Recensione: A Family Affair

Di Stefano Ricetti - 20 Ottobre 2010 - 0:00
A Family Affair
Band: Bad Bones
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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72

Se Smalltown Brawlers significava il sogno americano, A Family Affair rappresenta il raggiungimento dello stesso, pagando però un altissimo pegno, fatto di fame patita, stenti, freddo, miraggi di una doccia tiepida e paura diffusa. Si, perché i tre “Bone”, Steve Balocco, Meku Borra e Lele Balocco hanno avuto gli attributi di trasferirsi a Los Angeles e provare a vivere di sola musica. Esperienza tanto dura quanto affascinante e arricchente, che ha permesso ai Nostri di testarsi a fondo, sia come artisti che come uomini e di suonare in un tempio come il Whiskey a Go-Go. Per una volta i testi riguardano esperienze made in Usa di vita vissuta e non di cose solo immaginate o, peggio ancora, inventate e fatte passare per reali, come spesso accade in altri lidi.

La carica live dei cuneesi è proverbiale, così come la loro attitudine “Fuck You and Play”, quindi la curiosità nel capire se anche su disco essi riescano a catturare il Loro potenziale dal vivo costituisce l’elemento primario durante l’ascolto.

128 Oxnard Avenue costituisce l’intro del disco ed è la controversa Modern Times che apre, di fatto, le danze elettriche, senza impressionare, invero. Un pezzo che, probabilmente, con un po’ più di cura nel songwriting avrebbe potuto essere molto più ficcante. Road To R’n’R conferma l’acidità della voce di Meku ma pecca inevitabilmente in termini di potenza espressa, segnando un’ulteriore  occasione persa. No Way Out è il classico pezzo che viene scritto, composto e suonato dopo una notte di bagordi dove, per smaltire un po’ prima del rientro in magione, ci si reca nella sala prove e si attaccano i jack. Meku lo interpreta al meglio, esattamente come un ubriaco durante la prima fase dell’hangover, ricordando il Lemmy più trasandato e alcoolico. Molto, molto R’n’R e 100% Bad Bones. Ghost Town Blues segna il picco compositivo di A Family Affair: un bluesaccio dalla chitarra dura, pura e sporca come deve essere in questi casi e il singer che riesce darsi un regolata mantenendo le sbavature all’interno dei limiti consentiti.

La title track potrebbero averla scritta tranquillamente i Motorhead: ascia assassina, retrogusto d’altri tempi e un refrain irresistibile: “give me something to beleive in…” una dichiarazione di fiducia e allo stesso tempo di sconfitta. Il manifesto dell’ideologia Bad Bones: tre ragazzacci di strada non in virtù delle dichiarazioni rilasciate ma di fatto dopo aver rischiato la ghirba in quel di Wilmington.

Street Dogs è un brano animale che riporta alla luce incubi notturni fatti di cani randagi (reali) affamati di carne umana, segnando il connubio fra la musica dei Nostri e la lezione Punk più sporca e diretta, nella fattispecie inglese. Inaspettate aperture melodiche danno il “la” a Run Over Me, brano che stenta a decollare, vuoi per la lunghezza, inusuale per i tre piemuntes, vuoi per l’interpretazione, al di sotto delle aspettative. Discorso opposto per With The Lights Off, sputata figlia degenere degli anni Novanta, che sa accalappiare alla grande l’attenzione con un bridge inarrestabile e ficcante, colorando i Nineties di toni sgargianti al posto dell’usuale grigio listato a lutto.

Rock’n’Roll scazzatissimo in My Head Is Upside Down, mix bastardo fra Ac/Dc e Guns N’Roses, poi è la volta di Desperado, che gli aficionados dei Bad Bones conoscono ben bene in quanto  solitamente viene posta a chiudere i Loro concerti. Special Guest – per niente invadente – Mr. Rob Tyrant dei Labyrinth. Chiusura commovente per mano di Don’t Let The Spirits Get In, pezzo sensuale e adulto che se solo l’avessero scritto i Motley Crue piuttosto che gli Aerosmith saremmo qua a spellarci le mandi dagli applausi.             

Purtroppo qualche passaggio a vuoto di troppo lascia l’amaro in bocca per quello che poteva essere e invece non è stato… le potenzialità dei Bad Bones sono enormi, così come la circonferenza dei Loro attributi, forgiati nei dintorni del porto della Città Degli Angeli e non a chiacchiere e distintivo come in altri casi. A Family Affair è “soltanto” un buon disco, irriverente e stradaiolo che però consegna una band che deve ancora lavorare per fare il salto di qualità oltre che poter esplodere in studio la grande carica rockandrollesca con la quale irrora le assi dei palchi dove si esibisce.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Tracklist:
1. Intro – 128 Oxnard Avenue
2. Modern Times
3. Road To R’n’R
4. No Way Out
5. Ghost Town Blues
6. A Family Affair
7. Street Dogs
8. Run Over Me
9. With The Lights Off
10. My Head Is Upside Down
11. Desperado
12. Don’t Let The Spirits Get In

Line-up:
Meku Bone (Domenico Borra) – chitarra, voce
Steve Bone (Stefano Balocco) – basso, voce
Lele Bone (Raffaele Balocco) – batteria
             

 
  

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