Recensione: Accelerated Evolution

Di Stefano Burini - 14 Aprile 2011 - 0:00
Accelerated Evolution
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Anno: 2003
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80

Genio e Follia. Parlando di un personaggio poliedrico come Devin Townsend è fin troppo semplice saltare tra questi due poli opposti: lo dicono gli innumerevoli e spesso incredibilmente differenti lavori su cui Hevydevy ha messo la firma negli ultimi quindici anni. Lo dicono le sue interviste, nelle quali molto spesso ha lasciato trasparire tanto trasporto e orgoglio per i propri album quanto talvolta inquietudine e insoddisfazione dettati da una maniacale indole perfezionista e, parole sue, dall’obbligo di confrontarsi con un personaggio così schizofrenico come quello con cui ormai da anni viene identificato dai fan e dalla critica.
Indubbiamente non si tratta di un personaggio semplice: Devin Townsend è innanzitutto un creativo in possesso, come tutti gli artisti di un certo livello, di un ben determinato stile riconoscibile al primo ascolto, sia che si tratti di uno dei suoi lavori solisti più bizzarri e anticonformisti, sia che riguardi uno qualsiasi dei lavori targati Strapping Young Lad, un trademark figlio di quelle che sono le sue maggiori influenze a livello musicale e di background culturale.
Devin Townsend è inoltre un personaggio eccentrico, totalmente al di fuori di qualsivoglia logica legata a esigenze di music business e assolutamente avverso all’idea di porre attenzione ad aspetti che anche nel metal sono per molte band assolutamente fondamentali quali il look e un certo conformismo in sede di intervista. Difficilmente abbiamo sentito (e sentiremo) Devin parlare di fratellanza metallica o di musica scritta per i fan o di un palco che è la sua seconda casa: Devin è un personaggio introverso, del tutto particolare e che ha sempre affermato di scrivere musica innanzitutto per se stesso, in maniera quasi terapeutica, e anche per questo amatissimo dai suoi fan di più vecchia data.
Il risultato di tutto questo, dal punto di vista musicale e professionale si è riflettutto in un lavoro discografico di proporzioni titaniche (dal 1993 ad oggi, 5 album da studio più un live è un “best of” con gli SYL,14 album da studio nelle varie incarnazioni della DT Band/Project e una serie di raccolte di bootleg e inediti vari, senza contare le varie collaborazioni e gli innumerevoli progetti diretti da dietro la consolle nelle vesti di produttore) e dalle sembianze spesso violentemente contradditorie, sia in termini musicali (thrash/cyber metal, ambient music, rock melodico, prog e chi più ne ha più né metta) sia di tematiche.
Personalmente, pur riconoscendo le sue enormi doti compositive, strumentali e canore, ho sempre pensato che questa sua conflittualità interiore, in grado di creare lavori oscuri, e claustrofobici come l’incredibile “City” e, nell’arco di breve tempo, di dare alla luce i più solari “Ocean Machine” e “Infinity“ a volte gli abbia impedito di mettere a fuoco cosa realmente volesse affermare in un determinato disco.
In questo senso ho sempre ritenuto essere “Accelerated Evolution” uno dei suoi più lavori completi e maturi: in esso c’è tutta l’essenza di Townsend, dalla scelta dei suoni, moderni ed effettati, alle ritmiche molto complesse tipiche di tutti i suoi lavori, all’uso esasperato della voce (una vera meraviglia quello che questo ragazzo riesce a fare con le proprie corde vocali, e come riesca a far confluire anche in canzoni di per sé piuttosto tranquille e addirittura “melodiche” tutti i trascorsi di extreme metaller, con risultati assolutamente stupefacenti dal punto di vista dell’espressività globale del suo cantato) fino all’amplissimo respiro di buona parte delle composizioni. Rispetto tuttavia ad altri lavori ciò che probabilmente lo eleva è quella sorta di filo conduttore, sonoro e compositivo che rende l’album un tutt’uno dalle mille facce, ma con un’unica anima, quella di Devin Townsend.

