Heavy

Beppe Riva Pillars: recensione Motorhead (Ace of Spades) e Saxon (Strong Arm of the Law)

Di Stefano Ricetti - 10 Novembre 2015 - 12:30
Beppe Riva Pillars: recensione Motorhead (Ace of Spades) e Saxon (Strong Arm of the Law)

Doppia recensione, qui di seguito fedelmente riportata, di due capisaldi dell’HM quali Strong Arm of the Law dei Saxon e Ace of Spades dei Motorhead, così come apparsa all’interno della rivista Rockerilla numero 10 del gennaio 1981, da parte di Beppe Riva.

Buona lettura

Steven Rich  

 

Saxon   band

Saxon

 

 

MOTORHEAD

Ace of Spades

(Bronze)

1980

&

SAXON

“Strong arm of the Law”

(Carrere)

1980

La contemporanea riapparizione sul mercato discografico di Motorhead e Saxon, i più recenti precursori dell’HM New Wave, consente una simultanea verifica di due gruppi, i cui punti di contatto sono palesi: entrambi rappresentano la componente più dilaniante ed ossessiva nella storia delle contese hard, a detta di alcuni “l’heavy metal nel più appropriato senso del termine“, ed inoltre “Ace of Spades” e “Strong Arm of the Law” si confermano opere inflessibilmente “eccessive”, prossime a rasentare le incontenibili deflagrazioni metalliche di “Overkill” e “Wheels of Steel“, vertici assoluti di questi autentici signori del delirio.

 

MOTORHEAD   Ace of Spades

 

La cover di “Ace of Spades” mostra tre sonic desperados immoti nel deserto, e la title track colpisce immediatamente con ferocia premeditata, sospinta dai ritmi irreversibilmente accentuati di Lemmy e Philty Animal, alla cui dinamica massacrante si sottopone anche la solista di Fast Eddie, magistrale nel sottolineare figurazioni spasmodiche. In “Shoot you in the Back“, chitarra wah-wah e percussioni consegnano al suono le parvenze di danza mortale e sibilante, fulminea come l’avventarsi di un serpente a sonagli sulla preda, mentre la voce di Lemmy si tinge di torbida perdizione sensuale in “Fast & Looose“, che dichiara l’incosciente annullamento del protagonista in un vortice di passioni sfrenate.

La seconda facciata si compiace di una struttura scheletrica ed insidiosamente minimale, divisa fra potenza d’urto ed agilità di schemi, particolarmente in “Fire, Fire” e “The Hammer“, dove Motorhead avvicinano come non mai, pur attraverso un approccio inconfondibilmente hard, l’attitudine del suono direttamente improntato alla vita della strada, il Punk Rock sudicio e rovente di UK Subs e Discharge. Parlo comunque a livello di sensazioni epidermiche, facendo attenzione a non generare equivoci terminologici ma anche concettuali su differenti situazioni musicali, che mantengono un coefficiente elevato di distinzione. Dei Motorhead esce concomitantemente anche un EP 12″ in quattro solchi su Big Beat Label, con materiale inedito risalente alle sessions che partorirono il primo album; emergono una versione della “Witchdoctor” di John Mayall, cosparsa di accenti killer, e un’esagitata “intro” strumentale.

 

MOTORHEAD   1980

Motorhead

 

Saxon, per contro, costituiscono una sorta di filiazione dei Motorhead più tipicamente votata ai climi pesanti, pronta ad affondare in profondità i battiti del suono, per una frazione di tempo in più rispetto alle cariche saettanti del power trio di Lemmy, ma similmente distanti da movenze grevi e pachidermiche. Il loro secondo album “Wheels of Steel” li ha imposti come “Brightest hope” nell’annuale referendum di Melody Maker, in una categoria dominata dai discepoli della nuova scuola HM inglese, dove hanno preceduto la loro accanita traslazione femminile, Girlschool, e formazioni strutturalmente più complesse quali Iron Maiden e Def Leppard.

 

SAXON   Strong Arm Of The Law

 

All’indomani della loro comparsa nel live album “Monsters of Rock“, con uno dei primi hit, “Backs to the Wall“, Saxon giungono ad un terzo album chiamato a testimoniare i progressi accertati dall’opera precedente. E l’aquila sassone si dimostra ancora capace di librarsi al di sopra della tumultuosa bolgia HM d’oggi, sospinta da un ormai immarcescibile carisma. L’atto di apertura, “Heavy Metal Thunder“, costituisce la più esauriente prova offerta su vinile dalla band; le chitarre, incrociandosi, richiamano lo scatenarsi delle forze primigenie della natura, e la voce di Biff, stentorea e chiara, resta sola a lottare contro il fragore della tempesta sonora: una performance al calor bianco degna di essere segnalata fra le menzioni d’obbligo dell’hard 1980. Altrettanto audaci nel far proprio un linguaggio dannatamente esasperato, sospesi ad un filo sopra la routine “assordante”, ma ancora pregni di vitalità, risultano episodi come “To Hell and Back Again” e “20,000 FT“, mentre “Hungry Years” evoca inizialmente gli spiragli melodici di “747“, per seppellirli rapidamente sotto le scorie di riff secchi e ficcanti.

In conclusione, Saxon e Motorhead camminano incolumi sul lato selvaggio dell’HM, che ha mietuto più di una vittima fra i nomi privi di un’identità sicura, contrassegnando in termini non esaltanti il prevedibile “rientro in forze” dei Budgie ed il monocorde esordio dei bellicosi Vardis. Cosa rappresenta allora l’asso di spade, se non il rischio di cadere nell’insidia latente di una sciagurata uniformità sonora, priva di punte d’interesse? Intanto, Saxon e Motorhead escono ancora vittoriosi dal loro perenne gioco d’azzardo, e nel riscontro di una scongiurata capitolazione risiede gran parte dell’attrazione sprigionata dalle due band.

BEPPE RIVA

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti