Recensione: Avatar

Di Daniele D'Adamo - 30 Marzo 2010 - 0:00
Avatar
Band: Avatar
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
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60

Dopo anni di “vacche grasse”, il death melodico è entrato nel periodo contrapposto, cioè in quello delle “vacche magre”.
Se questo intervallo durerà i biblici sette anni, non è dato di saperlo. Quel che è sicuro, è che non si placa la ricerca di una nuova strada da percorrere per coloro che han fatto della commistione “brutalità/melodia accattivante” il proprio credo. Svedesi in primis.
Bisogna andare ormai in paesi quali la Spagna (Laments Of Silence) o la Grecia (Nightrage), per trovare il genere immutato nella sua forma primigenia; paesi in cui il sound figlio di In Flames e Soilwork è emigrato, forse, definitivamente.

Con il loro terzo full-length gli Avatar, a conferma di ciò, si dirigono con decisione verso un approccio più morbido, lasciando il termine death solo sulla carta.
Il tragitto verso un sound meno aggressivo e a impatto ridotto – già avviato con il precedente “Schlacht” – è probabilmente terminato, poiché “Avatar” è un album dal groove maturo e dai connotati completi. L’organismo raggiunto ha tutta la forma e la sostanza di un’evoluzione portata a termine.
In coerenza con quanto sopra azzardato, il disco è confezionato in maniera impeccabile: esecuzione, produzione, artwork sono il frutto di un lavoro professionale; eseguito allo scopo di affrontare senza indecisioni le impetuose correnti del mercato mainstream.

Mainstream e non certo underground, dato che tutto quanto è diligentemente svolto per mantenere salda la rotta dietro alla chimera della melodia di facile presa. Tale condizionamento si ascolta senza difficoltà nel guitarwork, si vario e a volte anche possente ma deputato, nella sostanza, a far da mera base alle linee vocali, alla costante ricerca di forme armoniche semplici accessibili al massimo.
Anche la sezione ritmica, come ci si poteva attendere, svolge il proprio lavoro senza non andare mai fuori dalle righe: da dimenticarsi le scorrerie con la doppia cassa, tanto per dirne una.
La volontà del quintetto di Gothenburg di farsi strada nei canali tipo MTV et similia si può evincere – anche – dalla struttura delle canzoni, progettate per rispettare al meglio gli stilemi più classici dell’hard rock.

Si fa prima a citare gli episodi più movimentati e più riottosi, come “Pigfucker”, che il viceversa. Questa canzone è l’unica ove il gruppo affronti le alte velocità e dove Alfredsson si ricordi di piazzare un blast beats, giusto per ricordare i tempi passati.
Il resto si assesta su un mood a parer mio piatto, a uso e consumo per chi non ha i timpani abituati a vibrare dietro sollecitazioni estreme.
La volontà di scrivere canzoni in grado di bucare l’anonimato (il moniker è stato deciso ben prima del film omonimo, ma la fortuna aiuta gli audaci) determina però una certa disomogeneità fra le canzoni stesse, indecise su quale groove attestarsi definitivamente.
“Lullaby (Death All Over)” – hit dal leiv motive assai gradevole, che s’insinua piacevolmente nel cervello – potrebbe essere il marchio di fabbrica cercato. Così tuttavia non è, dato che il combo strizza l’occhio al rock’n roll sia con “The Great Pretender”, dal refrain un po’ lagnoso, sia con “Reload” che – nell’anthemico ritornello – ricorda vagamente Brian Johnson degli AC/DC, il quale fa nuovamente capolino in “Deeper Down”. Oltre a questo, non manca una puntatina all’heavy (“Queen Of Blades”), al blues (“The Great Pretender”), al melodramma (“Revolution Of Two”).
La sensazione, in pratica, è che a forza di cercare la rotta più catchy possibile, venga persa la bussola.

Tutto questo conduce a una risicata sufficienza: gli amanti dei toni soft troveranno altrove bocconi più saporiti da ingurgitare, gli aficionados delle sonorità estreme eviteranno “Avatar” come la peste.
Non tutto è da buttare e nel complesso l’album si fa ascoltare senza particolari difficoltà, lasciando tuttavia strada, dopo breve tempo, alla noia. Un platter che, temo, non lascerà alcuna traccia ai posteri.

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Track-list:
1. Queen Of Blades 4:28
2. The Great Pretender 4:03
3. Shattered Wings 3:35
4. Reload 4:13
5. Out Of Our Minds 4:29
6. Deeper Down 3:46
7. Revolution Of Two 5:08
8. Roadkill 3:28
9. Pigfucker 2:08
10. Lullaby (Death All Over) 7:46

Line-up:
Johannes Eckerström – Vocals
Jonas Jarlsby – Guitars, Backing Vocals
Simon Andersson – Guitar
Henrik Sandelin – Bass
John Alfredsson – Drums
 

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