Recensione: Where Echoes Gather

Di Roberto Gelmi - 9 Dicembre 2017 - 10:00
Where Echoes Gather
Band: Communic
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
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65

Quinto album per i norvegesi Communic, vicini al traguardo dei 15 anni di carriera. Curiosa la storia del combo scandinavo, sempre fautore di un buon prog. quadrato e diretto (addirittura avvicinati ai Nervermore da alcuni), però mai arrivati al vero successo, un po’ come accaduto a band quali Threshold e Poverty’s No Crime. Where Echoes Gather è un altro disco in pieno stile Communic (ottimo artwork tra l’altro), 50 minuti di musica inedita divisi in nove brani, sempre dal minutaggio sostenuto (non vale il giochetto di dividere le tracce in due parti). Chi ascolta la musica del trio norvegese sa che non deve cercare orecchiabilità e canzoni catchy, ma cavalcate heavy e metallo che cola, senza contare una certa monotonia di fondo nelle soluzioni ritmiche e d’arrangiamento.

I primi due pezzi, “The Pulse of the Earth” pt. I e II, in questo senso confermano la coerenza stilistica e inossidabile degli scandinavi. Basta immergersi nei primi minuti per ritrovare le tinte smagate e marziali di Stensland & Co. Non manca la doppia cassa, certa visionarietà della terra dei fiordi e linee vocali magnetiche: le chitarre non vogliono “svecchiarsi” avvicinandosi a sonorità djent, ma tutto è pesante al punto giusto come dieci anni fa. La prima parte della title-track ha un attacco potente e ieratico, abbondano i tremoli e la voce ricorda più che mai quella di Warrel Dane. Tutto scorre senza soluzione di continuità ma inizia a farsi sentire una certa monotonia nelle soluzioni strumentali. Fortunatamente la pt. II, “The Underground Swine”, presenta degli intrecci sonori più progressive, oltre che una parte thrash al quarto minuto. Serve un attimo per rifiatare e come manna dal cielo arriva l’inizio semiacustico di “Moondance”, che si rifà latamente al main riff di “Nothing Else Matters” dei Metallica. Forse il miglior brano in scaletta, crepuscolare, con le giuste accelerazioni e cori suggestivi. La cattiveria torna con la seguente “Where History Lives”, altra song con un attacco al cardiopalmo e un assolo di chitarra virtuosistico quanto basta. “Black Flag of Hate” continua il percorso sonoro del platter sugli stessi binari, non si capisce il perché di un simile sfoggio monocorde di potenza fine a se stesso. Le danze si chiudono con “The Claws of the Sea”, suite in due parti, sicuramente ambiziosa ma troppo prevedibile. Come tracce bonus troviamo due pezzi di Waves of Visual Decay ri-registrati e la bella versione acustica della title-track del 2006, così da arrivare ai 74 minuti complessivi.

Che aggiungere? Where Echoes Gather è un disco pensato per I fan del combo norvegese; i Communic difficilmente faranno nuovi proseliti perseverando nella loro ricerca di un metal troppo granitico e fine a se stesso. Il disco merita comunque una sufficienza piena, di più è chiedere troppo.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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