Heavy

Intervista Rod Sacred (Franco Onnis) 2009

Di Stefano Ricetti - 31 Gennaio 2009 - 0:00
Intervista Rod Sacred (Franco Onnis) 2009

Intervista fiume, della portata del Rio Delle Amazzoni, a Franco Onnis, musicista sardo mai domo, uno che si è sempre fatto un mazzo tanto per riuscire a proporre in contesti decenti la propria arte, sputando sangue fin dal lontano 1982, quando fonda gli storici e imprescindibili Rod Sacred.

Buona lettura

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

Franco Onnis

Suonare heavy metal negli anni Ottanta, in un’Italia molto più bigotta e discriminatrice di oggi costituiva una scelta di vita, ancor prima che musicale. Farlo a Villasor(Cagliari) in Sardegna poi, era ancora più dura, anche perché i Rod Sacred da sempre hanno avuto un’immagine molto forte, in linea con la musica suonata e il Vostro look non era certo dei più rassicuranti, oltremodo da esportazione. Non davate certo l’idea di quattro ragionieri del catasto – con tutto il rispetto – che si dilettavano nel dopolavoro a strimpellare qualcosa. Vai avanti tu, Franco, visto che la band è a tutti gli effetti una tua creatura, che ha emesso il primo vagito nel 1982.

Vorrei iniziare con un saluto a tutti i fan che da sempre sostengono l’heavy metal perché non è facile, non è musica per la massa e sia i fan che i musicisti tuttora non godono delle simpatie dell’uomo comune. Torniamo al 1979, era qualche tempo che cercavo di metter su un quintetto capace di eseguire dei brani che non fossero Pop o Folk quando sono stato folgorato da una cassetta che mi aveva passato un amico: era Van Halen 1, pauroso! Da quel giorno ho indirizzato tutte le mie energie per metter su una band di Heavy Metal. Intanto sono cresciuti i capelli e un amico mi ha portato un chiodo dall’Olanda, più crescevano i capelli e aumentavano le borchie più cresceva la diffidenza della gente nei miei confronti e in quelli dei miei musicisti.

E’ stato sicuramente un periodo strano perché la gente era guardinga ma allo stesso tempo curiosa, quindi veniva ai nostri spettacoli. Era tutto nuovo, per noi e per chi ci stava attorno. Dopo vari assestamenti, attorno al 1982 ho iniziato a girare la Sardegna a proporre sopratutto cover di Saxon, Scorpions, Iron Maiden e Def  Leppard e a farci conoscere come una ottima Live Band. Erano nati i Rod Sacred. E’stato un periodo meraviglioso: volevamo essere trasgressivi e innovativi, abbiamo iniziato a curare i live show con impianti sempre più grandi, laser ed esplosioni che ho sempre curato di persona in quanto studiavo chimica sia alle superiori che poi all’università. Non avevamo certo i soldi per comprare il materiale pronto e questa cura dello show ci ha portato sicuramente notorietà, siamo stati i primi in Sardegna!

Il Vostro primo demo, Speel Of  Steel, è targato 1985. Tuoi ricordi a riguardo…

Era da tempo che iniziavo a buttar giù qualche idea, ma non ero abbastanza in sintonia con qualcuno della band e diversi turn over di musicisti hanno ritardato la registrazione di queste idee. Nel 1985 eravamo pronti, la line-up era quella giusta e la tecnologia ci è venuta incontro con un piccolo ed economico Vesta Fire 4 tracce. Oggi sarebbe ridicolo, ma allora era un miracolo. Acquistai il multitraccia e passai dieci giorni ininterrotti a capire come funzionava dopodichè ci siamo messi all’opera, non è stato facile. Volevo un prodotto che rendesse bene ma suonare tutti insieme in una stanza di 12 metri quadri con un multitraccia da trecentomila lire e fare poi incisioni di soli e voci in un secondo momento come avevo letto in un manuale (ricordiamoci che non esisteva internet e le notizie tecniche difficilissime da trovare come non avevamo nemmeno i Pc per poter fare le cose che si fanno oggi) era un’impresa colossale. Comunque l’abbiamo fatto e non suonava così male, conteneva tre pezzi che ho inviato a tutti gli indirizzi che trovavo in giro sulle fanzine e sui pochi giornali che si trovavano in commercio.

Stessa domanda per il four tracks 1988.

Il riscontro del primo demo fu incoraggiante quindi con i soldi guadagnati nei concerti ho prenotato uno studio professionale che aveva aperto a Cagliari, un 24 piste, era un sogno! Abbiamo re-inciso le canzoni del primo demo più due inediti. Per noi era una cosa nuova entrare in uno studio professionale, il cuore mi scoppiava nel petto dalla paura di non riuscire a rendere su nastro quello che la mia testa pensava. Persino la copertina era fatta in casa da mio fratello e stampata in tipografia, tutto abbastanza professionale per il periodo e il risultato era il nostro biglietto da visita in Italia e all’estero. Mi aspettavo molto da quel demo e i miei sacrifici sono stati ripagati in pieno.

Cosa ti viene in mente se ti dico Musical Box Promotion Management?

