compatta, tre i brani dal minutaggio sopra la media. Non possiamo negare che il full length invoglia un primo doveroso ascolto. Se aggiungiamo, d’altra parte, il fatto che i testi questa volta non sono in italiano, ma in inglese, e che le sonorità si arricchiscono di un ventaglio di synth davvero eclettico, parti di violino e flauto traverso, allora il quadro è completo e le ambizioni dei nostri palesi. Il nuovo cantante, Davide Savarese, infine, dona un tocco più al sound degli Ingranaggi della Valle.

Il platter inizia su toni sornioni e inquietanti, viene in mente l’inizio della seconda parte di “In the presence of enemies” targata Dream Theater. “Orison”, prima parte della suite Call For Cthulhu composta di tre parti, prosegue lungo meandri strumentali imprevedibili, anche con la gradita presenza di Fabio Pignatelli dei Goblin. L’uso troppo invasivo di moog e sintetizzatori non è dei più convincenti, vanno meglio i cambi di ritmo e i cambi di atmosfera, con improvvisi crescendo trascinanti. Le parti vocali, su registri alti, nel finale sorprendono l’ascoltatore, vengono in mente gli Haken, ma non siamo su quei livelli d’eccellenza. Un buon avvio, non c’è dubbio, ma forse troppa carne al fuoco.

“Inntal” inizia distesa e rigenerante per poi cambiar pelle negli ultimi minuti, con parti di chitarra pirotecniche e un crescendo infinito, sembra di ascolta una band con decenni di carriera alle spalle. Dopo “Through The Star”s, seconda parte della suite omaggio a Lovecraft, nonché tunnel sonoro sperimentale e lisergico, è la volta di “Lada Niva”. Qui Savarese può finalmente ritagliarsi più spazio, ma la seconda parte è l’ennesimo affresco strumentale fatto di maestria e perizia tecnica. Vengono in mente su tutti i grandi Camel, il tappeto sonoro è cullante e settantiano, ma senza risultare derivativo e stucchevole

Siamo in chiusura di platter. “Ayida Wedo” è una composizione falotica e imprevedibile con rimandi ai King Crimson di Starless and Bible Black. Tutto scorre che è un piacere, alcune melodie oscure ricordano anche gli ultimi Opeth, ma sarebbe meglio dire che entrambe le band ci rifanno a un sostrato musicale comune. L’ultimo tassello di Call For Cthulhu, “Proimse”, è l’ultimo exploit creativo. Si parte su toni distesi per poi percorrere strade delle più disparate, ma insistendo su registri dissonanti e plumbei. Non si contano i possibili rimandi, dai Gentle Giant, ai più recenti Transatlantic e The Flower Kings (ovviamente nei loro lati meno easy listening). Il bello della musica dei nostri sta anche nel riuscire a chiamare in causa la personale memoria sonora di ogni ascoltatore.

In definitiva Warm Spaced Blue regala tre quarti d’ora di musica che richiede attenzione e lascia arricchiti. Gl’Ingranaggi della valle sono tornati e vogliono far sapere al mondo quanto amano la buona musica e come sanno riproporne l’essenza.

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