Recensione: Crossbones

Di Stefano Ricetti - 20 Ottobre 2016 - 12:30
Crossbones
Band: Crossbones
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2016
Nazione:
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76

L’omonimo dei Crossbones, al momento, rimane l’unica testimonianza ufficiale della band dalle tibie incrociate facente riferimento a Dario Mollo (The Cage, Voodoo Hill, Headless Cross), chitarrista ligure di lungo corso ma anche produttore affermato che negli anni ha avuto il privilegio e il merito di lavorare fianco a fianco con living legend del calibro di Glenn Hughes e Graham Bonnet, poi Tony Martin, Tony Franklin e Don Airey, artista coinvolto per la prima volta proprio all’interno di “Crossbones” la cui entrata lo stesso Mollo, nell’intervista realizzata dal sottoscritto nel 2009 su questi stessi schermi (Qui il link) ricorda così:       

 

1989, esce “Crossbones” con Don Airey (Rainbow e Ozzy Osbourne) alle tastiere. E’ il primo album del Metallo Italiano con un ospite straniero di quel peso all’interno. Come è nata la collaborazione fra te e Don?

Dario Mollo – “Mentre eravamo in studio dissi al produttore che per delle buone tastiere avrei voluto Don, il produttore mi disse che era suo amico e due giorni dopo mi trovavo, ancora incredulo, all’aeroporto di Milano ad attendere lo stesso Airey!”.

 

 

Crossbones”, grazie all’opera di recupero del patrimonio musicale tricolore in atto presso l’etichetta Jolly Roger Records gode di una seconda possibilità a distanza di ventisette anni, uscendo in Cd accompagnato da un libretto di otto pagine contenente foto del gruppo e tutti i testi dei vari brani. A differenza di Heavy Metal Eruption, all’interno del quale è stato operato un notevole lavoro certosino sui suoni, il disco oggetto della recensione non ha “subìto” alcun trattamento particolare. Questo perché come master è stata utilizzata una delle rarissime copie uscite in Cd all’epoca – la parte consistente della tiratura, ovviamente, vide la luce in vinile a 33 giri – che già godeva di un’ottima resa sonora, atta a valorizzare al meglio la forza penetrante di dieci schegge di Hard Rock di alto lignaggio, figlie della grande lezione del decennio precedente.      

Per poter respirare a pieni polmoni l’aria che tirava lungo il crepuscolo degli anni Ottanta alle nostre latitudini, qui di seguito due recensioni di “Crossbones”, tratte rispettivamente dalle riviste cartacee Metal Shock numero 45 del maggio 1989 e da H/M numero 64.

 

Metal Shock  

Forse i lettori più giovani non sanno che i liguri Crossbones, come i Vanexa nella stessa regione, sono stati fra i primi gruppi italiani ad illustrarsi tramite lo circolazione underground dei demo. Alla fine dell’82 già si segnalavano soprattutto per le doti dell’ottimo chitarrista Dario Mollo, che ha difeso fino ad oggi la sigla Crossbones dalle intemperie della line-up. Due anni più tardi la formazione si impegnava contrattualmente con la Dischi Noi di Sanremo, ma mentre una quantità di italiche band approdava al debutto discografico. I Crossbones erano dati per dispersi… Vista dall’esterno poteva sembrare una delle tipiche situazioni “senza futuro” del metal italiano, invece una proficua rete di collegamenti era nel frattempo instaurata: la label ha organizzato per loro (insieme a Fil di Ferro, Touch of Devil e Black Swan) la memorabile serata all’Hammersmith ,ed oggi i Crossbones esordiscono a 33 giri con le garanzie di professionalità che la maggior parte dei gruppi nazionali ha solo sognato. L’aspetto musicale è curatissimo, con la supervisione dell’esperto producer inglese Kit Woolven e la collaborazione del “tastierista delle star” Don Airey (bastano Blackmore, Ozzy, Gary Moore come referenze?). Quello dei Crossbones è un metal elegante, ma più vicino al retaggio classico europeo, all’eroico istrionismo alla Blackmore, piuttosto che alla nuova tradizione “class” americana. Solo l’iniziale “Fallen Angel” smentisce questa considerazione, evidenziando l’inappuntabile lavoro di studio che non subirà flessioni lungo l’intero arco dell’LP: la virile, melodica voce di Giorgio Veronesi conduce un moderno hard rock dall’inclinazione positivamente commerciale.

