Recensione: Cavalries of the Occult

Di Daniele D'Adamo - 8 Marzo 2017 - 0:00
Cavalries of the Occult
Band: The Furor
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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76

Nome semplice quanto chiaro, The Furor. Nel caso, indicativo di una band che fa del metal estremo il terreno in cui radicare una delle forme più devastanti di death metal che esistano su questo pianeta.

Benché non sia noto al grande pubblico, il terzetto australiano, nato nel 2002, con “Cavalries of the Occult” raggiunge il ragguardevole traguardo del quinto album in carriera. Non poco, data la natura assolutamente underground della proposta, che esige totale sacrificio e dedizione assoluta, da parte dei Nostri, per proporre con continuità un’idea musicale che non li renderà mai ricchi e, più o meno, sempre misconosciuti ai più.

Ma Dizazter, Hellhound e The Grand Impaler di ciò se ne fanno beffa e rendono onore al metal oltranzista andando avanti imperterriti per la loro strada, mescolando e rimescolando un amalgama a 10.000 °C di metalli pesanti. Sfascio assoluto, desolazione melodica e una mostruosa spinta di gas iridescenti connotano il loro sound, spaventosa emanazione di un death metal assolutamente primordiale – ma non old school – , grezzo e involuto ma dall’immane forza scardinatrice. I tre di Perth sono completamenti pazzi, in completa balia della trance da hyper-speed, abbrustoliti dalla foga demolitrice delle ondate di blast-beats che Dizazter propaga sugli oceani. Tsunami di riff affogano la sanità mentale di chi osa tentare l’ascolto di “Cavalries of the Occult”, agghiacciante coagulo di nove brani uno più terremotante dell’altro. In fuga dall’atmosfera terreste per il tuffo finale nella corona solare, a ritrovare le medesime temperature nelle quali sono forgiate dall’infernale manipolo australe.

Dopo l’apertura delle ossa craniche con l’opener-track ‘Death Manifest’, ‘Cavalries of the Occult’ – la… canzone – si ficca immediatamente fra i gangli cerebrali, saccheggiando la mente per scovare anche i più intimi pensieri da rivoltare come un guanto e buttare poi al vento. L’unico obiettivo, difatti, è il completo stordimento, l’incondizionata discesa nella psicosi, il disfacimento delle barriere spazio-temporali che orlano lo spirito. Affinché quest’ultimo possa discendere lungo il budello dell’Ade accompagnato da song allucinanti quali, per esempio, la spaventosa ‘Second Coming Slaughtered’. La velocità raggiunta dallo scellerato Dizazter – vocalist posseduto da rabbia canina – è assurda, quasi inconcepibile. Pensare a qualcuno che possa spingere con ancor più vigore il pedale dell’acceleratore ritmico è impossibile. Le sfuriate dei blast-beats si aggrovigliano attorno a improvvisi passaggi a quattro quarti, dettando gli istanti in cui fanno comparsa rallentamenti (per modo di dire) e repentine riprese delle più assurde velocità (quasi) mai sentite nel death metal.

Perciò, impossibile fare paragoni: i The Furor sono a sé, non somigliano a nessun altro ensemble. Forse ai Pestifer, altra inumana realtà odierna che vive oltre la frontiera della salubrità cerebrale. Certo, non ci sono particolari invenzioni, in “Cavalries of the Occult”, ma è tutto così estremizzato, lì dentro, che la normalità diventa eccezione. Anche i guitar-solo, per dire, che non hanno niente di che, si trasformano in lame arroventate piantate a tutta forza nei fianchi. Un delirio. Culminante nella suite finale, ‘Totaliterror’, il cui raggelante incipit d’organo indica che la morte da sfinimento è vicina. Solo un attimo di pausa, poi lo sfascio universale prende forma in una song convulsa, asfissiante, invasata e febbricitante.

Pazzeschi.

Daniele “dani66” D’Adamo

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