Recensione: Welcome to the Slaughterhouse

Di Stefano Ricetti - 21 Maggio 2007 - 0:00
Welcome to the Slaughterhouse
Band: Powerful
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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60

Purtroppo dell’esibizione al Play It Loud Festival di Orzinuovi (Bs) dei Powerful mi sono potuto godere solamente alcuni scampoli, che sono bastati per darmi la consapevolezza che il gruppo ci crede e soprattutto riesce a divertirsi e divertire sopra le assi di un palco. I Nostri non sono dei neofiti: la band esiste da più di dieci anni e ha finora percorso la solita gavetta fatta di cover – Judas Priest e Helloween soprattutto -, demo e concerti. Il fatto che sia riuscita ad approdare alla MyGraveYard Records di Giuliano Mazzardi in occasione del debutto ufficiale su disco è sinonimo di solidità e compattezza.

Welcome to the Slaughterhouse è un concentrato di HM classico misto a sfuriate Thrash anni Ottanta –soprattutto Slayer, Exodus e Agent Steel – , che colpisce direttamente nello stomaco. La loro proposta è massiccia, senza compromessi, degna di un debut album, dove la cattiveria viene tradotta in musica. La formazione annovera Leolangwild al basso, Alexander Hate alla voce, Diego Pantegan e David alle chitarre, Paolo alla batteria. Come si può evincere dai nickname, i Powerful fanno uso a piene mani dell’ironia, componente fondamentale per durare nel mondo dell’heavy metal.

I brani proposti sono dieci: si parte dalla possente Powerful per arrivare alla ritmata Fighting to Learn, terzo pezzo del lotto, che ricorda molto da vicino gli Over Kill di Bobby “Blitz” Ellsworth. Proseguendo nell’ascolto, in mezzo a episodi canonici, svettano la cupa e ficcante Listen to Me, la devastante Screams of Blood e l’iperclassica – per via dei riff affilatissimi anni Ottanta – Dream of a Freedom Day.

La produzione è degna e ben bilanciata, ma il reale problema dei Powerful è il cantato: buona parte del disco è pervasa da inutili falsetti che risultano spesso fuori luogo e alla lunga tendono addirittura ad essere fastidiosi. Inutile sottolineare che questa pecca va ad inficiare negativamente l’economia generale della proposta della band italiana che, per compiere il vero salto di qualità, deve in primis migliorare la situazione dietro al microfono.   

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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