Recensione: With The Dead

Di Andrea Poletti - 21 Dicembre 2015 - 10:26
With The Dead
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2015
Nazione:
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81

 

Open wide – let me inside. I am your virus, I am your virus

Apri bene- lasciami entrare. Io sono il tuo virus, Io sono il tuo virus

 

Il doom è un affare per pochi eletti: lento soffocante ed abissale, riesce in rari casi dimostrare la sua vera potenza psicologica su di un ascoltatore. Gruppi improvvisati, musicisti senza personalità ed ogni sottospecie di genio improvvisato tentano la strada del doom con risultati di scarso valore artistico; quei pochi che invece vivono, respirano, pensano in modalità doom ogni singolo giorno della loro vita offriranno sempre e comunque un sentiero in discesa verso gli inferi,verso le tenebre dove la musica fatta col cuore (nero) porta a galla gli umori superficiali. Lee Dorrian (Ex frontman dei Cathedral) Tim Bagshaw (Ex chitarrista degli Electric Wizard) e Mark Greening (Electric Wizard anch’egli) non sono i primi sciocchi che si aggirano per le sinistre radure dell’oscuro genere, presentarli sarebbe come fare loro un dispetto. Come si suol dire, gallina vecchia fa buon brodo e, a dispetto di ogni preconcetto, questa nuova “undergound-super-band” sforna un primo capitolo che definire sublime è riduttivo. Prendere il suono glaciale e catacombale degli Electric Wizard dell’epoca Dopethrone (!) e miscelarlo con delle melodie care agli ultimi Cathedral non è roba per molti, una cascata nera e glaciale cade sopra l’ascoltatore che in pochissimi minuti si trova dentro un vortice di malessere come poche volte può accadere. With the Dead è un album ostico, non per tutti ma che riesce nell’arduo compito di farsi notare, senza proferire parole inadatte, riuscendo attraverso la sua messa nera a suggellare probabilmente uno dei dieci migliori album del doom nel 2015. Andiamo con ordine, i morti non hanno fretta solitamente.

Partiamo dalla superficie, da quella cover tanto semplice quanto efficace: tre loschi figuri in versione prete, un turibolo per consacrare la benedizione ai malcapitati di turno ed uno stile retro-vintage settantiano a livello grafico ricercato nei minimi dettagli. Chi riesce ad unire i puntini di questi semplici tre fattori potrà ben capire che di ritornelli scanzonati, melodie orecchiabili e abbracci di cortesia non v’è neppure l’ombra. Un album composto di sole sei tracce con una durata media di sei minuti per entrare in contatto con l’ignoto, il maligno, con quell’amplesso che stuzzica il decadentismo melodrammatico insito in ogni essere umano prima di appoggiarsi sul davanzale della solitudine. Una musica nata negli anni ‘70 che prende forma del doom dei 90 per uscire attraverso una produzione efficace e chirurgica del contemporaneo. Una miscela di sensazioni e stratificazioni sonore che possono essere si facilmente identificabili nelle due band principe precedentemente accennate ma non solo, il pregio più grande di questa creatura è l’essere riuscita ad identificarsi all’interno di un suono che è classificabile quale unico, sia a livello compositivo – lirico che musico – strumentale.

 

This murdered heart

This blackened soul

Anguish all I hold

Life’s taken its toll

 

Questo cuore assassinato

Quest’anima incupita

L’angoscia è tutto ciò che possiedo

La vita ha preso il suo pegno.

 

Spesso, come capita, non è solo la musica a rendere ineguagliabile un album, sono i testi che diventano parte fondamentale di un unicum al quale corrispondere ogni propria sensazione, ogni emozione, ogni ostilità verso quel dolore che ci tiene uniti verso un fine comune: la morte certa. I With the Dead già dal nome ci introducono all’interno di un micro mondo fatto di malesseri, superficialità e annullamento vitale in proporzione alla necessità di vita. Canzoni catatoniche ed angosciati quali le magistrali The Cross e Nephtys portano al loro interno un realismo letterario e musicale mai quanto oggi sentito e respirato sino al midollo. Lente e stratificate composizioni che si innestano come bilancieri nelle costole dell’uomo per sostenerlo attraverso il tragitto che li porta dal regno dei “vivi” a quell’eterno immateriale purgatorio. Un groove che, controllato magnificamente, riesce a donare carattere e verve settantiana senza scendere nei classici cliché del riesumare a tutti i costi entità di ben altro spessore. Living with the dead a dispetto di quello appena detto sorvola tangenzialmente coordinate stoner senza disdegnare uno sguardo verso quel contemporaneo, come già detto, che li porta a passeggio attraverso un retroavanguardismo scellerato ed irrazionale. Una canzone lenta e surreale con una sana dose di psichedelica iniettata sottopelle che suggella insieme alla successiva I Am Your Virus una combo da brividi per calarsi a tu per tu con le nefandezze di un inverno vitale in ogni suo aspetto. Musica che va ascoltata di notte, musica da cuffia e buio, mente il mondo dorme e tu sigilli il tuo patto con il silenzio dell’oscurità. Le aperture acustiche che lasciano respirare in certi frangenti zolfo puro, dove i fantasmi lungo i corridoi dei cimiteri sollazzano e schiamazzano facendoti preda di incubi ad occhi aperti. Un album suonato con la consapevolezza di avere a disposizione una tecnica ed un’esperienza acquisite in anni di esperienza, anni dedicati al culto del genere più viscerale e mentalmente estremo di sempre.

Più ci si addentra nelle interiora del disco e più si viene inghiottiti tra le fauci di una disperata ricerca di aria, prima di morire silenziosamente urlando all’interno della propria tomba. Proprio Screaming In My Own Grave chiude il cerchio soffocando ogni parola, otto minuti abbondanti di insano doom che rende giustizia a quella parola speso abusata sfacciatamente che prende il nome di capolavoro. Non l’album, non la band ma la traccia conclusiva, oltre ad essere il diamante dell’album, può essere inscritta senza problemi tra le canzoni doom più belle degli ultimi dieci – quindici anni senza proferir parola. Non c’è da spiegarla, raccontarla o descriverla; è semplicemente “da applausi”.

 

Chiudiamo la bara, chiudiamo le porte perché fuori tira un vento gelido, glaciale e senza sogni da ricordare. With the Dead non è solo il nome di quest’album ma di un gruppo che, chiudendo il proprio passato in un angolo, ha saputo rimettersi in gioco ripartendo da zero e, con la consapevolezza dei propri mezzi messi a disposizione da madre natura, forgia uno dei picchi più alti del doom di quest’anno. Per ogni amante che si definisca tale di queste sonorità c’è da far brillare gli occhi e noi, come per dovere ma sempre per piacere, vi raccontiamo di un disco sopra le righe che non necessità altro che della vostra morte.

Ora e per sempre. Amen.

 

Take my hand in this life

Join me in this love, in my own death

 

Prendi la mia mano in questa vita

Unisciti a me in questo amore, nella mia morte.

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