Recensione: Arpitanian Lands

Di Tiziano Marasco - 19 Settembre 2016 - 8:00
Arpitanian Lands

Arpitano, chi era costui? Non è che abbia pensato a ciò, trovandomi innanzi alla copertina di “Arpitanian Lands”, quarto atto nella discografia degli Enisum. Ma devo ammettere che il termine “Arpitanian” mi suonava noto. In realtà il pensiero evocato da quella copertina, monti plumbei tra nuvole cerulee, faceva venire alla mente un gruppo di scuola black nord americana (magari con Appalachian in luogo di Arpitanian) come sempre più spesso se ne trova, dopo l’esplosione dei Nachtmystium e l’insorgere di numerose perle di settore targate Gallowbraid, Caladan Blood, Obsequiae e tanti altri.

Dando però di piglio alla tracklist ci si imbatte in titoli come “Alpine Peaks” e soprattutto “Chiusella’s Waters”, titoli che scoprono le carte senza termini di smentita. E qui viene alla mente che l’Arpitano (o franco provenzale) è una lingua, ovviamente romanza, parlata nel nord ovest italiano, in Svizzera e in Francia. E qui arriviamo al dunque. Gli Enisum sono infatti un gruppo della nostra penisola. Un gruppo che, peraltro, secondo rivelano ricerche successive, gemello dei “nostri” (nel senso proprio di questo portale) Dawn of a Dark Age, band giovane ed estremamente prolifica. Un gruppo che, ad ogni modo,  viene dal capoluogo del Piemonte.

Venendo al disco, dunque, ci troviamo ad unire i puntini delle nostre intuizioni, vere o sbagliate che siano. Perché stranamente, andando a sensazione abbiamo fatto centro con gli Enisum, ensemble che si fa portatore di un black molto atmosferico e piuttosto orientato alla lezione nordamericana dei gruppi precedenti citati, molto più che a quella dei maestri scandinavi.

Ne viene fuori un classico esempio di black di “seconda generazione”, fatto di sfuriate classiche, seppure velate da grandiosa malinconia (su tutte “The Place where you Died” e “Desperate Souls”). Non mancano le frequenti interruzioni fatte di arpeggi di chitarra riflessivi – in tal senso è davvero ottimo l’avvio di “Alpine Peaks”. Il risultato, a sorpresa, è un disco compatto, molto compatto, in cui i cambi di ritmo sono gestiti davvero bene.

Un disco che non brilla tanto per originalità (ovvio, il black, ancorché atmosferico, è comunque black) quanto per vitalità, poiché gli Enisum, basandosi su un numero minimo di stilemi base, confezionano un prodotto godibile, che affascina fin da subito, anche grazie ad un paio di intuizioni tanto semplici quanto decisive.

La prima, fondamentale, è quella di avvalersi qui e la (“Sunset on my Path”) delle clean vocals femminili di Eiphilin. Soprattutto, il gran merito è quello di assegnare alla singer la totalità delle vocals nel pezzo di apertura, che per inciso è pure la title track. In tal modo la opener si trasforma in un pezzo molto “alla Myrkur”, elemento che cattura l’ascoltatore fin da subito e lancia il chiaro segnale di una band, che si vuol mantenere legata al black ma che pure guarda, in certa misura, avanti.

Secondo elemento interessante è l’utilizzo di cori dissonanti, cantati a metà strada tra clean e growl. Anch’essi mai abusati, colpiscono subito, fin dal primo ascolto, e fanno grandi i nove minuti della già citata “Desperate Souls”.

Arpitanian Lands, album che non spara tutte le migliori cartucce all’inizio ed al contrario le riserva per il finale, ci presenta una band matura ed in gran forma. Una band che non vuole strafare cercando di sconvolgere i canoni di un genere canonico e reazionario, ma pur tuttavia dotata di buona personalità di sapienza e, a ben guardare, di furbizia. Se questa è la strada che i nostri vogliono seguire, il black italico  può stare tranquillo.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco