Recensione: Ymir

Di Manuele Marconi - 29 Novembre 2020 - 14:47
Ymir
Band: Ymir
Etichetta: Werewolf records
Genere: Black 
Anno: 2020
Nazione:
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83

La Finlandia fa parte del trittico (se vogliamo del quartetto, aggiungendo la Danimarca) scandinavo, lo zoccolo duro, la glaciale fucina del black metal. Seppur forse meno florida rispetto alle sorelle Norvegia e Svezia, ha però sempre avuto numerose frecce per il proprio arco, che hanno spesso mantenuto una particolare aura di band underground e contemporaneamente conosciute al “grande” pubblico. Questa caratteristica ha dato a certe formazioni di punta (Alghazanth, Horna, Baptism e altri) uno status di “purezza” non facilmente raggiungibile in contesti più affollati e sotto i riflettori. Sarà così anche per gli Ymir?

Il duo finnico propone, nell’omonimo album d’esordio dopo una gestazione di 20 anni, un lavoro ricco di influenze che rimangono tali senza oscurare, ma anzi, sottolineano la personalità della composizione. Parliamo in generale di black metal molto classico, suonato in maniera egregia per tutti i quasi 40 minuti di durata, con una produzione adeguata ed un giusto equilibrio fra complessità compositiva ed accessibilità all’ascolto. Tutte queste qualità rendono l’opera molto fruibile e contemporaneamente soddisfacente, quindi assolutamente mai noiosa.

“From the silent storm of an age undreamed”

La opener ci dà subito un’idea di cosa affronteremo: parte con dei synth molto evocativi, che fanno strada al più tipico dei blast beat, a sostegno di un riff portante incisivo e tagliente. Una pausa a metà brano concede un momento di respiro, seguito da un’ottima ripresa, che si svolge in crescendo. Verso la fine del brano abbiamo il primo riferimento “illustre” del disco: delle voci campionate in background che ricordano i primissimi Emperor. La title track ha un incipit sontuoso, batteria martellante e chitarra che aggredisce la traccia, per poi calmarsi e ripartire all’ingresso della voce senza tregua fino alla fine. Pezzo superlativo. “Winterstorms” parte con un retrogusto che sa di Immortal, brano veramente di atmosfera: trasporta istantaneamente l’ascoltatore in una tormenta di neve in pieno inverno. Il riff principale è molto ispirato, come anche le sezioni vocali (fischieranno le orecchie agli Ulver). La batteria assume un ruolo di punta in tutto l’album, garantendo un muro sonoro continuo e una solidissima base su cui poggia tutta la composizione.

E’ difficile cogliere gli episodi salienti di un album così denso: qualunque fan del black metal più classico della seconda ondata troverà qui casa propria, un connubio di personalità ed ispirazione che sa assolutamente di moderno omaggio e non di blando plagio. Un nuovo figlio della Scandinavia è pronto a regalarci ondate di gelido vento nero.

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