Recensione: Winged Waltz

Di Francesco "Caleb" Papaleo - 21 Aprile 2016 - 16:02
Winged Waltz
Band: October Tide
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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65

Arriva dopo tre anni il successore di “Tunnel of No Light”, disco di sufficiente spessore, che però, a onor del vero, nulla aveva aggiunto o tolto alla carriera degli svedesi October Tide. Band, lo ricordiamo, nata anni orsono come side-project per mezzo di Jonas Renkse e Fredrik Normann, all’epoca membri stabili dei Katatonia, poi rimasta inerte per diverso tempo fino a quando Normann stesso decise di resuscitarla. Complice pure, nel frattempo, il suo abbandono della formazione principale.

Lo stile degli October Tide, comunque, anche se parecchio ha in comune con tutto quanto rappresentava il portato dei vecchi Katatonia (e le influenze si sentono: parliamo ovviamente di album quali, ad esempio “Brave Murder Day”, non di certo di quelli più recenti), con gli anni se ne è sempre distinto, per i tempi maggiormente cadenzati e di stile plasticamente doom, per il cantato rigorosamente in growl, per il gusto di creare atmosfere rarefatte ma che ricalcassero più l’ambito funereo e tetro, che non quello gotico. Il tutto condito dal talento di Normann e dalle idee che (assieme al fondamentale contributo di Renkse stesso), riuscì bene a esprimere in dischi dal valore assoluto per la scena death/doom quali “Rain Without End” e “Grey Dawn”. Lavori che oggi hanno, rispettivamente, 19 e 17 anni e di cui gli October Tide, con le successive uscite, sembra abbiano vissuto di luce riflessa, non riuscendo a divincolarsi dallo stile musicale derivato che li ha contraddistinti e che li ha resi noti al pubblico di appassionati che, però, da adesso e a ogni loro uscita, sembra già sapranno che cosa aspettarsi.

Arriviamo, nello specifico, al presente “Winged Waltz”. Ho scritto che ci sono voluti tre anni per comporlo e darlo alle stampe e il risultato non si discosta, se non per qualche accento trascurabile, da quello che si è ascoltato in “Tunnel of No Light” o meglio ancora in “A Thin Shell” (terzultimo loro disco) che, tra atmosfere prettamente oppressive e brumose e strutture strumentali dal piglio aggressivo e grezzo, aveva valorizzato maggiormente il primo aspetto, miscelandolo con una buona dose di melodia che lo rendesse più fruibile alle orecchie anche di chi a certi generi non è troppo avvezzo. La rotta oggi, diciamolo, non è cambiata affatto.

Non parlo, ovviamente, in termini negativi in assoluto. Occorre comunque puntualizzare che nessuno dei brani di “Winged Waltz” rappresenta un riempitivo (quello sì, sarebbe il male assoluto), per carità! Se parliamo di livelli compositivi e di esecuzione, lo spessore rimane alto per tutti i cinquanta minuti circa della sua durata. Il problema, piuttosto, sembra essere la timidezza nel non aver voluto percorrere nuove e diverse forme espressive, pur avendo tutti i mezzi per farlo. Persino rimanendo nello stesso ambito come del resto altri loro colleghi con molto in comune (forse troppo?), gli Swallow The Sun, hanno già ampiamente dimostrato di saper praticare, distinguendosi e, aggiungerei, con che risultati!

Brani come ‘Swarm’ e soprattutto ‘Nursed by the Cold’ sono, nel loro piccolo, dei gioielli di disperazione che molto donano all’atmosfera apocalittica e marziale d’insieme. Magistralmente eseguiti, oltretutto. Però la loro struttura sembra essere sempre fine a se stessa, legandosi troppo agli altri sei pezzi, che alla fine forse hanno la caratteristica del dover essere presi più nell’insieme che non singolarmente per essere apprezzati. Questo, a me, ha dato la netta impressione di trovarmi in mezzo ad un lavoro che reitera e, per certi versi esagera, nel reinterpretare quanto già fatto perché, pur non potendo parlare d’idee stantie, quantomeno si può parlare di troppa ripetitività, forse dettata da troppa autoreferenzialità. Che, poi, ribadisco, i contenuti di quanto sia già stato percorso, siano estremamente validi e affascinanti, non è in discussione. Questo però non può prescindere dall’impressione che “Winged Waltz” da: ovvero che, spiace dirlo, gli October Tide non abbiano fatto altro che confezionare un disco secondo una formula già rodata dagli anni (ormai tanti) di attività, senza voler rischiare nulla.

Certo, chi è appassionato della band obietterà che brani come ‘Lost in Rapture’ e ‘A Question Ignite’ sono episodi da manuale per chi si dedica a una certa qual maniera di suonare death/doom metal, e probabilmente avrà più di qualche ragione: purtroppo però, quel che rimane è solo quello, dato che di canzoni che si ascoltino e riascoltino decine di volte, anche a distanza di tempo, non ce ne sono (e questa, personalmente, era la peculiarità degli October Tide). Se non, appunto, per quanto riguarda la già citata ‘Nursed by the Cold’, insufficiente comunque, da sola, a tenere alto il valore di questo disco.

Confesso quindi, alla fine, la mia mezza delusione. Anche se questo disco lo si ascolta con innegabile piacere, non è quello che mi aspettavo: una band che suona da vent’anni. Anche (e soprattutto) se ha dimostrato di saper comporre musica di assoluta caratura, non può pretendere di reiterare se stessa all’infinito, perché anche il più incallito dei fan, prima o poi, preferirà continuare a riascoltare i vecchi lavori, anziché appassionarsi ai nuovi, perché saprà già di trovarli poco interessanti.

Peccato. Serve un deciso cambiamento per gli October Tide.

Francesco “Caleb” Papaleo

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