Mi viene subito in mente Klaus Byron, titolare e factotum della Musical Box, persona molto intelligente e veramente amante della musica: una delle poche che veramente ha aiutato la maggior parte dei gruppi che in quel periodo sono arrivati ad un minimo di successo nonostante i pochi mezzi che aveva a disposizione. Klaus ha recensito il nostro primo demo e ci ha incitato ad andare avanti con un prodotto professionale e accurato; quindi si è preso cura del secondo demo facendo una promozione fantastica: oltre 150 radio italiane e straniere, decine di fanzine e giornali con la nostra recensione. Infine dobbiamo a lui la registrazione del nostro primo Lp ai Much More Studios di Firenze, dieci giorni di registrazione che lui ha ripagato inventandosi qualcosa di pubblicitario per lo studio. Klaus è sicuramente la persona che mi ha aiutato di più nonostante la difficoltà della comunicazione, lui a Valdicastello e noi a Villasor in mezzo il mare.

Nel 1989, in un incidente stradale, perde la vita il Vostro chitarrista Paolo Bonilli. Dopo tanti anni, se te la senti, Franco, spiega come avvenne l’incidente, come tu lo sapesti e un tuo ricordo di Paolo

Paolo non era il mio chitarrista, era mio fratello. Abitava a Cagliari come Joe Del Rio e io a Villasor, a 25 Km. Passavamo ore tutti i giorni al telefono a pianificare. Era ricco, figlio di un famoso chirurgo della Cagliari bene, una stirpe di snobbini e superficiali, ma lui al contrario viveva per l’Heavy Metal e la sua chitarra. Era il 6 Gennaio, in quell’anno faceva il militare, voleva toglierselo di mezzo per continuare tranquillamente i suoi studi in medicina e poter suonare, con le conoscenze che aveva la sua famiglia fu facile farsi assegnare all’aeronautica militare di stanza ad Elmas, a 10 Km da Cagliari e 15 da Villasor, quindi comodissimo per le prove che si facevano a casa mia. Il 5 gli fu assegnato il turno di notte e gli accordi erano che avrebbe dormito qualche ora e poi sarebbe venuto a provare, ma decise che alle otto di mattina, dopo il turno, sarebbe andato ad accompagnare un suo amico militare a Sant’Antioco (50 Km da Cagliari) perché era a piedi.

Al rientro uscì di strada, crediamo per un colpo di sonno. Non aveva le cinture, batté la nuca in un paletto di cemento di una recinzione e andò subito in coma. Quando l’abbiamo saputo, verso le 17,  siamo corsi in ospedale. Passammo 6 giorni praticamente lì, poi la notizia che il padre aveva deciso di far staccare le macchine per donare gli organi. Fu un dolore immenso che ho trasportato nella canzone Dreaming del primo disco, un brano praticamente scritto all’ospedale e che racconta di noi e di quei momenti. Ogni volta che lo sento vedo lui. Un ricordo particolare è il suo Marshall Jcm 800 che conservo gelosamente in sala prove con un adesivo di gatto Silvestro con la scritta “non toccare, è di Paolo” che io gli attaccai appena lo aveva comprato. Quel Marshall mi ha seguito ovunque ed è un modo per averlo sempre vicino a noi.

Sai Steven, ti ringrazio per questa domanda: in 20 anni sei il primo giornalista che mi chiede di lui. Forse spesso anche nella tua categoria regna più il gossip che i reali sentimenti che provano i musicisti nella vera vita quotidiana, che spesso non è fatta di sesso droga e rock’n’roll ma anche di fatti tristi che fanno passare in secondo piano la musica.

Nella foto: Rod Sacred 1987. Da destra a sinistra: PAOLO BONILLI, FRANCO ONNIS, MARTINO VARGIU, JOE DEL RIO, TONIO DERIU

I Rod Sacred rispondono con i fatti alla perdita dell’amico, suonando – e convincendo – in diverse città italiane. Qui Franco se hai dei ricordi e degli aneddoti spara alla grande.

Il tour era già programmato prima della scomparsa di Paolo. E’stata una decisione naturale sobbarcare Marty di tutto il lavoro chitarristico e partire verso un sogno. Paolo era con noi e ci ha aiutati e sostenuti moralmente, in quanto non ho spiegazioni sulla riuscita di quei concerti. Iniziamo da Milano: il Sorpasso, serata organizzata da Pino Scotto. Non lo conoscevo di persona e credo gli avesse chiesto di organizzare la serata Klaus Byron. Arriviamo al locale e il nostro nome non appare da nessuna parte, in un secondo momento troviamo che tale giorno si sarebbero esibiti i sardi Road Massacred, in una bacheca stile università, scritto così piccolo che nessuno lo avrebbe scorto. Mi sono detto: incominciamo bene! All’interno nessuno ci aspettava. Il locale era notevole, l’impianto pure, ma il back-line assurdo! Era martedì e alle 23,00 il locale, per miracolo, era pieno come un uovo. Abbiamo fatto un concerto strepitoso, tanto che dopo il concerto il proprietario ci ha ringraziato dicendoci che per la prima volta aveva sentito il pubblico di Milano cantare così tanto i cori col gruppo.

