Recensione: Beyond

Di Luca Montini - 7 Marzo 2014 - 0:00
Beyond
Band: Freedom Call
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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85

“Jump and carry on!”
 

Freedom Call: li avevamo lasciati appena un anno fa impegnati nel loro happy metal party per festeggiare il quindicesimo anniversario del gruppo, con il best of “Ages of Light (1998 – 2013)”. Una collection che conteneva un CD extra nel quale i ragazzi si erano sbizzarriti nel riarrangiare i classici della band in stile ska, reggae, rockabilly , folk e quant’altro. Nella nostra intervista il leader Chris Bay (chitarra e voce) ci aveva decisamente rassicurato: si trattava solo di un simpatico diversivo per rilassarsi e ricaricare le batterie prima del successivo full-lenght 100% metal. Se “Beyond” è il risultato di questo momento di svago, avrei una lunga lista di band metal alla quale suggerire di comporre per divertissement un po’ di musica reggae e rockabilly!
Facciamo chiarezza: non approcciatevi a “Beyond” pensando di cercare un “oltre”, uno stile inedito per i Freedom Call. “Beyond” è happy metal all’ennesima potenza, un’esplosione di positività che irradia della sua luce splendente ben quattordici tracce, per un’ora abbagliante di epicità e leggerezza: lontani dai problemi, dalle difficoltà del quotidiano dalle angosce esistenziali dei nostri tempi.
In “Beyond” passato, presente e futuro dei Freedom Call si incontrano in un mistico crocevia, dalla lineup allo stile, in un vorticoso mix di brani veloci e mid-tempo, doppia cassa, riff power, strofe tastierose, ritmiche serrate e ritornelli altissimi, epici e zuccherosi. Si segnala l’ingresso di Ramy Ali dietro le pelli. Sale di nuovo a bordo anche il bassista “storico” Ilker Ersin: vere e proprie armi da fuoco alla sezione ritmica, insomma, che completano il dream team dei Freedom Call edizione 2014.

L’album apre le danze con il singolo “Union of the Strong”, lanciato con un video su youtube prima della release del disco, con il suo ritornello pulito e sincopato ed il drumming deciso e potente del nuovo batterista. Ci sono anche citazioni al passato, dal ritornello dell’opener a “Carry On” da “The Circle of Life” (2005), alla successiva “Knights of Taragon” che cita l’EP del 1999.
Il trittico di apertura completato con “Heart of a Warrior” è già un trascinante decollo da Boeing 757: neppure la successiva “Coming Home” riesce a smorzare o rallentare in maniera consistente il tempo e l’energia, fino alla sua sezione finale che ricorda un po’ il gospel. Power gospel, dai.
A spiazzare l’ascoltatore ci pensa “Beyond”, una titletrack epica ed emozionale che infrange il muro dei sette minuti, articolata e complessa come mai nella storia della band. Un pezzo frutto della grande maturità raggiunta dai tedeschi, come dichiarato dallo stesso Chris Bay nella nostra recente intervista.
Sempre più in alto (almeno nel ritornello) con il mid-tempo “Among the Shadows”, seguito dalla graffiante “Edge of the Ocean”, saliscendi ritmico come le onde dell’oceano con l’assolo messo lì, al punto giusto e col dovuto senso della misura, in un impeto qualitativo da applausi. I ragazzi sembrano non sbagliare un colpo.
Cavalcata e riff, trombe e via, pronti per un’altra avventura contro le forze del male in “Journey to the Wonderland” – un nome che è tutto un programma – ed ecco i Freedom Call che potrebbero tranquillamente duettare con Cristina d’Avena, con un canto e controcanto ed un songwriting ispirato che non sentivi dai tempi di Fivelandia.
Torniamo sul mid-tempo manowariano con “In the Rythm of Light”, a dimostrazione che per i guerrieri della luce teutonici la parola “Light” è come il pomodoro – e da oggi ha anche un ritmo ballabile. Buono a sapersi!
Dance off the Devil” è il brano più curioso dell’album, con il suo testo e le sue ritmiche africane in un melting pot di influenze… una sorta di power hakuna matata vodoo per allontanare gli spiriti maligni. Freedom Call senza confini. Organo e ritornello epico per “Paladin”, altra hit dell’album capace di restituire una carica sterminata di energia grazie ad un songwriting decisamente sopra le righe anche per l’epic. Avanti ancora con “Follow Your Heart” e “Colours of Freedom”, brani ancora molto vivaci dal power all’heavy che preludono alla degna conclusione di “Beyond Eternity”, che ci saluta con le sue cornamuse. Novantadue minuti di applausi.

In una società come la nostra, in un paese filosoficamente e culturalmente radicato nel neoesistenzialismo come il nostro, troppo spesso sottovalutiamo la positività. Preferiamo di gran lunga l’autocommiserazione. L’eterno lamento. L’intellettuale è triste. La tristezza è chic, il cinismo e l’arroganza sono il motore del denaro e del successo; la felicità è roba pacchiana da eterni sognatori ubriachi. La vita è crisi, sofferenza, tutto il resto è entertainment. Per fortuna poi arrivano i Freedom Call ad infrangere questi dogmi con la forza dirompente del loro happy metal!
Se è vero che “Beyond” non inventa nulla, dobbiamo ammettere che difficilmente potevamo aspettarci di meglio dal nuovo lavoro dei Freedom Call: un album maturo, ben quattordici pezzi dotati di grande carisma, dritti al bersaglio, senza punti deboli; i soliti ritornelli tutti da cantare come la sigla del nostro cartone animato preferito, un’ora di power happy metal che vola al ritmo della luce. “Beyond” raggiunge vette molto elevate, tanto da poter essere accostato senza remore a classici come il debut “Stairway to Fairyland” (1999) o “Eternity” (2002). Un disco da affrontare con lo spirito del bambino che sogna di essere l’eroe della luce, il paladino che si staglia contro le tenebre in cerca dei grandi misteri dell’eternità, in una lontana terra incantata.
Siete pronti ad accogliere l’invito dei guerrieri della luce?
 

“In a Land and a time where angels fly
In a Land of our destiny
Where the rainbow leads through heaven’s eyes
You are Beyond Eternity”

 

Luca “Montsteen” Montini
 

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