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Labyrinth: l’ascolto in anteprima di “Architecture of a God”

Di Marco Donè - 23 Marzo 2017 - 9:50
Labyrinth: l’ascolto in anteprima di “Architecture of a God”

Il ritorno sulle scene dei toscani Labÿrinth, per l’Italia “metallica”, e non solo, è ben presto diventato uno degli eventi più importanti di questo 2017. Come ben sappiamo, Architecture of a God, questo il titolo dell’ottavo album del combo toscano, uscirà il prossimo 21 aprile. Un ritorno dopo ben sette anni, tanto è trascorso dal precedente full length. Una lunga attesa, che ha visto molti cambiamenti in casa Labÿrinth, a partire dalla lineup. La band toscana, infatti, tra addii e clamorosi ritorni, si presenta con una formazione rivoluzionata, di quelle che non temono il confronto con nessuno.

I Labÿrinth 2017 sono questi: Roberto Tiranti – voce, Andrea Cantarelli – chitarra, Olaf Thörsen – chitarra, Oleg Smirnoff – tastiere, John Macaluso – batteria, Nik Mazzucconi – basso. Nomi di talento ed esperienza che non hanno certo bisogno di presentazioni.

Il sestetto, inoltre, si accasa presso la sempre più importante Frontiers Records, e, grazie alla disponibilità della label campana, TrueMetal.it ha avuto l’onore di poter ascoltare Architecture of a God in anteprima. Eccovi le nostre impressioni a caldo dopo l’ascolto di quello che sta diventando uno dei dischi più attesi dell’anno.

 

 

Bullets: l’apertura del disco viene affidata a una fast song che abbiamo già imparato a conoscere, in quanto risulta essere il secondo singolo estratto dal nuovo lavoro. E’ sufficiente l’intro di tastiera per iniziare un viaggio a ritroso nel tempo, che ci riporta ai primi anni Duemila. Sensazione che viene confermata dall’attacco di chitarra. Una canzone che, in più di qualche frangente, riporta alla mente alcune atmosfere dell’omonimo Labyrinth, pubblicato nel 2003. La traccia si sviluppa in una ritmica veloce e melodica, per poi lasciare spazio a un ritornello cadenzato, che permette a Tiranti di tracciare una linea vocale strappa orecchi. La parte solistica, caratterizzata dall’alternanza Thörsen-Cantarelli-Smirnoff-Thörsen, ben accompagnata da un Macaluso sopra le righe, mette in mostra una band in forma strepitosa. Che inizio!

 

Still Alive: qui i Labÿrinth sollevano il piede dall’acceleratore e, dopo un attacco che richiama da vicino i Queensrÿche di Operation Mindcrime, la canzone, caratterizzata da melodie ricercate e riuscite, si sviluppa in un power dalle classiche partiture italiane, in cui si inseriscono alcune venature prog. Oltre ai “soliti” super-assoli di Thörsen e Cantarelli, spiccano un Tiranti e uno Smirnoff assoluti mattatori della canzone.

 

Take on my Legacy: i tempi ritornano a essere sostenuti, per una canzone che in più di qualche frangente riporta alla mente un disco come Sons of Thunder. Una delle tracce più veloci e violente del lotto, in cui compaiono alcuni elementi di chitarra che ricordano da vicino gli Stratovarius di fine anni Novanta.

 

A New Dream: altro pezzo noto, in quanto risulta essere il primo singolo estratto dal disco, canzone a cui i Labÿrinth hanno affidato il ruolo di presentare l’album al mondo. Dopo l’arpeggio iniziale, che rimanda a un lavoro come Return to Heaven Denied, la track abbassa nuovamente la velocità del platter, puntando sulla melodia, forte di un ritornello riuscitissimo. Va detto che la canzone, resa nota lo scorso 28 febbraio e che, forse, come singolo non aveva convinto a pieno, in questa posizione di tracklist assume maggior fascino.

 

Someone Says: un heavy-power melodico che, nuovamente, ci riporta alla mente l’omonimo Labyrinth, per quella che risulta essere la composizione più happy del disco. Traccia che, sicuramente, darà il meglio di sé in sede live.