Un’altra serata è stata organizzata a Lanzo (TO), dai Creepin’ Death. Loro hanno portato l’impianto audio, sono stati gentilissimi. Un’atmosfera magica, piena di boscaioli della zona che ci hanno fatto suonare sino alle 6 di mattina. L’ultima data è stata a Livorno, Topsy Pub. Una bella discoteca in centro, Noi di spalla agli Extrema! In barba agli accordi non ci hanno fatto usare la loro strumentazione, quindi ci siamo dovuti arrangiare con le poche cose a disposizione del Topsy. Pensa che ho attaccato il basso a una cassa della discoteca. Era sabato e il Topsy era pieno di americani  della base NATO di Livorno. Abbiamo iniziato in sordina con il locale strapieno e abbiamo finito con la gente che ci saltava sopra per avere maggior contatto. Quando hanno iniziato gli Extrema (che oggi sono un gruppo che merita il rispetto di tutti noi), il pubblico ha iniziato a gridare “Rod Sacred, Rod Sacred, Rod Sacred”… ho pianto, non me lo aspettavo.

Come specificato sopra Pino Scotto dei Vanadium vi dà una grossa mano organizzandovi il concerto di Milano. Come entraste in contatto con Lui? Penso sia cosa buona e giusta valorizzare lo “sbattimento” di Pino per i colleghi di altre band, visto che di cattiverie su di Lui ne sono state dette fin troppe, soprattutto dagli addetti ai lavori. Vai avanti tu, Franco… 

E’ accaduto Klaus Byron. Pino per me era un mito, lui aveva già fatto tanto e noi nulla. L’ho conosciuto al Sorpasso e ha mangiato con noi. Mi è sembrato uno che aveva voglia di stare con gli altri. In quel preciso istante mi è parsa una persona sola contro il mondo, forse era incompreso. Oggi capisco quello che provava mentre non la avevo intuito allora: mi rendo conto cosa significa combattere contro i mulini a vento, lui lo sapeva già…

Sei ancora in contatto con Pino? Ha suonato anche recentemente in Sardegna…

Personalmente non sono in contatto con lui, anche se ad agosto sono stato vicino al suonare nella sua serata a Cagliari. Il nostro Manager  aveva organizzato un intervento mio e di Joe (cantante dei Rolling Gangsters) al concerto di Pino a Cagliari ma per motivi personali quel giorno io ero fuori città e solo Joe, che è cantante della mia band, ha duettato con Pino nella canzone Piazza San Rock, ampiamente documentata su You Tube. Spero di rivederlo presto, nonostante le critiche è un personaggio che in Italia ha fatto la storia dell’Heavy Metal.

Nell’ottobre del 1989 registrate “Rod Sacred”, il Vostro primo full length, ai Much More Studios di Firenze. So che hai un po’ di aneddoti da raccontare legati al Vostro contatto con i Death SS in quel periodo, vai!

Il  fonico dello studio era Bernardo Baldassarri, aiutato da Andy Fois dei Sabotage, che in varie occasioni è stato il chitarrista dei Death SS. Era nostro costume terminare la giornata passata in studio all’Angelo Azzurro, il pub di Steve Sylvester e una sera siamo stati invitati a casa sua dove si teneva un tequila boom party. Siamo arrivati alle 22,00 circa e la serata era già iniziata in pieno stile horror, luci basse prevalentemente rosse, musica altissima rigorosamente Metal, sacerdotesse e tanto alcool. Ho passato la notte a predire il futuro a delle ragazze conosciute la sera e a bere tequila, il guaio e che ho azzeccato date di nascita e dati personali di diverse persone: l’alcool fa brutti scherzi, però ci siamo divertiti da matti. Comunque abbiamo vissuto 20 giorni a Firenze come dei musicisti, era un sogno che si avverava. Vorrei ricordare anche altri amici di Firenze come gli Shabby Trick, che ho anche fatto suonare al campo sportivo di Villasor insieme a noi e colgo l’occasione per salutare Max Brogi, che è uscito spesso con noi in quel periodo.

Spiega come hai fatto a stipulare il contratto con la Discomagic di Milano con in mano solo qualche brano del disco.

Semplice, sono partito una mattina insieme a Klaus, e da Firenze, mentre la band ancora lavorava al disco, ci siamo recati a Milano alla Discomagic. Ad aspettarci vi era Severino Lombardoni, un personaggio particolare. Non mi sentivo a mio agio anche perché ascoltò quasi 20 secondi di musica e mi chiese di firmare il contratto. In quel periodo Severino aveva fatto uscire la maggior parte dei dischi che oggi sono considerati dei cult dell’ heavy in Italia, con le sue etichette Metalmaster, Discomagic e Metalnews. Ha fatto i suoi interessi, ma credo che lo zampino maggiore fosse sempre del buon Klaus. Comunque faccio il viaggio di rientro con un’energia dentro che sarei potuto tornare a piedi. Non vi dico come è finita quella notte dopo che ho detto alla band che avevo firmato il contratto…

Il vostro debutto su full length “Rod Sacred” esce nel gennaio del 1990. E’ un disco che gronda di Classic Metal nel senso più ampio della definizione. A distanza di anni sei ancora soddisfatto di quell’album?

