Recensione: Gravitas

Di Stefano Burini - 21 Marzo 2012 - 0:00
Gravitas
Band: Furyon
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2012
Nazione:
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77

«Since Their Inception Furyon have been a band who like nothing more than to challenge expectations. Raised on a diet of heavy metal, prog, and classic rock, FURYON mix all components  for a truly unique and contemporary sound. Music style: Melodic Hard Rock»

Con queste parole l’italica, e ormai onnipresente, Frontiers Records decide di promuovere il debutto sulla lunga distanza dei britannici Furyon (terzo capitolo ufficiale della loro discografia dopo due EP, “32 Hours” e “Underdog”) e, dato l’abituale target di questa Indie Label, vale la pena di andare ad esaminare il senso di ognuna di esse.

Frontiers si rivolge, nella maggior parte dei casi, ad un pubblico che sa esattamente cosa cerca e cosa ama ascoltare, un pubblico cioé composto molto spesso da intenditori e il più delle volte da nostalgici, come dimostra un rooster in cui campeggiano nomi più o meno grandi del firmamento hair metal degli anni 80 tra cui Toto, Journey, Survivor, Whitesnake e House Of Lords, cui si affiancano realtà più recenti ma dalle sonorità abbastanza tradizionali, quali The Poodles e Work Of Art.

Il sound dei Furyon, al contrario, è decisamente moderno e granitico, vicino a quello della nuova ondata melodica nordamericana (Alter Bridge, Shinedown, Theory Of A Deadman, ultimi Nickelback), e quindi figlio degli anni ’90 e del post grunge per quanto riguarda le atmosfere quanto, viceversa, legato a doppio filo alle due decadi precedenti per esuberanza strumentale e “voltaggio”, decisamente superiore rispetto a quello di gruppi come i 3 Doors Down o i Creed.

Inutile dire, quindi, che l’etichetta “melodic hard rock” potrebbe pesare come un macigno sul giudizio di chi si accingerà ad ascoltare il nuovo “Gravitas” sperando di trovarci tastiere, anthem di grande respiro e grandeur d’arrangiamenti, il tutto all’insegna di uno spirito fondamentalmente “classico”, che fa effettivamente capolino in alcuni frangenti ma che risulta una sorta di “influenza di complemento” su di un intelaiatura, come detto, decisamente moderna.

E sarebbe un peccato, perché al di là di tutto, si tratta di un buon lavoro, tosto, diretto, melodico e, tutto sommato, in buona parte al riparo da quelle ingenuità da sempre tipiche, fatti salvi ben noti casi eccezionali, degli album di debutto. In effetti, osservando le foto promozionali, i componenti della band (Matt Mitchell alla voce, Chris Green e Pat Heath alle chitarre, Alex Bowen al basso e Lee Farmery alla batteria) non sembrano essere degli adolescenti improvvisatisi musicisti e, ascoltando le varie tracce che compongono “Gravitas”, l’impressione rimane immutata. I ragazzi sanno suonare e comporre e, seppure non propongano nulla di particolarmente originale, hanno le idee ben chiare sul “cosa” vogliano suonare, dato anch’esso da non sottovalutare. Conclude il quadro la produzione compatta e ipertrofica a cura di Rick Beato (già udito in azione con Shinedown e Fozzy), a dare un flavour molto professionale e ulteriormente curato al tutto.

Forse, per come siamo abituati, ultimamente, a sentire sonorità arcigne e vigorose abbinate a voci estremamente calde e suadenti (Myles Kennedy, James Michael, Brent Smith e Chad Kroeger, giusto per citare i più quotati), l’unica nota un po’ fuori schema è costituita dalla scelta di un cantante come Matt Mitchell. Dotato di una voce ruvida e sporchissima, non prodigiosa a livello di potenza ed estensione, ma emozionante e piuttosto caratteristica, a tratti a metà strada tra il Sammy Hagar più selvaggio e un Paul Stanley più strozzato, Mitchell dona una notevole dose di personalità alle varie composizioni presenti su “Gravitas”.

“Disappear Again” per suoni e riffing ricorda da vicinissimo l’opener “Flyin’ From The Inside” dallo splendido “Leave a Whisper” degli Shinedown, e seppur la resa della voce di Matt Mitchell non possa essere paragonabile al muro sonoro eretto dalle gomene vocali di Brent Smith, la sua interpretazione risulta ad ogni modo sentita e godibile. Se le maggiori influenze, in quel caso, erano legate alla matrice Staley/Cantrell, in questo brano, (ma anche in seguito) i Furyon optano per un refrain più aperto e doppiato da controcori in stile AOR che denotano una certa varietà di soluzioni. Fin da subito, inoltre, balza all’orecchio l’esplosivo guitar work: gli assolo sono spesso di gusto neoclassicheggiante, velocissimi, tecnici e melodici e rappresentano un ulteriore punto di contatto con la stragione dell’hard/hair/AOR, più che con certo minimalismo grunge/alternative.

