Recensione: What Stirs Within
“What Stirs Within” è il debut album degli Era Vulgaris, progressive band irlandese che ha prescelto un esordio di dotata personalità e sfrontatezza. Non senza correre rischi, naturalmente. A momenti l’aggressivo fluire del sound suona di post-thrash, in altri sembra adagiarsi sul letto di un quieto fiume notturno, con sonorità al limite del black metal. Risultato è che il mood si attesta a volte caldo, a volte freddo e meditativo e, per questo, ancora troppo eterogeneo per essere ricordato con naturalezza, soprattutto se si considera che, attraverso questi “passaggi” di stile, la band tende ad inciampare perché le sfumature non sono sufficienti a determinare continuità esecutiva.
Un primo ascolto lascia quindi agrodolci feedback e non convince del tutto. I punti interrogativi da annotare sorgono in seguito ad alcune circostanze poco chiare e stridenti.
La prima è una costante sensazione di attrito tra il cantato grattato e le fluide melodie in cui si raffina lo sviluppo dei brani. L’effetto porta a qualche dissonanza che sarebbe stata meglio curata con un po’ più di sensibilità compositiva.
La seconda è l’aver “osato” troppo in termini di variazioni ritmiche e, per questo, non è rara la tentazione di skippare il brano in ascolto per desiderare qualcosa di più catchy.
La produzione troppo limpida invece toglie poesia a certe congiunzioni predisposte per crear magia ovvero a quei settori di canzone nei quali le ritmiche si adagiano su battute rallentate e dalle quali ci si aspetterebbe maggior “oscurità” artistica.
Forte di un songwriting ricco di elementi e stili strumentali l’album vive momenti progressive death, come potrete sentirne con Mark It Zero o Harmonic Discontent, piuttosto che godere dei ricami ipnotici del doom di Imram, umettato di distorsioni acide ed annichilenti ritmiche cadenzate. Va inoltre annoverato un cantato capace di uno scream decisamente incisivo e, non ultimo, atto ad intrepretare anche numerevoli stacchi groove che impreziosiscono l’ascolto.
Punto forte i moduli ritmici: Chris Con e Chris Rob costruiscono delle sezioni di supporto ai temi principali di tutto rispetto e questo realizza un caposaldo dal quale poter intraprendere una nuova via, più orientata alla sostanza che alla quantità. Nel complesso operativo strumentale il disco mostra di sé dei contenuti che hanno midollo e scheletri solidi come i già citati cantati in grado di donare energia e solidità ai refrain ed ai break, delle ritmiche arcigne e convincenti e una perizia tecnica di consolidata sostanza.
Resta invece l’amaro in bocca, come già detto, per non aver saputo dosare bene la moltitudine di ingredienti di cui il prodotto è infarcito.
Il tutto sarebbe, quindi, da rivedere in termini di idee perché, al momento, sembra persistere una certa turbolenza capace più di allontanare che di calamitare. Sono altresì certo che il combo irlandese saprà a breve uscire dall’occhio di un ciclone che, ora come ora, nasconde quello che è il reale potenziale di una band interessante e dalle idee che sanno di vincente.
Disco da ascoltare e da tenere in considerazione perché – è molto probabile – da qui a breve servirà da termine di paragone per qualcosa di più maturo.
In conclusione: nessuna bocciatura, però si deve e si può fare di più, meditando sul già fatto, sfrondando il superfluo e l’eccessivo per focalizzare i punti di forza, legarli e trasformarli in musica. Quella volta noi saremo qui ad applaudire.
Nicola “nik76” Furlan
Tracklist:
01 Brittle
02 Just Ask Yourself
03 Mark It Zero
04 Limb from Limb
05 I Must Have Your Brain
06 Fate Draws a Curtain
07 Harmonic Discontent
08 Imram
Line up:
Chris Rob: Voce e chitarra
Dave Buttner: Basso e voce
Jim Kent: Chitarra
Chris Con: Batteria