Non posso non essere soddisfatto, in quanto so come è stato fatto e quanti sacrifici ci è costato, è chiaro che se non fosse così sarei molto più critico. Vedi Steven, il Much More studio non è quello che può sembrare dal nome, era piccolo con un banco Lem 24 canali obsoleto persino per i concerti, effettistica amatoriale e monitoraggio casalingo. Giusto l’Otari 24 tracce era una bella macchina anche per allora. Aggiungo che, non essendo del posto e non avendo amplificazione con noi, per motivi legati ai costi di trasporto, abbiamo registrato tutto con i pochi strumenti messi a disposizione dallo studio: una vecchia batteria Premier serie Apk super economica, un ampli Marshall combo da 30 watt a transistor, il basso in diretta e via! Cosa potevamo fare?

Quello che è uscito è un miracolo dovuto anche Bernardo e Andy, perché quell’album suona ancora bene oggi,  se pensi che la produzione l’ho curata io senza nessuna esperienza specifica. Tornando indietro è chiaro che certi arrangiamenti li farei molto diversi perché in certe cose abbiamo peccato di ingenuità anche se spesso l’ingenuità trasuda freschezza e voglia di esprimere tutto quello che si ha dentro, senza dare spazio alle cose studiate a tavolino, ricordiamoci che l’heavy Metal dovrebbe essere una musica passionale, rabbiosa, menefreghista, dove il corpo detta le sue leggi. Invece, sempre più spesso dobbiamo scontrarci con le leggi del business, dove prevalgono le cose studiate per poter piacere per forza.

Puoi spiegare la genesi e il significato di quell’insolita copertina?

Quell’estratto era la parte centrale di un disegno più complesso realizzato a china e fatto da un mio carissimo amico, che era stato utilizzato per dei manifestini che pubblicizzavano i nostri concerti dell’epoca. Il quadro intero mostrava questo Dio Metallaro col potere sotto i suoi piedi ma da dietro il trono partivano delle grosse mani che incombevano su di lui e tra le mani la scritta Rod Sacred. Il significato pare evidente. Voglio sottolineare, però, che questa non doveva essere la cover del disco, bensì una foto mia con tanto di impermeabile in stile depravato. In pratica un’immagine con me preso di schiena in cui apro l’impermeabile davanti a una ragazza con la faccia spaventata. Il retro del disco, con la foto fatta al contrario e la ragazza di spalle che mi guarda atterrita, avrebbe riproposto quel tema. Non sarei stato nudo, ma semplicemente vestito da metallaro, con il mio Flying V rosso dell’epoca brandito a mo’ di fallo. Il problema è stato che due sessioni fotografiche non sono riuscite a realizzare decentemente la nostra idea e siccome dicembre era alle porte e Lombardoni reclamava la cover, per andare in stampa abbiamo fatto realizzare il disegno che tutti conoscono a mano, con aerografo da un altro amico.

Dopo il Vostro esordio ufficiale, se non vado errato il primo disco di heavy metal “vero” da parte di una band sarda, com’è stata la risposta dei vostri conterranei? Intendo, supporto incondizionato ed entusiasmo a 1000 oppure invidie, cattiverie e ripicche? 

Il 1990 è stato strapieno di soddisfazioni, in Sardegna abbiamo fatto un gran tour con una grossa struttura tecnica: uno show studiato nei minimi particolari e ai nostri concerti c’erano mediamente tremila persone. Non facevamo locali, giusto qualche famosa discoteca, ma quasi tutti concerti veri e propri nelle piazze dell’isola. Tutto questo ha anche scatenato forti invidie, non da parte dei nostri fan, ma soprattutto dagli altri musicisti che venivano ai nostri concerti solo per vedere se facevamo una stecca o se Tonio aveva un abbassamento di voce e via dicendo. Quindi sono iniziate anche le cattiverie, del tipo, “Franco Onnis è uno che se la tira, pensa di essere il miglior bassista del mondo”, oppure “i Rod Sacred sono solo dei raccomandati, suonano tanto e hanno fatto un disco solo per fortuna”. Per fortuna questo è successo solo nel cagliaritano, mentre nel resto della Sardegna e ormai in tutta Italia avevamo sempre più sostenitori.

Consentimi, a distanza di anni, di fare una filippica contro quelle persone che hanno provato in tutti i modi di danneggiarci. Vorrei ricordare, a tutti quei musicisti e persone manovrate da loro, che io non sono mai stato uno che si tira indietro davanti agli ostacoli e che quello che loro pensavano fosse superbia o altezzosità era solo autodifesa. Non mi sono mai curato di quello che pensava di me la gente, ho sempre e solo pensato a suonare e a esprimere le mie emozioni attraverso la musica e questo da quando avevo 5 anni, quando partecipai a una famosissima esibizione canora nazionale ( lascio a voi indovinare quale). Oggi, che ho 46 anni e ancora mi diverto a suonare, mi sento vivo veramente solo quando sono su un palco. Credo che questo sia amare veramente la musica, altrimenti con tutte le difficoltà che ho incontrato per la mia passione avrei dovuto smettere da tanti anni.

