Death

Intervista Antropofagus (Francesco “Meatgrinder” Montesanti)

Di Marco Donè - 11 Agosto 2018 - 14:00
Intervista Antropofagus (Francesco “Meatgrinder” Montesanti)

In occasione del Summer Metal 2018 (qui il report completo della tre giorni), festival tenutosi a Lonca di Codroipo (Ud) nei giorni 3-4-5 agosto, abbiamo incontrato per voi Francesco “Meatgrinder” Montesanti, mastermind degli storici Antropofagus. Con lui abbiamo parlato di musica e di tanto altro. Eccovi il resoconto di quella che si è rivelata una piacevolissima chiacchierata.

Buona lettura!

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao, Francesco, sono Marco di Trumetal.it, è un piacere averti come ospite nelle nostre pagine. Come va?
Ciao, Marco, piacere mio. Molto bene, grazie!

La prima domanda è d’obbligo: dopo la pubblicazione di “M. O. R. T. E.” è avvenuto un cambio di line-up in seno agli Antropofagus. Matteo “Tya” De Fazio ha deciso di lasciare la band ed è stato sostituito da Paolo Chiti. Ti andrebbe di spiegarci cos’è successo?
Ci tengo a sottolineare che tra noi e Tya non è cambiato nulla a livello umano, la nostra amicizia continua ancora nonostante abbia preso questa decisione. Per parlarne faccio un passo indietro: gli Antropofagus nascono molti anni fa, con una gestione ancora molto “anni Novanta”: eravamo tutti di Genova, provavamo insieme una o due volte la settimana, passavamo molto tempo insieme. Poi, con il passare del tempo, queste modalità hanno subito un cambiamento, ormai i componenti abitano tutti in zone diverse, quindi non ci si vede così di frequente; ci consultiamo via web, ci troviamo per delle prove pre-concerto, dormiamo insieme e partiamo. Abbiamo dovuto adeguarci, “modernizzarci”, diciamo – anche se è un termine che non mi piace particolarmente. Tya aveva “annusato” da un po’ questa evoluzione, e avrebbe desiderato che rimanessimo più uniti, più presenti, che portassimo avanti le composizioni tutti insieme… ormai, vista la distanza, di quelle mi occupo solo io. In generale, è questo il motivo principale che gli ha impedito di rimanere ancora dentro al gruppo. Io e lui ci sentiamo comunque spesso, siamo entrambi appassionati di calcio e continuiamo ad essere grandi amici. Però a un certo punto è arrivato quindi il momento di scegliere qualcuno che potesse entrare a far parte della band, e per noi non è stato affatto facile: avevamo sempre avuto dei frontman carismatici, con una presenza scenica notevole, e non è semplice trovare una persona che sappia fondere in sé queste caratteristiche, unite a una bella voce che sappia reggere un intero show. C’è poi anche un altro fattore, che a mio avviso è fondamentale: noi siamo prima di tutto amici, e poi colleghi; c’era bisogno quindi di una persona che, oltre ad avere un valore dal punto di vista musicale, dovesse andare d’accordo con noi. Paolo già lo conoscevamo, io e lui ci scrivevamo da ragazzini, quando si leggevano ancora le riviste musicali, era un fan degli Antropofagus. Diciamo che la scelta è ricaduta su di lui in maniera quasi naturale. Insomma, siamo riusciti a cadere in piedi con questo cambiamento. Sia i nostri fan che quelli di Paolo – che comunque aveva già un suo discreto seguito – hanno accolto bene questa novità, e noi non possiamo che esserne contenti.

Trovo sia sempre bello vedere che in certe realtà il lato umano rimane ancora molto importante…
Sì, lo è. Per noi il lato umano è fondamentale: se quello non funziona bene, non si lavora bene. In una band non esistono solo il momento della composizione, dell’arrangiamento, della registrazione e dei concerti. Se andiamo a suonare tutti insieme, bisogna anche divertirsi tutti insieme. In fin dei conti questo non è un lavoro, ma una passione; e la passione deve essere prima di tutto piacevole.

