Recensione: Wolves At War’s End
Strano genere, il thrash …
Dato più volte per defunto, è sempre risorto dalle proprie ceneri riuscendo ad arrivare, indenne, al 2010. Un traguardo incredibile se si pensa che nella prima metà degli anni ottanta, quando nacque, la categoria era già considerata una figlia degenere, rozza e involuta dell’allora risplendente Heavy Metal. Involuta, appunto; quindi inabile a progredire mediante la darwiniana maniera. Fatto, questo, che la Storia del metal ha dimostrato essere falso.
In mezzo a coloro i quali hanno tenuto insieme la baracca, anzi trasformandola in palazzo (Forbidden …), e a quelli che non si sono preoccupati più di tanto di modificare il proprio stile (Sodom …), si possono inserire gruppi come gli Hammerlord. Gente, cioè, che ha saputo conservare intatto il gusto forte della specie, adattandola tuttavia ai cambiamenti che, man mano, avvenivano nell’habitat naturale della specie medesima.
Probabilmente i Nostri, che provengono dal Kansas, sono stati facilitati, in ciò, dal fatto di essere un complesso formatosi in epoca recente. Anzi, recentissima, giacché si parla del 2007. E da lì, il primo full-length (“Hammerlord”, 2008) e “Wolves At War’s End”, uscito nemmeno cinque mesi fa. Il combo di Lawrence, quindi, propina una fresca pietanza ipervitaminica e rovente, cucinata sui fuochi alimentati dall’U.S. Speed Metal. Sono piuttosto lontani, difatti, i modelli della Bay Area, così come quelli tedeschi o brasiliani; essendo per contro più vicini act statunitensi quali Anthrax, Helstar o Lääz Rockit.
Per tornare al discorso più sopra accennato, il sound degli Hammerlord si dimostra pimpante, agile e genuino. Classico ma non stantio, tutto muscoli e sudore. Gli elementi dell’ortodossia sia dell’heavy sia del thrash sono presenti all’appello, allineati in modo convenzionale senza risultare, per questo, anacronistici (“The Anomaly Rue”). In ciò sono decisive sia la voce di Stevie Cruz, sia le asce di Ty Scott e J.P. Gaughan. Il primo interpreta in maniera direi impeccabile – per il genere – le linee vocali con il suo tono un po’ roco, molto aggressivo (“Tombstone Piledriver”); i secondi si rivelano una coppia affiatata e omogenea, battagliera (“Demon Fever”, “Wolves At War’s End”), dotata, soprattutto, di una buona dose di gusto e raffinatezza (“Creating Destruction”). I riff «girano» assai bene, rincorrendosi per il rigo musicale senza mai perdere la bussola, anzi trovando sempre la quadratura del cerchio (“Cloudspitter”). Un lavoro corposo, quindi, abbondante sia in qualità sia in quantità; sostenuto comunque da una sezione ritmica che non perde mai un colpo. Capace, anche, di non limitarsi a proporre la solita zuppa (“Storm The Castle”), con momenti da headbanging puro che si alternano ai tipici, cadenzati mid-tempo da frattura vertebrale (“The Ballad Of Rusty Tomaki”).
Per essere una label underground, inoltre, l’Init Records fornisce al gruppo americano la possibilità di fossilizzare la propria forza dirompente senza decomposizione: per rendersene conto, è sufficiente girare ben bene la manopola del volume del riproduttore musicale di turno …
Certo, nel complesso “Wolves At War’s End” non stupisce per una particolare originalità o per la presenza di soluzioni innovative. Tutto quanto necessario a un thrasher di ogni epoca per passare con piacere quaranta minuti di musica, però, c’è.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Demon Fever 3:16
2. Storm The Castle 4:40
3. Tombstone Piledriver 4:13
4. Cloudspitter 2:48
5. Wolves At War’s End 5:31
6. The Ballad Of Rusty Tomaki 3:41
7. Hammerlord 5:37
8. The Anomaly Rue 5:46
9. Creating Destruction 4:50
Line-up:
Stevie Cruz – Lead Vocals
Ty Scott – Guitar
J.P. Gaughan – Guitar
Terry Taylor – Bass, Backing Vocals
Adam “Hammerlord” Mitchell – Drums