“Rod Sacred” vi procura parecchie soddisfazioni a livello di critica, concerti e visibilità…

Devo ammettere che quell’album è stato veramente fondamentale, oggi mi rendo conto di quanta visibilità ci abbia dato, ma non siamo riusciti ad approfittarne nel modo giusto. La critica è stata veramente eccezionale sia in Italia che all’estero, siamo entrati nei top dieci in centinaia di radio in tutta Europa. Soprattutto in Germania, dove abbiamo venduto tanti dischi e Metal Hammer, per mano del suo direttore, ha scritto che eravamo una delle band emergenti migliori in Europa, nel 90/91. Inoltre Tonio Deriu, a suo dire, costituiva uno dei migliori vocalist. Quella recensione la conservo ancora con orgoglio, come quelle di Metal Shock, H/M e Flash, che ci hanno supportato in quel periodo. Ti racconto una cosa: nel 1990 hanno iniziato a scriverci delle persone che avevano formato un nostro fan club a San Pietroburgo, in Russia, dove avevano acquistato tantissimi nostri dischi, che né noi né tantomeno la casa discografica dice di aver mandato. Morale: niente Royalties! CHECK! Ammetto che mi sarebbe piaciuto sapere quanti dischi abbiamo venduto là. Aggiungo che la Metalnews non ha mai investito un centesimo su di noi, a parte la stampa dei dischi.

Nelle vostre menti immagino si possa essere insinuato, durante quei mesi, anche solo per qualche istante, il pensiero di “avercela fatta”, cos’è che poi rompe l’incantesimo?

Nel ’92, alla fine del Tour in Germania, ci siamo fermati ad Hannover perché sapevamo che la SPV aveva un piccolo interessamento nei nostri confronti. Io presi un appuntamento e mi ricevette l’Art&Director della SPV, un tale Jay Lansford. Subito gli diedi il disco ma lui tirò fuori dal suo cassetto una copia che aveva ricevuto da Klaus Byron, mi disse anche che aveva un contratto pronto per noi e un tour di supporto agli Helloween che sarebbe partito tre giorni dopo. Ero scioccato e spaventato: eravamo senza soldi dopo un mese in Germania, ho chiesto qualche giorno di tempo e siamo ripartiti per l’Italia. Ho pensato veramente di avercela fatta ma l’ennesimo imprevisto mi aspettava dietro l’angolo, fermi in un bar a Genova attendendo di imbarcarci per la Sardegna dove ci aspettavano altri 20 concerti già fissati, Marty ci guarda e ci dice “ non ho più voglia di suonare”. È chiaro che è stato un colpo durissimo ma il mio unico pensiero è stato assoldare un session, anzi due, per finire il tour. La nuova band, senza Marty, pur essendo perfetta live, non mi piaceva. Inoltre alcuni malumori interni mi avevano stancato e dopo che Jay Lansford continuava a negarsi al telefono e non si faceva più trovare – forse deluso perché abbiamo chiesto qualche giorno di tempo -, ho preso la decisione di chiudere baracca.

Dopo un periodo buio, registrate il demo Dark Confusion, che considero il Vostro tuffo all’interno delle sonorità HM classiche made in Usa. Cosa pensi di questa definizione?

Dopo la parentesi Golden Ace mi era venuta voglia di scrivere materiale nuovo, mi stavo appassionando a sonorità più americane, mi piacevano vari gruppi emergenti e ho iniziato a scrivere materiale per un album di inediti. Ho chiamato Marty Vargiu e Joe Del Rio, insieme a un nuovo Singer, Alex Ledda, e li ho convinti a seguirmi in questa avventura. Penso proprio che la definizione HM classico americano possa essere appropriata alle cose che stavo iniziando a fare con i nuovi Rod Sacred. Siamo andati a registrare Dark Confusion ai Kappanera Studio di Livorno e devo dire che ci siamo trovati molto bene. Il lavoro penso proprio fosse buono, molte critiche positive ci hanno indicato che la via era quella giusta, stavo riallacciando diversi contatti con label italiane e straniere quando mi sono fatto convincere da un produttore sardo a incidere il nuovo disco nel suo studio, compreso di produzione e distribuzione.

I buoni riscontri vi invitano a continuare e nel 1996 incidete Sucker Of Souls, che definisce il nuovo corso dei Rod Sacred – alcuni brani da Dark Confusion vengono ripresi – , e il Vostro heavy metal si modernizza nei suoni e negli arrangiamenti: i ritmi si fanno serrati e le chitarre stoppate, sullo stile degli Extrema di metà carriera. Questo cambiamento è stato frutto di un’evoluzione naturale oppure di una scelta ben precisa?

Il suono si è scurito e si è fatto  più serrato, con il basso leggermente distorto. Le chitarre stoppate erano frutto delle nuove tendenze e soprattutto un mio definitivo distacco dai sound maideniani o molto inglesi. Questo era sicuramente voluto e ricercato ma voglio aggiungere che il fallimento di Sucker Of Souls non è stato decretato dalla critica o dai fan dei Rod Sacred, ma da una mia precisa scelta che è stata quella di non far uscire il Cd in quanto le audiocassette messe in commercio dalla casa discografica erano di qualità oscena per i nostri standard. Il disco non suonava assolutamente come volevo e questo ha inciso sul mio morale e su quello del resto della band.