 


L’atuale line-up degli Antropofagus

 

A proposito di “M. O. R. T. E.”… L’album è uscito oltre un anno fa, soddisfatti dei risultati sin qui raggiunti?
Siamo molto soddisfatti. Certo, c’è stato un cambio di sound, e mi rendo conto che per alcuni fan può risultare destabilizzante, ma si tratta di una delle mie caratteristiche: non mi piace comporre dischi uguali. Quando è uscito “Architecture” molti si aspettavano un sound alla “No Waste of Flesh” e, allo stesso modo, ora che abbiamo pubblicato “M. O. R. T. E.”, c’era chi avrebbe voluto sentire qualcosa alla “Architecture”… Su questo vorrei essere chiaro: non accadrà che un lavoro degli Antropofagus si rifarà a quello, o quelli, precedenti. La mia ambizione è quella di riuscire a sperimentare cose nuove, ma senza snaturare l’essenza del gruppo, in modo da avere sempre degli stimoli nuovi, anche quando mi trovo a suonare sul palco. In “M. O. R. T. E.” ho cambiato l’accordatura e, sebbene lo stile sia sempre quello degli Antropofagus, ci ho inserito un po’ più di groove e un po’ meno di velocità fine a sé stessa (anche se in verità è un elemento che ho sempre cercato di scansare, perché è una cosa che il pubblico poi percepisce). In questo modo i nostri live, che attingono pezzi da tutti i nostri album, sono diventati più “colorati”, più varii: le canzoni più profonde, con sonorità più scure, di “M. O. R. T. E.” vanno ad amalgamarsi con la scheggia impazzita che è “Architecture” e con l’old school di “No Waste of Flesh”. Vedremo come sarà il prossimo album, magari mi concederò qualche estratto un po’ da tutti questi sound.

Bolle già qualcosa in pentola per il prossimo lavoro?
Sì, mesi fa ho iniziato a comporre già qualcosa. Poi però ho avuto un lutto in famiglia, mio padre è venuto a mancare, e ho passato un brutto periodo. Possiamo dire che ci sono ancora dentro, in un certo sento.

Mi dispiace, ti faccio le mie condoglianze.
Grazie, Marco. Comunque, devo dire che la musica – ascoltarla e suonarla –, mi sta aiutando davvero molto. Però questo avvenimento ha comunque bloccato la composizione del disco nuovo. La mia fortuna è quella che, non avendo nessun contratto a scadenza, posso permettermi di “giocare” un po’ sul periodo che posso sfruttare per lavorare a nuovi pezzi senza dover correre per rispettare la deadline. Piano piano, con il tempo, mi sto riprendendo e metabolizzando quello che mi è successo e, anche se certo non posso dire che faccia del tutto la differenza, suonare mi aiuta e ho ripreso a comporre. Ho qualche bozzetto già pronto, che vedrò di buttare giù con la band nei prossimi mesi; faremo qualche prova, vedremo come suonerà il tutto, come ci troveremo e se su certi punti o sull’arrangiamento ci sarà bisogno di prendere delle strade diverse, dovremo vedere insieme a Davide le parti di batteria… In ogni caso, c’è già della carne al fuoco.

“M. O. R. T. E.” è un concept album che parla del tema dell’eterno ritorno, tanto caro a Nietzsche. Scorrendo i titoli del disco ci imbattiamo in ‘The Abyss (Chapter One)’. Qual è il significato di quel “Chapter One”? C’è forse l’idea di creare un concept nel concept, da portare avanti nei dischi futuri degli “Antropofagus”?
Per quanto riguarda “The Abyss (Chapter One)” sì, è un pezzo nato da un’idea di Tya ed è stato chiamato così proprio perché la sua idea era quella di dargli un seguito. Non so però se accadrà, anche perché secondo me sarebbe giusto che fosse lui a concludere questo progetto, e ora che lui non c’è più è probabile che rimarrà una canzone senza sequel. È stato Tya a concepire questo concept, che è nato con l’intenzione di venire portato avanti con il disco successivo.
In realtà non è solo “The Abyss (Chapter One)” a essere l’unico pezzo che originariamente è stato ideato per venire proseguito con il prossimo album: il concetto dell’eterno ritorno di “M. O. R. T. E.” è nato con l’idea che il disco successivo lo avrebbe ripreso, anche se in modo diverso. Ne ho parlato con Paolo dopo la sua entrata nel gruppo e lui ne è rimasto entusiasta: anche lui, come Tya, è appassionato degli studi sulla vita oltre a quella che stiamo vivendo, dal punto di vista non tanto fisico, quanto spirituale ed energetico. E sarà proprio da questo che prenderemo spunto, che andrà a unirsi a quello che abbiamo già affrontato con “M. O. R. T. E.”. Non ti anticipo nulla, però: ti dirò solo che Paolo sta già leggendo dei libri, e io gli ho chiesto di mettere una interpretazione molto personale nei suoi pezzi, voglio che ci sia del suo, così come faceva Tya quando suonava con noi.

