Recensione: XLIX

Di Alessandro Marrone - 12 Aprile 2021 - 7:00
XLIX
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Con l’immenso patrimonio culturale del nostro “Bel Paese”, era davvero ora che qualche gruppo decidesse di ricercare un mistero romantico attorno al quale costruire il proprio lavoro. È questo il caso dei romagnoli Crawling Chaos, quartetto attivo dal 2008 e che giunge – sul finire del 2020 – al traguardo del secondo disco. Intitolato XLIX e con un sound e un songwriting ancora più maturo del già notevole Repellent Gastronomy pubblicato nel 2013, abbiamo a che fare con un concept album sviluppato attorno a “Il Principe”, scritto da Niccolò Machiavelli nel sedicesimo secolo. Un lavoro ambizioso, intellettuale e che ripone nelle indiscutibili qualità tecniche della formazione nostrana un impatto tipicamente death metal, reso sapientemente più colto da contaminazioni che attingono dai compianti Death, ma ancor più da Obscura e Gorguts, in particolare grazie ad una sezione ritmica da applausi a scena aperta.

L’opener My Golden Age mette in chiaro che dietro alla possente voce di Manuel Guerrieri c’è una tessitura accuratamente stratificata e capace di guidare l’ascoltatore lungo un brano che ben rappresenta l’identità di una band in stato di grazia. All’interno del concept, entriamo ben presto in sintonia con l’anonimo protagonista che offre il proprio e unico punto di vista sulla vicenda. Sin da subito ci sentiamo attratti da questa malevolenza che trova sfogo attraverso un sound cupo, duro e abile nel tinteggiare un’atmosfera occulta e che riesce ad alternare quelli che sono gli stati d’animo percepiti nel momento in cui il protagonista entra in contatto con l’edizione perduta del capolavoro di Machiavelli. A quel punto, nella feroce ricerca del potere assoluto e per gli eventi scatenati, sembra che qualcosa, sino a quel momento nascosto chissà dove, abbia interrotto il proprio ancestrale sonno.

XLIX viaggia sul confine mai abbastanza inesplorato di un sound contemporaneo, che però ben si interseca a sonorità più marcatamente old school, il tutto senza sbilanciare troppo la propria identità da un lato o dall’altro. Gli intermezzi declamati in lingua originale altro non fanno che accentuare il senso di appartenenza a qualcosa di più intellettuale, elaborato e anche musicalmente sopraffino: in questo caso l’utilizzo del basso fretless permette di mantenere l’impronta death metal su binari maggiormente votati al tecnicismo, piuttosto che ad un estremismo fine a se stesso. La produzione è anch’essa ottima e il minutaggio medio piuttosto elevato offerto dai 7 brani dell’album conferma che la band abbia prima ragionato e poi sviluppato il proprio tomo attorno a quegli schemi che mescolano il metal tecnico ad un avvincente racconto, figlio delle intricate trame contemporanee, tuttavia puro discendente di un periodo romanticamente molto più malvagio del secolo in cui viviamo.

49th, Or The Law Of Desperation e la precedente Block And A Bloody Knife, sono due ulteriori esempi della compattezza sonora messa in campo dai Crawling Chaos, i quali giunti a questo punto abbandonano definitivamente – almeno dal punto di vista emozionale – qualsivoglia richiamo con i sopracitati Obscura e Gorguts, in questo caso più propensi ad argomenti rivolti verso il freddo vuoto cosmico. Abbiamo un’impronta più cupa e la scelta di aver definito il proprio secondo full-length come un romanzo della durata di 40 minuti premia una mossa sicuramente più rischiosa, perché in parte rivolta ad un pubblico in grado di apprezzare il lavoro nella sua totalità. Ishnigarrab, Or The Awful Offspring Of The Goat è però dal canto suo, l’esempio di come i Crawling Chaos girino bene anche quando si tratta di scrivere un brano al di sotto dei quattro minuti, pur sempre gettando nel calderone tutti gli ingredienti di un sound personale e che raramente capita di trovare sugli scaffali.

XLIX è un disco estremo, sicuramente complesso ma a suo modo anche talmente chiaro da permettere di essere compreso e assimilato sin dai primissimi ascolti. Con il tempo saprà svelare i segreti celati tra le righe e mostrare come anche il posizionamento dei brani all’interno del disco non sia affatto casuale. Che poi sia tutto pianificato a tavolino o sia parzialmente parte di una casualità dovuta al fortunato allineamento di qualche stella non è dato saperlo e tantomeno ci importa. La malinconica melodia che introduce Covered In Debris non ce la saremmo mai aspettata e arrivati quasi all’epilogo, essere ancora in grado di sorprenderci e lasciarci a bocca aperta, non fa altro che aumentare un coinvolgimento eguagliato soltanto da quei dischi che di solito si etichettano come favoriti. I Crawling Chaos hanno dato alla luce un autentico capolavoro, al quale è davvero difficile muovere critiche (a costo di sembrare retorico, qualche parte solista si sarebbe integrata bene, soprattutto vista la durata media dei brani) e verso il quale non si può restare impassibili.

Il difetto, se così vogliamo definirlo, di XLIX è quello di aver creato un punto di riferimento estremamente alto, con il quale la band dovrà confrontarsi con il prossimo album. Ma non c’è fretta, ancora 7 minuti per la conclusiva e tormentata Doom Of Babylonia, un’altra perla che illumina il buio che un lavoro simile genera attorno a sé, spazzando via gli inutili paragoni con grandi band del passato e del presente, dato che con un tomo di questo livello, anche i romagnoli meritano un posto d’onore. Non resta che ricominciare dal principio e ad ogni ascolto addentrarsi ancora più in profondità nella romantica decadenza di un’opera d’altri tempi che si proietta al futuro con machiavellica sete di onniscienza e potere.

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