“Iron in the Soul”, con lo sua andatura galoppante, si avvicina invece all’heavy classico, seppur attualizzato nel taglio delle sonorità, e “Cry from the Heart” emula i Virgin Steele di David DeFeis, particolarmente nelle vibranti armonie vocali e nell’interludio pianistico di Don Airey. I Crossbones sanno comunque alternare epici episodi ad altri dall’impatto più diretto, come la dinamica “Rock’n’Roll”; personalmente ritengo che il loro più netto carattere distintivo risieda nell’evocazione di immagini mitologiche, dove risalta il gusto per l’arrangiamento elaborato, come in “Promised Land’, non distante dagli Iron Maiden di “Stranger in a Strange Land” e nell’impressione finale di ”Fire”, dove la chitarra di Dario Mollo cita prima l’Alex Lifeson di “By Tor and the Snow Dog”, poi si scatena nell’assolo più spettacolare, di assoluto livello internazionale.

Sinceramente non mi aspettavo un talento di questa levatura (ascoltate anche la vivace rilettura di ‘Winter”, dalle quattro stagioni di Vivaldi) a coronamento di un’eccellente performance collettiva, dove lo stesso Veronesi, almeno in “Fire”, si permette di riecheggiare nientemeno che Geoff Tate! 

A livello esecutivo, i Crossbones possono davvero reggere illustri paragoni. (Beppe Riva)

 

H/M  

Mi ricordavo i Crossbones confusi nelle ambizioni, un po’ megalomani, di una compilation, album più video, che qualche anno fa aveva promesso sconquassi ovviamente non avvenuti.

Dopo quella falsa partenza la band, pur con qualche modifica nella formazione, ha comunque continuato per la sua strada, partecipando all’operazione di “Italian Rock Invasion”, ma non cambiando di troppo quella che era la sua impostazione iniziale. Infatti sin dagli esordi i Crossbones non hanno mai taciuto il loro interesse verso l’heavy più classico, più vicino agli insegnamenti di maestri come i Rainbow e questo “Crossbones” risulta essere effettivamente un ottimo esempio in questo filone.

Prodotto da Kit Woolven, un nome ben noto per il suo lavoro con Thin Lizzy, Vow Wow e Magnum, l’album gode pure della partecipazione, in molti brani, del mago delle tastiere Don Airey, che con la band ha pure suonato all’Open Air Festival della scorsa estate. Tale inserimento, però, non appare come una mossa puramente promozionale, infatti Airey, grazie al suo background, è probabilmente l’elemento più adatto a sottolineare le idee musicali del quartetto e in “Cry From The Heart” ha pure l’occasione di far ricordare la leggendaria atmosfera creata, insieme a Ozzy Osbourne, in “Revelation (Mother Earth)”. Indubbiamente alcuni riferimenti, ascoltando questo Lp, sono d’obbligo, ma i Crossbones riescono a rimanere originali senza contare poi che con le attuali tendenze, l’album va, in un certo senso, controcorrente. Cosi i Rainbow, e la cosa non guasta affatto, sono prepotentemente in evidenza in “The Promised Land” mentre l’opener “Fallen Angel” ricrea un ottimo clima tra Uriah Heep e Tygers of pan Tang. Più dediti al ritmo sostenuto, invece, sono episodi quei “Iron In The Soul” o “Bad Dreams” e altri punti notevoli dell’Lp risiedono in “Rock’n’Roll”, scritto insieme a Kit Woolven e nel conclusivo “Fire”, dove il chitarrista Dario Mollo si scatena in un lungo assolo incandescente. Meno convincente, invece, è “Winter”, un arrangiamento di una parte delle “Quattro stagioni” di Vivaldi che, a dire il vero, appare una esercitazione un po’ troppo calligrafica. A parte questo, comunque, tutto procede bene e pure la voce dell’ex Black Swan Giorgio Veronesi, anche se talvolta un tantino troppo enfatica, contribuisce alla riuscita di un Lp sicuramente particolare nell’attuale panorama. (Mario Giugni)

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti  

 

 

crossbones 3

Crossbones, 1989

 

 

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