Quindi l’idea del concept di “M. O. R. T. E.” è nata da una passione portata avanti da Tya, e Paolo poi…
Sì, diciamo di sì, ed è un tema che ci tenevo ad affrontare. Quando partimmo con la band anni fa, facevamo parte di quel filone dove quasi tutti, bene o male, affrontavano argomenti tratti da film horror e splatter, ma io ormai queste cose non le sento più mie da anni. Sarà forse per l’età, ma sento il desiderio di approfondire di più certi discorsi, in maniera più “seria”, diciamo – anche se, a dirla tutta, ogni persona a modo suo lavora sempre in modo “serio” – e di cambiare un po’ approccio. Insomma, se devo parlare di morte preferisco affrontare il discorso di ciò che accadrà in una possibile altra vita, piuttosto che descrivere degli sgozzamenti. Be’, in ogni caso, vedremo. La base per il prossimo lavoro già c’è, poi scopriremo come proseguirà la cosa.

 


Il lyric video di ‘Chants of Abyzou’ canzone tratta da “M.O.R.T.E.”

 

Quali sono le letture portate avanti dagli Antropofagus? Quali sono le fonti dalle quali attingete per i vostri lavori?
Tya si allontanava un poco da quella che era la tendenza tipica degli anni Novanta, anche se la matrice era simile: prendeva spunto dall’horror, sì, ma preferiva concentrarsi più sui registi. “Architecture”, per esempio, è fortemente ispirato a Clive Barker, e come tema di base aveva i Cenobiti. “M. O. R. T. E.” ha preso una strada diversa, potremmo dire più esoterica, e ora Paolo si sta dedicando a delle letture nuove, che introdurrà nel prossimo lavoro. L’horror però non verrà abbandonato del tutto: ci occuperemo comunque di demoni, stiamo studiando la “Pseudomonarchia dei demoni”, le posizioni, le particolarità… Paolo parlerà di una vita ultraterrena, sia dalla parte del Bene, che da quella del Male; prenderemo origine dal discorso già affrontato in “M. O. R. T. E.”, ma ne affronteremo uno diverso, ultraterreno, che si occupa di un’altra dimensione. Non voglio però rivelare troppo.
Poi sai, io ti parlo delle tematiche che voglio inserire nel disco, però entra sempre in gioco il fattore dell’interpretazione personale: un ascoltatore che legge i testi può anche avere delle proprie opinioni a riguardo. Io, poi, sono un feticista del disco fisico, e mi piace l’idea che chi ti ascolta poi andrà a comprare il tuo CD e quello diventerà parte dei suoi ricordi. Ogni volta che ascolti un nuovo disco, quel sound andrà a far parte di un periodo della tua vita, e l’interpretazione che darai a quella musica, a quei testi, è profondamente legata a quello che sei tu in quel momento. Io credo che sia giusto fare propria la musica, così come trovo sia giusto che ognuno abbia le proprie visioni del mondo.

Tornando a parlare di “M. O. R. T. E.”, il disco si chiude con la cover di ‘Living in Fear’ dei Malevolent Creation. Semplice omaggio, o c’è qualcosa in più dietro a questa scelta? La scomparsa di Brett Hoffman, storico cantante della formazione americana, è stato un duro lutto. Che effetto ti ha fatto tale notizia?
Noi proponevamo ‘Living in Fear’ già prima della disgrazia della morte di Brett, quindi prima l’avevamo inserita in scaletta per determinati motivi, e ora si è trasformata in un omaggio a lui. Ne siamo rimasti tutti molto turbati.
L’idea che sta alla base della scelta di una cover, secondo me, sta nel fatto che bisogna scegliere una canzone che il pubblico possa riconoscere, quindi non deve venire snaturata, ma che, al contempo, fa parte delle tue corde. Non potrei mai, ad esempio, fare una cover dei Pantera: sarebbe impossibile, i loro pezzi sono stati plasmati ad hoc per quei membri, per quelle mani… Non si riuscirebbero a plasmare in qualcosa di personale che mantenga al contempo la propria originalità. Bisogna trovare una canzone che rimanga la stessa, ma che si trasformi in qualcosa di diverso. La nostra ‘Living in Fear’ ha un’altra accordatura, per esempio, il suono è più gonfio, più moderno. Diciamo che c’è un bel confronto tra la nostra cover e l’originale.
Quando ho tirato fuori proprio quel pezzo l’ho fatto perché volevo qualcosa che mi portavo nel cuore, una canzone di una delle band che ascoltavo nel walkman da ragazzino e che mi entusiasma suonare. I gruppi che amavo da adolescente si possono contare sulle dita di una mano, e i Malevolent Creation sono una di quelle. E ‘Living in Fear’ in particolare faceva parte di uno dei dischi dei Malevolent Fear che, secondo la mia personalissima opinione, era stato meno curato degli altri, e dove la produzione non era degna della bellezza delle track.
Tra l’altro i Malevolent Creation ci hanno sentito, e abbiamo avuto la fortuna di ricevere personalmente i loro complimenti, per non parlare poi delle condivisioni sui social. Phil ne è rimasto entusiasta… e anche noi siamo stati davvero molto contenti. Non ce l’aspettavamo, non avevamo suonato ‘Living in Fear’ per farla sentire al gruppo che l’aveva composta, però e successo e noi non possiamo che sentirci orgogliosi del fatto che loro ne siano rimasti colpiti.

