Recensione: All I Was

Di Vittorio Cafiero - 26 Luglio 2012 - 0:00
All I Was
Band: Tremonti
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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85

Cosa può spingere una rockstar da oltre 40 milioni di dischi venduti in tutto il mondo e con ben due band avviatissime (Creed ed Alter Bridge) a mettersi profondamente in gioco con un disco solista, dove oltretutto si sobbarca anche il ruolo di cantante? L’ambiziosa ricerca di altro successo? L’opinabile tentativo di arricchirsi ulteriormente con un prodotto facilmente vendibile? La voglia di ostentare particolari virtuosismi non opportuni nelle band principali? Ascoltando All I Was, l’esordio di Mark Tremonti, si può facilmente rispondere negativamente a tutti questi quesiti. Senza lasciarsi andare a ridicoli panegirici che sarebbero davvero fuori luogo, dal cd in questione trasuda, semplicemente, una grande voglia di fare musica nel senso più completo del termine. In sintesi, una dannata voglia di rock vero e senza fronzoli.

Ci troviamo infatti al cospetto di dodici tracce genuine, piene e, nella maggior parte dei casi, soprendentemente pesanti, che da Creed ed Alter Bridge prendono relativamente poco, se non le parti più heavy, e sono un vero e proprio tributo al chitarrismo rock-metal americano più recente. Lontanissimo, quindi, ogni sospetto di pezzi costruiti a tavolino, la sensazione è che il chitarrista di origine italiana non abbia fatto altro che mettere su disco il frutto del suo lavoro meno adatto alle sue band, ma qualitativamente dello stesso livello, perché davvero non c’è traccia di scarto o riempitivo di sorta tra questi pezzi.
L’inizio è assolutamente compatto e dirompente, con una Leave It Alone solida e allo stesso tempo orecchiabile: subito appare evidente (e c’era da aspettarselo) la centralità dell’ascia di Tremonti, con accordi stentorei, tuttavia siamo ben lontani dal puro onanismo chitarristico, perché il Nostro vuole comunque mettere in primo piano la canzone in quanto tale. E ciò trova piena realizzazione in un cantato sicuro e adatto al contesto. La parte solistica non è davvero lasciata al caso, per un inizio convincente da tutti i punti di vista. Stupisce addirittura la successiva So You’re Afraid, ancora più pesante ed iniziano a palesarsi le influenze più squisitamente metal di Tremonti, in un palm muting che definire vicinissimo a quello dei Metallica non è certo esagerato; e tale vicinanza si esemplifica anche nell’assolo, assolutamente in linea con il Kirk Hammett dei tempi migliori. In un crescendo di potenza, anche la successive Wish You Well e Brains sono di fatto debitrici dei Four Horsemen: la prima, di quelli più istintivi e grezzi, la seconda, invece, con il suo incedere che sembra preso da The Wait (Killing Joke, già coverizzata dai quattro di Frisco) e che si sviluppa poi verso lidi più melodici.
Dopo un inzio votato all’energia e certamente coinvolgente, un momento di pausa è necessario: The Things I’ve Seen inizia lento sulla scia di certe atmosfere in stile Staind, ma di sicuro è catalogabile come power ballad; il cantato di Tremonti diventa presto rabbioso ed incisivo, così come la chitarra, che esplode ancora heavy e distorta.
You Waste Your Time è la canzone scelta come singolo ed è disponibile come video già da diverso tempo. Il pezzo parla da sé per carica e coinvolgimento, tuttavia chi scrive è rimasto colpito da un semplice dettaglio: cosa alquanto rara, il clip messo in rete non è il solito “playthrough” in playback sul pezzo preso da CD (prassi per tutti i video, anche in campo rock) ma la fedele proposizione live del pezzo suonato in sala prove. E credo che questa scelta sia quanto mai emblematica per delineare l’anima così genuina di questo progetto.
Un altro momento più riflessivo è proposto dalla corale New Way Out, dove Tremonti fornisce una prova dietro al microfono davvero notevole. Si tratta forse del pezzo più vicino a quanto ci si potrebbe aspettare dall’autore di pezzi come My Sacrifice (Creed) e Broken Wings (Alter Bridge). Si prosegue e il livello qualitativo rimane elevato: Giving Up è ricca di groove e il suo bridge è strepitoso nel riffing incalzante, per un altro pezzo eccellente. Se Proof è forse la traccia più standard e lineare dell’album, la title track ci riporta indietro di qualche anno con il suo flavour di stampo Alice In Chains che improvvisamente volge verso una chiusura davvero aggressiva. Ci avviciniamo alla fine: ficcante quanto basta Doesn’t Matter, più varia e pesante Decay, vero e proprio esempio di modern metal a stelle e strisce.

Il lettore perdonerà il dettagliato track-by-track, ma questa volta ci troviamo di fronte ad un lavoro privo di veri punti deboli o passaggi a vuoto, che merita di essere approfondito e assaporato pezzo per pezzo: All I Was è un esordio davvero convincente per Mark Tremonti e, forse, anche inatteso. Considerarlo un esperimento estemporaneo sarebbe di certo riduttivo. Forte di una base ritmica assolutamente solida e affiatata (Eric Friedman alla chitarra-basso e Garrett Whitlock alla batteria, gregari di lusso), la speranza è che il chitarrista (e, ora possiamo dirlo forte, cantante) trovi il tempo necessario a far spiccare il volo come merita a questo suo nuovo progetto. Non accordargli il giusto focus sarebbe un peccato, come un peccato sarebbe per gli amanti della musica pesante non dargli una chance. Provare per credere.
 

Vittorio “Vittorio” Cafiero
 

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Tracklist:
1.Leave It Alone
2.So You’re Afraid
3.Wish You Well
4.Brains
5.The Things I’ve Seen
6.You Waste Your Time
7.New Way Out
8.Giving Up
9.Proof
10.All I Was
11.Doesn’t Matter
12.Decay

Durata: 50 minuti c.a.

Line-up:
Mark Tremonti – lead vocals, lead guitar
Eric Friedman – rhythm guitar, bass, backing vocals
Garrett Whitlock – drums

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