Il viaggio parte con “Depth Charge”: l’intro ha un andamento marziale ma, nel volgere di pochi brevi istanti, il ritmo accelera progressivamente lasciando spazio ad un heavy metal spaziale e cibernetico dominato da riffing dinamico e cantato istrionico tipicamente made in Townsend.
“Storm” rappresenta, almeno nella prima parte, il lato più “tranquillo” e scorrevole delle composizioni del Mad Canadian: l’atmosfera creata dalla voce pulita e controllata di Devin e dalle melodie solari, per quanto particolari e caratterizzate da un latente velo di inquietudine tipicamente townsendiano, è di malinconica pace; la reprise del tema portante con chitarre più aggressive e cantato in screaming produce una sostanziale variazione sul mood del pezzo, trasformando quella che era una venatura di angoscia di fondo in una vera e propria invocazione, toccante e disperata.
“Random Analysis” ha un andamento complessivamente più nervoso; tuttavia l’isteria si stempera a partire dal terzo minuto nel denso tappeto sonoro prodotto da chitarre, tastiere e voce filtrata, unite a formare un tutt’uno assolutamente da brividi.
Con “Deadhead” si giunge al miglior brano di “Accelerated Evolution”, un trip siderale dal fascino lisergico paragonabile per trasporto e inventiva, pur con le ovvie differenze in termini di medium utilizzato, alla celeberrima sequenza del viaggio verso Giove dell’astronauta Bowman in “2001 – Odissea nello spazio”: riff rallentati ripetuti ossessivamente, suoni e arrangiamenti a metà tra il prog metal e derive cyber/industrial e ovviamente l’eccezionale prova di un Devin Townsend all’apice delle proprie possibilità espressive, in grado di passare tra vari registri di cantato con una facilità e una funzionalità al brano assolutamente unici.
Il riffing di “Suicide” è uno dei più groovy dell’intero lavoro, le chitarre sono grasse e l’andamento cadenzato, mentre la voce effettata di Devin intona una melodia magniloquente in grado di restituire appieno sia l’enfasi drammatica di un testo disperato e nichilista quanto la dignità di un uomo in grado di soffrire in maniera composta di fronte al dolore universale. Non da meno, in quanto a espressività e bellezza, il superbo assolo.
Come a voler riconfermare la schizofrenia di un artista dilaniato dalle proprie contraddizioni, il finale dell’album vede il ritorno del Devin Townsend più positivo e scanzonato: da “Traveller”, dal testo positivo e dall’atmosfera gioiosa, passando per la strumentale “Away”, un affresco sonoro a base di chitarre e batterie dal suono fortemente “digitale”, costruito su un loop sognante ed immaginifico che riparte laddove “Deadhead” si era conclusa e la leggiadria velata di malinconia di “Sunday Afternoon”, fino alla conclusiva e invero un po’ stucchevole “Slow Me Down”.

In un album come questo c’è tutto Devin Townsend, con i suoi pregi e suoi difetti, le sue ansie e paure e le sue speranze, un artista in grado come pochi di mettere a nudo la propria fragilità, il proprio essere umano e instabile, soggetto a picchi di contagiante positivismo pur senza mai dimenticare gli abissi della disperazione più nera e psicotica. Come definire, altrimenti, non soltanto questo lavoro, ma l’intera carriera del musicista canadese, se non come un caleidoscopico susseguirsi di sensazioni e di emozioni tanto forti e intense quanto umane e discordanti?

Stefano Burini

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Line Up

Devin Townsend: voce e chitarra
Ryan Van Poederooyen: batteria
Mike Young: basso
Brian Waddell: chitarra
Dave Young: tastiera

Tracklist

01 Depth Charge
02 Storm
03 Random Analysys
04 Deadhead
05 Suicide
06 Traveller
07 Away
08 Sunday Afternoon
09 Slow Me Down

 

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