Negli ultimi anni, purtroppo, sempre più nomi che hanno fatto la storia della musica dura stanno venendo a mancare. Come vedi l’annosa questione del ricambio generazionale? Il metallo pesante, così come lo intendiamo noi, potrà mai raggiungere i livelli degli anni d’oro o è destinato a rimanere confinato all’interno di una nicchia?
Riguardo a questo tema, devo dire che non sono molto positivo, né speranzoso. Lo sarei se ci fosse un vero ricambio generazionale, se uscissero nomi grossi che possano essere all’altezza dei precursori che, anche senza volerlo, hanno inventato dei sound e avevano delle personalità forti. I Morbid Angel di vent’anni erano totalmente diversi dai Cannibal Corpse, dai Deicide, dagli Obituary… Ognuno di loro era così originale che ha saputo diventare una vera e propria icona e ad oggi non riesco davvero a trovare qualcuno che possa eguagliarli. Non sto parlando di bravura o di presenza scenica, alcuni gruppi le hanno: i Behemoth, per esempio, ne hanno davvero da vendere, li abbiamo visti più volte dal vivo. Oppure, ci sono anche delle band pazzesche, che vediamo ai festival dove andiamo a suonare anche noi e che ci lasciano colpiti, ma… non riesco a vedere nessuno che sia o che possa diventare una icona della musica. I Cannibal Corpse sono un’icona, questi gruppi, no. Ma questo estrapoliamolo fuori dal mondo metal: prova a pensarci, tuo figlio non avrà mai nessuna icona del pop come lo sono state Michael Jackson o Madonna, non avrà un Freddy Mercury, non avrà gli Iron Maiden a fargli da riferimento, e questo è davvero brutto. Certo, avranno i loro idoli, però non è la stessa cosa.
E poi, c’è anche un’altra cosa: le nuove voci che emergono, le nuove band, dopo pochissimi anni di attività spariscono, per lasciare spazio ad altre voci, ad altre band. Si è creato un consumismo degli ascolti che prima non c’era: ora ci si scarica un mp3 sul computer, lo si ascolta una volta – o anche mezza – e ci si permette di giudicare senza nemmeno avere idea del lavoro che ci sta dietro, o di quello che vuole trasmettere la musica. Con i CD è diverso, io mi ascolto uno stesso album parecchie volte di fila, prima di dare la mia opinione. Questo è un effetto collaterale del web e dei social media, che ci danno la possibilità di esprimere le nostre discutibili opinioni anche quando sarebbe superfluo, di partecipare a questi “salotti della De Filippi” – come li chiamo io – e sentirsi in diritto di giudicare ogni cosa. Non che questo sia nato con internet o con facebook, ma è certo che una volta, perlomeno, rimaneva tra le mura della propria casa. Adesso è diventato prassi comune, e a me non piace.

 


La copertina di “M.O.R.T.E.”

 

Torniamo a parlare degli Antropofagus. Francesco, la vostra attuale line-up vede musicisti coinvolti in più band, tutte di primissima fascia e che richiedono impegno, tempo e costanza. Quanto è difficile incastrare l’attività degli Antropofagus?
Guarda, ne abbiamo parlato giusto una ventina di giorni fa quando siamo andati a suonare a Barcellona. Tra un discorso e l’altro ci siamo resi conto che, a parte me, che ho sempre voluto solo agli Antropofagus, per gli altri – Davide, Jacopo… – il loro gruppo più vecchio sono proprio gli Antropofagus. Ridendo e scherzando è dal 2011 che suoniamo insieme, e ce l’abbiamo sempre fatta. A volte è stato facile, a volte difficile, e sono anche successe delle coincidenze che hanno obbligato qualcuno a mollare dei concerti, da una parte o dall’altra. A volte si sono accavallate delle date tra noi e, che ne so, Hour of Penance. A volte abbiamo rinunciato noi, altre volte loro perchè Davide era già in giro. Purtroppo questo è il prezzo da pagare quando fai parte di gruppi molto attivi, come capita a lui con Antropofagus, Hour of Penance e Beheaded. Ma questa è una sua libertà di gestione, e lui è molto bravo in questo perchè riesce a farlo senza dare vita a figli e figliastri. È un giocattolo difficile da far funzionare, ma lui è un ragazzo onesto, tra di noi comunichiamo sempre, quello che abbiamo da dire ce lo diciamo senza troppi giri di parole, e rimaniamo sempre tranquilli. In ogni caso, non posso dire sia certo facile.