Il 1997 vede, a oggi, il Vostro ultimo Tour Italiano, che si conclude con il concerto al Teatro Tenda  di Cagliari con oltre tremila presenti, oltre alle riprese di Radio e TV. Spiega dettagliatamente il tuo stato d’animo e le sensazioni impagabili di quella notte dove, di fatto, finisce l’avventura musicale dei Rod Sacred. PS: Dentro di te sapevi che sarebbe finita? 

Quel tour è stato uno dei migliori a livello sound e di forma del gruppo, eravamo veramente in palla e chi ci ha visto in date tipo al Cengios di Prato sa di cosa parlo. L’ultima performance è stata a Cagliari, al Teatro tenda della Fiera con tutti i crismi dei grandi concerti: grande pubblico, oltre tremila paganti, grande impianto e belle luci. TV e Radio e una bella band, ma io sapevo che sarebbe finita quella indimenticabile notte, avevo perso la voglia di lottare. L’indomani, leggendo gli articoli sui vari quotidiani sardi, mi sono veramente reso conto che avevamo lasciato un segno ma che continuare in quel momento avrebbe significato fare del male a me e alle persone che mi stavano vicine.

Ti dai ad altri svariati progetti musicali, parlane. E se ti dico Rolling Gangster cosa ti viene in mente?

Subito dopo aver chiuso il capitolo Rod Sacred per la seconda volta, ho dato vita ai Doctor Jack, una tribute band degli Ac/Dc, perché ci divertiva suonare brani che ci sono sempre piaciuti e non avevamo mai fatto. Alla chitarra sempre il fido Marty, un vero cultore degli australiani. Dopo qualche anno e centinaia di date i Doctor Jack sono diventati Doctor Zep: altro tributo alla storia, i Led Zeppelin. Tutto questo mi divertiva e non mi impegnava, ed era quello che volevo dopo tutte le delusioni con la mia musica, poi è arrivato Joe Dog e mi ha chiesto di fare una band con lui di Rock’n’Roll, grezzo senza fronzoli, per liberare la rabbia che avevamo dentro e urlare al mondo “siamo ancora qua anche se non ci volete noi facciamo ancora tutto quello che ci passa per la testa e il cuore, provate ad impedircelo”. I Rolling Gangsters sono nati da una idea di Joe Perrino (ora Joe Dog), notissimo rocker Cagliaritano, personaggio eccentrico e carismatico prima con i Joe Perrino and the Mellotowns e poi con gli Elefante Bianco.

Joe è riuscito ad intrigarmi in questo progetto anche se inizialmente non avevo voglia di impegnarmi nuovamente in qualcosa di serio, ma come al solito dopo poco tempo mi sono buttato a capofitto nella nuova avventura. Abbiamo pubblicato un mini cd con tre brani per la K-Factor, giusto per tastare come reagiva la gente, e devo dire che in giro è piaciuto molto ed i nostri concerti sono sempre seguitissimi, in poco tempo abbiamo tanti fan che ci seguono ovunque con indosso le nostre magliette e cantano in coro le nostre canzoni. Ma ora viene il difficile, abbiamo un vero album pronto ma stiamo cercando una etichetta seria che possa distribuire e pubblicizzare veramente un nostro disco, non ci interessa buttare sul mercato un Cd per vendere 10 copie ai parenti. Per far questo non c’è bisogno di un’etichetta con pochi euro, lo potremmo fare da soli. Credo che dopo quello che abbiamo dimostrato nella nostra vita musicale si debba puntare a qualcosa di più, oppure lasciamo stare. Dischi a parte, la vera forza dei Rolling sono i concerti, un concentrato di energia, dove tutte le amarezze e le repressioni di questi anni vengono sfogate dal vivo con due ore di elettricità allo stato puro. Se qualcuno  si è incuriosito a questo progetto può trovare qualche notizia su:  www.myspace.com/rollinggangsters

Franco, sinceramente, se foste nati in città come Milano o Firenze secondo te che piega avrebbe preso la carriera dei Rod Sacred?

Sono sicuro che le cose sarebbero andate molto diversamente. Vedi, tutti ci invidiano la nostra isola, il nostro mare, il nostro sole, ma per la musica siamo chiusi in una scatola con un’unica uscita, l’emigrazione. Vorrei ricordare a qualcuno più giovane di me che può pensare sia così semplice farsi conoscere in Italia per una band sarda che noi non possiamo caricare il furgone e andare a suonare a Milano o in qualsiasi altra città a farci conoscere magari con un rimborso di pochi euro e poi la notte tornare a casa. Imbarcare un furgone costa, andata e ritorno, 1.500 euro e non esiste prenotazione. Bisogna dormire in albergo o per strada, cinque persone che viaggiano e dormono fuori per almeno tre date hanno mediamente 3.500 euro di spese, mangiando panini e stando attenti a tutto. Quanti locali conoscete che pagano almeno 1.250 euro a serata ad un gruppo sconosciuto, con solo tanta voglia di dimostrare quanto è bravo? Non mi stancherò mai di ricordare anche ai ragazzi che negli anni 80/90 non c’era internet o i telefonini, facevamo tutto via posta con tempi biblici. Ecco, se fossi vissuto a Milano avrei avuto contatti quotidiani col mio management o la mia casa discografica, invece spesso mi sono passati davanti tanti gruppi solo perché io in quel momento non ero presente o non potevo far valere le mie ragioni e la validità delle mie idee. Sono assolutamente convinto che se sono riuscito a fare tanto in queste condizioni avrei potuto anche dare un’impennata seria alla mia carriera.

