Recensione: Will to Power

Di Michele Puma Palamidessi - 21 Settembre 2017 - 0:00
Will to Power
Band: Arch Enemy
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Sono passati tre anni da quel “War Eternal” tanto atteso ma molto bistrattato dalla critica, un album di cui in tanti avevano posto i loro migliori auspici, soprattutto per il cambio imponente nella line-up degli Arch Enemy: l’abbandono alle scene di Angela Gossow e il successivo quanto immediato approdo dell’avvenente e versatile cantante canadese Alissa White-Gulz, così come la presenza provvisoria di Nick Corle alla seconda chitarra.

L’album purtroppo non fece fare quel salto di qualità alla formazione che tanti si sarebbero aspettati e di cui la band aveva assolutamente bisogno. Successivamente, alla corte di Amott, debuttò uno dei chitarristi più virtuosi e rivoluzionari del mondo metal, ovvero Jeff Loomis (ex-Nevermore). Un cambiamento tanto atteso e sorprendente, infatti i risultati arrivarono subito in sede live, dove si fece già notare con il suo background e la sua grande abilità alle corde. Il cambio fece sin da subito aumentare ai fan l’attesa per una loro nuova pubblicazione di inediti e difatti “Will The Power”, annunciato per questo fine 2017, porta dietro di sé un importante compito: quello di far rinascere una band che negli ultimi anni ha visto un grosso calo d’ispirazione. Questa volta, soprattutto con l’ingresso di un grande come Loomis, ci si aspetta  un lavoro che abbia il compito di far rinascere e rivoluzionare un sound ormai ristagnatosi nel tempo. 

Le premesse ci sono, saranno mantenute?

“Will the Power” è un platter che si suddivide in dodici brani per una durata totale di cinquantatré minuti. La partenza avviene con l’intro strumentale ‘Set Flame to the Night’, che fa da preludio alla potente e aggressiva ‘The Race’. Una song incandescente, un’autentica mitragliata per chi è abituato alle ultime sonorità, troppo melodiche. Questo brano è un vero e proprio assalto frontale di artiglieria pesante. Qui c’è tutto, cattiveria, velocità e un’Alissa veramente in forma. Inizio molto sorprendente. L’album continua con ‘Blood in the Water’, una traccia che riporta i Nostri a sonorità più familiari e meno aggressive, un buon pezzo dove le linee di chitarra con il giusto guitar-working  si fanno notare, soprattutto con un assolo abbastanza riuscito.

Successivamente ci s’imbatte nei due singoli promozionali. Il primo, pubblicato sui vari social, ‘The World Is Your’. Una classica hit che fa da manifesto a ogni uscita discografica della band, molto orecchiabile, melodico ma non sorprendente nel ritornello. Invece, il secondo brano pubblicato, ‘The Eagles Fly Alone’, risulta melodicamente più lento con sonorità in mid-tempo ma che non riesce a convincere appieno l’ascoltatore. Una canzone che sin dall’inizio sembra voler decollare ma che purtroppo non trova il giusto attacco.

Dopo queste due parentesi incontriamo una delle composizioni più sorprendenti di questo nuovo lavoro targato Arch Enemy, cioè ‘Reason to Believe’. Una semi-ballad in chiave heavy nella quale si vede Alissa cantare in tonalità puramente clean. Un pezzo che è un crescendo di tonalità sino ad arrivare al ritornello, a uso dei fan più puristi della band. Una song come questa può apparire anomala e fuori contesto ma, dopo qualche ascolto, può farsi veramente apprezzare nella sua particolarità.

Le successive ‘Murder Scene’ e ‘First Day in Hell’ sono una coppia di brani tirati e martellanti che riprendono, seppur in maniera meno diretta, il sound del primo pezzo. Atmosfere sinistre e un mood  aggressivo se non apocalittico, specie nel secondo dei due, in cui le melodie si fanno veramente più lente e infernali. 

Dopo l’onirica strumentale ‘Saturnine’, fa capolino uno dei migliori brani del platter, cioè ‘Dream of Retribution’, un episodio in crescendo con melodie magniloquenti che sfociano in una martellante pioggia di riff. Molti cambi ritmici e punti strumentali che danno al pezzo quell’epicità dal gusto struggente. Grande songwriting e Jeff Loomis sugli scudi assieme a Michael Amott,  così come il growl di Alissa che, come non mai, impreziosisce un brano veramente coinvolgente e altisonante. La successiva ‘My Shadow and I’ continua sulla scia della canzone precedente: riff taglienti, Alissa sempre in grande spolvero, buon ritornello che non abbassa mai l’attenzione dell’ascoltatore per poi farci imbattere nell’ultima track dell’album. Il gran finale. ‘I Fight a Must Win’, un brano  molto dinamico, grandi arcate e soprattutto Alissa che alterna con abilità il suo growl allo scream. Ottima prova del batterista Erlandsonn che, dietro alle pelli, è peggio di un AK-47 e altra grande prestazione del duo Amott/Loomis. Una degna chiusura.

Che dire di questo “Will the Power”? Ha veramente mantenuto le premesse? Diciamo che questo nuovo full-length ha abbastanza sorpreso chi scrive. Principalmente per i due singoli promozionali, che non hanno esaltato più di tanto all’epoca della loro pubblicazione. “Will the Power”, però, ha dato, seppur non in maniera decisiva, una ventata di aria fresca al sound. Brani tiratissimi come ‘The Race’ e ‘Murder Scene’ non si sentivano da diverso tempo. L’atipica semi-ballad in chiave heavy ‘Reason to Live’, ove Alissa canta con tonalità pulite, è di fatto una vera novità; così come le epicheggianti ‘Dream of Retribution’ e ‘I Fighy a Must Win’, in cui il buon Jeff Loomis, seppure non al massimo della sua libertà compositiva, comincia a farsi notare. Un platter veramente di buona qualità, un vero punto di partenza rispetto al precedente “War Eternal”. Un album dal gusto più dinamico rispetto alle ultime uscite, con alcune scelte coraggiose ma ben riuscite. 

Si rammenta di un detto di un celebre poeta di fine ‘800: «se non si osa nulla, non si può neppure vincere nulla»

Michele Puma Palamidessi

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