 

Random Logic: uno struggente componimento al pianoforte, che mette in mostra tutta l’ispirazione di un talento come Oleg Smirnoff. Ad accompagnarlo, prima con dei sussurri e poi, nel finale, con dei vocalizzi posti in sottofondo, come se fossero in lontananza e arrivassero a noi a mo’ di eco, un Tiranti perfetto interprete delle atmosfere. Una canzone che sembra fungere da perfetto intro per la successiva title track.

 

Architecure of a God: la canzone più articolata e prog del disco che, dal punto di vista emotivo, sembra fortemente legata alla traccia che l’ha preceduta. La track, infatti, sembra voler entrare a contatto con il lato più intimo dell’ascoltatore. I Labÿrinth sfoggiano tutta la propria tecnica e il ruolo di protagonista, questa volta, tocca al nuovo drummer Macaluso. Una canzone che, per poter essere assimilata, necessita di più ascolti.

 

Children: la sorpresa del disco: la cover del famosissimo pezzo dance degli anni Novanta, scritto da Robert Miles. La rilettura in chiave Labÿrinth è riuscitissima e vede Macaluso e Smirnoff fare la voce grossa. Una traccia che sfocia nel prog che, in questa parte di disco, sembra trovare ampio spazio, così come la voglia di entrare a contatto con il lato più introspettivo dell’ascoltatore.

 

Those Days: una semiballad che alterna un arpeggio, su cui si articola la strofa, e un ritornello più energico. Una canzone che permette a Tiranti di mettere in mostra tutta la propria duttilità vocale, ma che, a un primo ascolto, sembra l’anello debole del disco. Anche qui, per poter essere compresa al meglio, servirà qualche ascolto in più.

 

We Belong to Yesterday: dopo un intro caratterizzato da una ritmica di chitarra di chiaro stampo heavy melodico, la canzone prosegue su dei binari heavy-rock, in cui il marchio Labÿrinth risulta ben riconoscibile. Una traccia che si sviluppa alternando arpeggi di chitarra a parti più heavy, trovando il proprio compimento in un ritornello azzeccatissimo. Anche qui, lo spettro di un disco come Labyrinth, è dietro l’angolo. Da sottolineare lo stacco centrale che, rallentando e alleggerendo la canzone, riporta alla mente la splendida Falling Rain da Return to Heaven Denied.

 

Stardust and Ashes: dopo una serie di canzoni caratterizzate da partiture articolate e altre più melodiche, i Labÿrinth tornano a tirar fuori i muscoli spingendo sull’acceleratore. Per come si sviluppa, la traccia sembra uscire direttamente da Sons of Thunder, con un ritornello che riporta alla mente quello di Elegy. Song estremamente convincente.

 

Diamond: il giusto epilogo del disco. Voce, chitarra e tastiere sono gli strumenti che incontriamo durante l’ascolto. Un lavoro ipnotico, a tratti onirico, di Smirnoff alle tastiere, che crea il giusto tappeto sonoro su cui si erge la splendida voce di Tiranti, autore di una prestazione superlativa e fortemente emotiva. Da segnalare i ricercati passaggi di chitarra in apertura e chiusura di traccia. Altra canzone in cui il marchio Labÿrinth è impresso a fuoco.

 

 

Qui finisce il nostro ascolto di Architecture of a God, un lavoro che trova più di qualche somiglianza con quello che i Labÿrinth hanno espresso nel periodo che va da fine anni Novanta all’inizio del nuovo millennio. Un disco che si apre in maniera esplosiva, rallentando in velocità e aumentando la complessità delle proprie trame nella parte centrale, recuperando una certa immediatezza nel finale. Architecture of a God, come più volte accennato, è un lavoro in cui il marchio Labÿrinth, quei Labÿrinth che tanto abbiamo amato, risulta più vivo che mai. Un platter di cui sentiremo parlare spesso nel corso di questo 2017, nonostante in qualche passaggio richieda più ascolti per essere compreso. Noi ne riparleremo a breve…

 

Marco Donè