Siete sempre stati molto attenti ai testi, titoli come Lonely Between a Mass of Puppets dal disco omonimo oppure Fight Till The End da Sucker Of Souls sono esplicativi in merito. Vai avanti tu, Franco… 

Ho sempre pensato che i testi siano una delle componenti principali di una canzone, una parola giusta crea emozione e melodia quanto una serie di note creano l’armonia perfetta. I testi raccontano di vita che può essere triste o felice ma anche di morte o d’amore. Qualcuno fa politica e altri semplicemente mettono una serie di parole in rima e non comunicano proprio nulla. Io ho sempre cercato di trascrivere le mie emozioni o di stimolare i miei cantanti a scrivere cose sensate anche se molte persone ascoltano le canzoni  e non si preoccupano di capire il testo in quanto purtroppo non tutti capiscono l’inglese. Nel mio nuovo progetto dei Rolling Gangsters i testi sono ancora più importanti perché abbiamo abbinato lo spettacolo a quello che raccontiamo per enfatizzare maggiormente la struttura del brano.

Un tuo pensiero sui seguenti eroi della Nwoihm:

DEATH SS – Coraggiosi e perseveranti, anche loro non si sono mai curati delle critiche, hanno portato avanti un discorso originale, meritano rispetto.

VANADIUM – Forse i primi e sicuramente quelli che hanno assaporato il maggior successo almeno in quegli anni, poi non so cosa sia successo, sembravano pronti al grande balzo, forse non dovevano rimanere in Italia e comunque Pino Scotto rimane tuttora un bel personaggio.

SABOTAGE – Ricordo un concerto fatto insieme a loro e agli Skull, ad Ozieri in Sardegna. Quanto ci siamo divertiti, con Morby e Andy! C’erano diverse migliaia di persone da tutta l’isola, accampate dal giorno prima in un piazzale antistante il complesso sportivo nel quale abbiamo suonato, incredibile! Oggi non si fanno più queste cose per andare a vedere gruppi italiani. Meritavano anche loro di più di quello che hanno ottenuto.

RAFF – Bella Band, non ho mai avuto contatti diretti, ma non sbaglio dicendo che il loro destino è stato quello che accomunato la maggior parte di noi.

STEEL CROWN – Anche loro sono della mia generazione, voce pulita in pieno stile metal anni ’80, tecnica indiscutibile, mi dispiace non averli conosciuti personalmente, ma visto che si sono riuniti non è detta l’ultima parola.

CRYING STEEL – Puro HM, senza fronzoli in stile Judas Priest. Un genere che amo ancora tanto, non c’è altro da aggiungere.

Nella foto: Franco Onnis dal vivo a Macomer, 1985. 

Cosa pensi di band storiche e di gruppi emergenti sardi? Andiamo con ordine:

SALEM’S LOT – Erano nostri amici, sai che il loro primo demo lo hanno registrato in sala prove  a casa mia con il mio Vesta Fire 4 tracce, con cui feci il primo demo dei Rod, e io ho fatto da tecnico audio nella registrazione?

SKULL – Compagni di merende, ma anche gli unici veri antagonisti in Sardegna in quel primo periodo, poi sono scomparsi. Anche loro erano accasati alla Musical Box Promotion e il buon Klaus sbagliava raramente i gruppi da seguire. Qualche mese fa ho sentito Marco Fenudi (basso e voce), per incontrarci a un Motoraduno a Sassari in cui suonavo con i Rolling Gangsters, ma per un imprevisto non è riuscito a raggiungermi. Avrei bevuto volentieri qualche birra con lui a ricordare i vecchi tempi.

RUDE BOYS – Che dire, quando ho sciolto la prima volta i Rod Sacred nel 1992 ho formato i Golden Ace con Tony La Manna e Maurizio Cois (chitarrista e vocalist dei Rude Boys), oltre a Joe Del Rio alla batteria. Abbiamo anche registrato un disco in Svizzera che non è mai uscito per litigi vari con la casa discografica elvetica. Comunque loro hanno fatto belle cose a Londra, erano ben inseriti nel sistema e solo una grossa stupidaggine di Maurizio ha messo fine alla loro permanenza nella capitale inglese… sono praticamente fuggiti.

HOLY MARTYR – Non li ho mai visti live, ma mi pare una band che si stia sbattendo abbastanza. Posso solo dire: “benvenuti a bordo, non so dove la nave vi porterà ma comunque vada è giusto crederci e provarci!”

Com’è la situazione HM in Sardegna oggi? E rispetto agli anni Ottanta?

