Recensione: Apocalypse

Di Roberto Gelmi - 15 Agosto 2018 - 10:00
Apocalypse
Band: Primal Fear
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Dodicesimo full-length in 20 anni di carriera (celebrata con un recente best of) per i Primal Fear di Ralf Scheepers e Mat Sinner. Ne è passato di tempo dal lontano 1998, anno del debut album del combo tedesco (con pezzi riusciti come “Chainbreaker” e “Formula One”) e annus mirabilis per il risorto power metal, che vedeva buone uscite degli alfieri Blind Guardian, Helloween e Virgin Steele ancora sugli scudi. Oggi queste band vivono un periodo di fisiologico calo creativo: nel caso dei Primal Fear, forse è meglio parlare di coerenza portata alle sue estreme conseguenze. Ogni volta che ci accingiamo ad ascoltare una loro nuova uscita, infatti, sappiamo che avremo a che fare con un sound scevro da innovazioni, incentrato sull’onnipresenza delle chitarre, tutto velocità e acuti del muscoloso vocalist, degno epigono di Rob Halford.
Apocalypse si presenta con un artwork meno essenziale rispetto a quello di Rulebreaker, ma non rivela altro rispetto a quanto assodato da anni, l’alchimia del combo teutonico funziona ancora a pieno regime e la voglia di aderire alla tradizione resta componente fondamentale. “New Rise” è un opener schiacciasassi degno dei cugini Rayz, la produzione è pulita e il mixing affidato a Jacob Hansen non delude. Seguono i due singoli, usciti rispettivamente a inizio agosto e fine giugno. “The Ritual” nelle ritmiche tiratissime ricorda vagamente l’incedere di “The Final Sacrifice” del secondo capitolo Avantasia. Bello l’avvio semiacustico di “King Of Madness”, altra traccia sorretta dalla doppia cassa del varesotto Francesco Jovino, che non fa rimpiangere Randy Black, uscito dal gruppo nel 2014. “Blood, Sweat, & Fear” è uno de pezzi più tamarri in scaletta, con titolo (e refrain) che vi resterà in testa dal primo ascolto; complice una parte strumentale di tutto rispetto, questo pezzo potrà benissimo venire incluso nella compilation ideale di questo scorcio d’estate. Sorta di mid-tempo non troppo riuscito, invece, “Supernova” non sprigiona cento miliardi di Kelvin come vorrebbe il titolo. Meglio la versione orchestrale in calce al platter. Ritroviamo ritmo e groove con “Hail To The Fear”, aperta da un riff in tremolo picking che ribadisce l’essenza teutonica dei Primal Fear. Non male la trovata di sovraincidere le parti di Scheepers su registri diversi, l’ex-Gamma Ray dimostra ancora una capacità vocale invidiabile (le sue presenze come special guest raggiungono quelle di Lione per intenderci). “Hounds Of Justice” e “The Beast” sono buone tracce, ma risulta difficile non confonderle con le altre decine composte dai Primal Fear nei corso degli anni. Quasi in chiusura troviamo, fortunatamente, gli otto minuti di “Eye Of The Storm”, un’altra composizione lunga dopo “We Walk Without Fear” in Rulebreaker. Qui i nostri riescono ad emozionare anche senza calcare sull’acceleratore, basti ascoltare la seconda parte del brano, con tastiere e chitarra acustica, quasi vengono in mente i Blind Guardian. Un centro che risolleva le sorti complessive dell’album che poteva avere un epilogo a effetto nell’occhio del ciclone, invece Sinner & Co. decidono di aggiungere la bruttina “Cannonball”, brano fuggito inspiegabilmente dagli Eighties. Non mancano, inoltre, alcune ghiotte bonus track, ma dopo cinquanta minuti di metallo fuso si rischia di esagerare.
In definitiva Apocalypse è il solito album roccioso dei Primal Fear, i fan che prediligono le asce ai tasti d’avorio avranno di che gioire, siamo lontani però dalla qualità di Firepower uscito a marzo dai giganti Judas Priest. Un ascolto lo merita, dieci di fila è improbabile.

Roberto Gelmi (Rhadamanthys)

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