E adesso? Quali i vostri progetti futuri?
Be’, questo mese, il 24, andremo al Death Feast. Poi a settembre partiremo in un tour europeo con altre band, tipo i Devangelic, i Relics of Humanity e gli Ossuary Anex, toccheremo un po’ di tutto in giro per l’europa e poi probabilmente finiremo l’anno con l’Infernal Force a Trezzo sull’Adda, assieme a Hypocrisy, KataKlism, Impaled Nazarene, i nostri amici Hour of Penance e Distruzione. Sarà un bellissimo festival. Poi non so se ci attenderà altro, anche perché la mia idea sarebbe quella di recuperare un po’ l’attività di composizione che, per cause di forza maggiore, ho dovuto interrompere negli ultimi mesi. Di certo non farò come feci anni fa, quando interruppi l’attività live dopo la promozione di “Architecture” per potermi dedicare a tempo pieno alla scrittura del nuovo disco. Purtroppo il mercato, i festival, gli organizzatori, le agenzie ti contattano solo se sei un gruppo con un’attività live continua: più suoni, e più ti cercano. Dopo uno stop di tre, quattro anni, noi Antropofagus abbiamo fatto davvero molta fatica a riprendere. E poi, c’è da dire che una delle cose che domandano è proprio la continuità; l’organizzazione dei festival è davvero velocissima, ormai il giorno dopo la chiusura presentano già i primi nomi dell’edizione successiva, e per le band è davvero complicato stare al passo. Quindi, molto probabilmente mi metterò a comporre, ma non fermeremo l’attività live. Che poi, in fin dei conti, va bene anche a noi: stare così tanto tempo senza suonare, all’epoca, non ci fece poi molto bene, e poi è positivo sapere che il nome, grazie alle presenze ai concerti, gira. E questo è molto importante al giorno d’oggi, ce ne siamo resi conto. Negli ultimi quattro o cinque anni in particolare sono cambiate diverse cose, la situazione ora è completamente diversa da quella che vedevo durante la promozione di “Architecture”. Le agenzie e le booking hanno molto più potere, fanno la voce grossa, e se vuoi suonare devi per forza “stare al gioco”; non bisogna vendersi, personalmente è una cosa che non mi appartiene, ma è necessario scendere un po’ a compromessi, a meno che tu non voglia rimanertene in camera a suonare e lamentarti per il resto della carriera. Ad esempio, ultimamente sempre più spesso c’è la necessità di doversi pagare le spese del tour per riuscire a promuoversi. Ad oggi a noi non è mai capitato, ma devo dire che se dovesse succedermi di ricevere un’offerta con la quale devo investire una cifra per aprire il concerto di un gruppo davvero grosso, non mi tirerei indietro. Dopotutto moltissimi spendono dei soldi per pubblicizzare i video su YouTube, quindi non vedo molta differenza tra questo e il pagare per suonare a dei concerti. E poi, ci sono anche altri mezzi per riuscire ad avere un ritorno economico, come ad esempio i prodotti del merchandising. Certo, la situazione è cambiata, ora è di certo più dura, e a me non piace molto. Però non c’è nulla da fare, su certe cose bisogna adattarsi, altrimenti si finisce con lo sbattere su un muro di gomma.

Francesco, siamo arrivati alla fine dell’intervista, ti ringrazio per la disponibilità dimostrata e, come di consueto, lascio a te le ultime parole per salutare i lettori.
Grazie a voi! Saluto tutti, e vi ringrazio. Continuo a essere onorato del supporto che mi danno le persone, ormai da tanti anni. Sono una persona che preferisce stare in sordina, anche Antropofagus è stato un po’ in disparte da certe dinamiche, ma abbiamo la nostra cerchia di fan, e li amiamo e li apprezziamo. Approfitto per ringraziarli ancora, e ringrazio anche te per l’intervista.

 

Marco Donè