A seguire “Stand Like Stone” con un rifferama che pare uscito direttamente dalla magica penna di Mark Tremonti durante le sessions di ABIII, e un atmosfera complessivamente più cupa, con i riffoni tritatutto di Pat Heath e Chris Green che sfumano in maniera incredibilmente naturale verso lidi orientaleggianti. “Souvenirs” è di nuovo Alter Bridge/Shinedown oriented, ma qui Matt Mitchell da fondo a tutte le proprie qualità vocali, soprattutto nell’incazzatissima strofa, prima di uno dei ritornelli meglio riusciti di tutto il disco (non a caso uno dei brani di punta sull’immancabile MySpace curato dalla band). Il pezzo è molto lungo e articolato e dopo una breve pausa c’è spazio nel finale per una reprise e una coda strumentale in cui un sottofondo kashmiriano ben si sposa con distorsioni violente ed un assolo dissonante.

Alter Bridge a volontà, sempre rigorosamente ABIII Era, a questo punto evidentemente una delle maggiori fonti di ispirazione per il gruppo originario di Brighton, anche in “Don’t Follow”, in cui una linea vocale di netta marca ottantiana lega perfettamente ad un côté strumentale oscuro e roccioso alla miglior maniera dei citati maestri.

La successiva “New Way Of Living” ri-bazzica in territori Shinedown: giri di chitarra cadenzati e ipnotici, melodia più chiusa e atmosfere plumbee, mentre l’assolo è al limite dello shredding, supersonico, vibrante e decisamente riuscito. Al contrario, “Voodoo Me” presenta un riffing carico ma fin troppo derivativo e il refrain probabilmente meno convincente dell’intero album, accoppiato con strofe in voce filtrata piuttosto fuori contesto: non un disastro ma forse l’unico episodio in cui si può notare un amalgama un po’ ingenuo delle componenti descritte finora.

Tutta l’influenza della «dieta a base di heavy metal, prog (no, questo su “Gravitas” è proprio assente ndr), e classic rock» si palesa in “Fear Alone” dove un incipit fatto di poche note e molte distorsioni, sfuma nel volgere di brevi istanti in un riff che riprende pari pari uno dei passaggi strumentali dell’immortale “Perfect Strangers” e sul quale viene costruito un brano lunghissimo e ambizioso, dall’atmosfera rarefatta, di quelli che hanno fatto la fortuna di band come Led Zeppelin e Whitesnake. La fusione di questi stilemi con le sonorità ipercompresse in voga negli ultimi tempi, crea un connubio decisamente fertile e riuscito, e il merito è delle capacità strumentali e di sintesi di tutti e quattro i membri dei Furyon.

“Wasted On You” si basa di nuovo su un guitar work massiccio e carico di groove abbinato ad un tema melodico di chiara derivazione hard/AOR, mentre con “Our Peace Someday” Mitchell, Heath e compagnia giocano la carta della ballatona, e se il risultato è piacevole, è altrettanto corretto e doveroso rimarcare che lenti come “Watch Over You”, “Life Must Go On” e gli ultimi di casa Nickelback sono (per ora) fuori portata.

Chiude in grande stile l’ottima “Desert Suicide”, lunga, lunghissima, a tratti delicatamente surreale, a tratti noisy e minacciosa, un po’ Led Zeppelin, un po’ Sixx A.M. e con un assolo semplicemente fantastico, degno del miglior Steve Vai.

Che altro aggiungere? Per essere un debut-album, siamo al cospetto di un lavoro di qualità indiscutibilmente elevata, in cui vecchio e nuovo si fondono per creare un qualcosa di magari non nuovissimo ma di certo intrigante. Se vi piace strizzare l’occhio alla nuova ondata melodica giunta da oltreoceano qui troverete pane per i vostri denti; se siete, al contrario, degli assolutisti del hard/AOR d’annata forse “Gravitas” non è il disco che fa per voi. O forse, se l’ha fatto Frontiers, dovreste chiedervi se suonare melodic hard rock nel 2012 debba significare per forza fare del revival degli anni 80 o se, al contrario, questo pugno di band, sintetizzando vari ingredienti provenienti da trent’anni di hard ‘n’ heavy , sia riuscito a trovare una “nuova via” che sta facendo proseliti di un certo livello, tra cui i Furyon.

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Line Up:

Matt Mitchell – Voce
Chris Green – Chitarre
Pat Heath – Chitarre
Alex “Nickel” Bowen – Basso
Lee Farmery – Batteria

Tracklist:

01 Disappear Again
02 Stand Like Stone
03 Souvenirs
04 Don’t Follow
05 New Way Of Living
06 Voodoo Me
07 Fear Alone
08 Wasted On You
09 Our Peace Someday
10 Desert Suicide

 

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