Non esiste secondo me un vero movimento oggi in Sardegna, regna qualche sparuto gruppo di metallari più nell’abbigliamento che nel cuore, tutti suonano in qualche cover band di cui il 90% suona pezzi degli Iron Maiden. Nessuno cura lo spettacolo e pochi scrivono musica. Forse è il caso di atteggiarsi di meno e provarci di più. Sai, non so se sia un bene o un male il fatto che la tecnologia a basso costo sia arrivata nella musica rendendo relativamente facile registrare un Cd con pochi euro o avere un sito su MySpace, ma con questa semplicità si rischia di appiattire molti valori e di perdere i veri talenti nel calderone della mediocrità. Gli anni ‘80 erano ruspanti e ti abituavano ad ingegnarti per registrare o per capire come si suonava un determinato pezzo, oggi i ragazzi usano i programmi per scoprire come si esegue il brano del tuo idolo senza neanche capire che chi ha fatto la trascrizione magari ha fatto anche degli errori e questo non sviluppa certo un’attitudine musicale.

Cosa pensi delle fanzine e delle riviste HM italiane?

Negli anni è cresciuta la qualità dei giornali e delle fanzine ma non si è sviluppato il coraggio di supportare molto di più le band italiane. Capisco che è il cane che si morde la coda in quanto se non si fanno le copertine con gli Iron o i Metallica i giornali non si vendono, perché fondamentalmente i ragazzi italiani sono convinti che le buone band siano solo straniere e non gli interessa comprare un giornale solo perché ci sono io o pinco pallo! Ma se non diamo visibilità ai nostri non riusciremo mai a guadagnare posizioni nella scala gerarchica del ROCK! Se posso dare un consiglio alle nostre riviste ma anche alle nostre radio o Tv locali dico: “Abbiate coraggio e vedrete che sarete ripagati”. Quando una band è ben pubblicizzata cambia agli occhi delle persone e queste iniziano a comprare i loro cd. I giornali si allineano poi di conseguenza.

Visto che agli esordi proponevate cover di queste band, vorrei un tuoi ricordo per ognuno:

SAXON – Essenziali e genuini, Strangers In The Night è la prima canzone metal che ho suonato live: una band che mi ha aiutato a crescere.

SCORPIONS – La melodia che fa da contraltare a un suono durissimo. Ho avuto la fortuna di vederli Live con il tour di Love at First Sting, un concerto meraviglioso e un’energia sul palco strepitosa. In quel periodo sono riusciti a far fischiettare le massaie italiane che ascoltavano la radio mentre facevano le pulizie. Forse è l’unico caso accaduto per il Metal in Italia.

IRON MAIDEN – Credo che ogni bassista metal si sia identificato per almeno un periodo della sua vita con Steve Harris che ha avuto il grande pregio di far crescere il ruolo del bass player all’interno di un gruppo Hard Rock. Gli Iron sono stati la band che negli anni ‘80 ho amato di più, anche a livello compositivo mi piacevano tanto ma dopo Powerslave mi hanno un po’ annoiato, forse li ho ascoltati troppo e ho fatto indigestione. Devo aggiungere che qualche mese fa ho visto il Dvd Live in Rio e li ho trovati in una forma strepitosa, anche se continuo a non amare i filmati cosi perfetti come si fanno oggi. Ricostruiti in studio a mio avviso perdono il sapore del vero Live.

DEF  LEPPARD – Il primo ed il secondo disco sono da antologia per la freschezza che hanno portato, poi il loro destino è stato segnato dalla sfiga. Succede anche ai grandi.

Quali sono i piani futuri in casa Rod Sacred o più semplicemente quelli di Franco Onnis?

Nel 2006 ho fondato un’associazione musicale che si chiama Rocklandia per poter organizzare degli eventi a sostegno di band emergenti che purtroppo dalle nostre parti non hanno molta visibilità e soprattutto mettere loro a disposizione un vero palco con un grosso impianto per potersi esibire. Questa premessa per dire che nel Luglio 2006 ho organizzato un concerto al parco di Villasor ma per richiamare tanta gente da dare visibilità ai gruppi emergenti mi serviva un headliner di prestigio, ma non avevo i fondi necessari e mi sono quindi inventato una reunion dei Rod Sacred con la line-up più conosciuta cioè: Tonio Deriu, Marty Vargiu e Joe del Rio. Mi sono emozionato, tantissima gente a gridare i nostri nomi come nel 90/91 e persone di 40 anni con la maglietta Rod Sacred. Dopo questo concerto ho avuto anche pressioni da road manager per una reunion definitiva e un disco nuovo, che tra l’altro ho quasi composto per intero, ma credo che sarebbe solo effetto della nostalgia, non so se potrebbe funzionare. Una cosa ho imparato nella vita, però: mai dire mai! Nel mio futuro ci sarà sempre posto per la musica in qualsiasi forma essa verrà, ma voglio anche continuare a dedicarmi a Rocklandia e ai Rolling Gangsters.

Chiudi come vuoi, Franco. Grazie.

Chiudo ringraziando Steven per questa intervista e per il modo molto particolare in cui l’ha condotta. Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere le avventure di un rocker che voleva fare della propria vita un film musicale ma che il destino o le scelte sbagliate in qualche momento non gli hanno permesso di fare. Voglio fare anche un saluto a tutti i partecipanti di questo film, e coloro che ci hanno aiutato o solamente sopportato ma a tutti voglio ricordare che almeno ci abbiamo provato. E per me non è ancora finita, forse ci sentiremo ancora!

Stefano “Steven Rich” Ricetti