Recensione: Dark Skies Over Babylon

Di Stefano Burini - 24 Marzo 2013 - 3:40
Dark Skies Over Babylon
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Anno: 2013
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80

La prima prima volta che ebbi l’occasione di vedere il video – trailer di “Dark Skies Over Babylon”, il primo album dei Code Of Silence, ricordo di essere stato favorevolmente colpito dall’apparente grande abilità del quintetto di creare un heavy/power fiero e nel contempo tirato a lucido, in grado di stare perfettamente in equilibrio tra melodia, epicità e carica heavy. La buona notizia è che l’ascolto approfondito dell’intero album ha, non solo confermato, ma addirittura superato la bontà delle mie prime impressioni. Ma andiamo con ordine.

La band, nata da un idea del bassista James Murray nel 2010, può vantare tra le proprie fila la presenza di un vocalist d’eccezione come Gus Monsanto, già visto all’opera con Revolution Renaissaince, Adagio e Lord Of Mushrooms, oltre che di Alessandro Del Vecchio alla consolle, già tastierista di Edge Of Forever ed Eden’s Curse. Ad ogni modo, pur in assenza di nomi di grido, anche il resto della formazione si fa decisamente valere. Ben Randall dei Power Quest dimostra grande abilità tecnica e notevole ispirazione sia per quanto riguarda il riffing che la fase solista, Scott McLean con il prezioso (eppur mai invandete) apporto delle sue tastiere dona ai passaggi più rilassati una vena tendente all’AOR e pure John Clelland alla batteria mette in mostra un lavoro preciso e dinamico ma soprattutto vario.

I suoni sono quanto di meglio si possa immaginare per la musica proposta dai Code Of Silence, potenti ma senza esagerare eppur taglienti come da miglior tradizione class metal e le canzoni, pur non proponendo nulla in grado di stravolgere il mondo dell’hard ‘n’ heavy, riescono nella non facile impresa di sciorinare del melodic metal di impostazione piuttosto classica senza risultare (quasi) mai forzati o stantii. Prova ne siano canzoni come “Omertà”/”Bitter Sweet Paradise”, un’accoppiata intro dai toni oscuri in crescendo drammatico/opener esplosiva a tutta birra davvero di ottima fattura, o l’altrettanto riuscita “Sky Is Falling Down” più orientata allo speed/power e ulteriormente valorizzata sia dall’esuberante guitar work di Randall sia dal sapiente utilizzo di cori.

Proseguendo nell’ascolto, “Tame The Tempest”, “Seventh Seal” e “Witches Of The Heaven” tirano fuori dal cilindro una serie di riff di quelli che faranno battere forte il cuore degli amanti dell’Heavy Metal: pesanti, ritmati ed esaltanti. Il contraltare fornito dalle splendenti vocals del cantante brasiliano, adeguatamente carico e aggressivo nei frangenti più tirati quanto decisamente a proprio agio nei passaggi più soft, è dal canto suo perfetto.

Tornano le sfumature più epiche ed oscure del sound dei COS nella tempestosa “Black Abyss”: Monsanto nelle strofe ricorda il Matos dei tempi migliori, ma la scena in questo caso è tutta per la sezione strumentale, con chitarra, basso e batteria a pienissimo regime e le tastiere a rifinire il tutto con la giusta cura. “Knights Of The Crimson Cross”, rovente, velocissima e fiera e la più cadenzata “Midnight Cathedral (Veritas)”, vagamente Ten-inspired, tengono ben alto il vessillo del melodic heavy metal, tuttavia il vero capolavoro lo incrociamo nel finale, riservato alla splendida semi ballata “Here To Heaven”, a mezza via tra il power metal miscellaneo dei migliori Angra e fortissimi rimandi all’AOR di lusso dei grandissimi Giant.

Se proprio proprio s’ha da trovare il pelo nell’uovo, forse il ritornello della title track appare un po’ faticoso e, pur risultando la canzone complessivamente gradevole (e nonostante uno degli assoli più riusciti), nell’economia dell’album è forse l’unico istante in cui i Code Of Silence danno l’impressione di incespicare un po’. In ogni caso non c’è davvero di che lamentarsi, “Dark Skies Over Babylon” è infatti, come avrete già intuito, un lavoro con le carte assolutamente in regola per guadagnarsi l’apprezzamento di una vastissima fetta dell’uditorio hard rock, heavy e power metal in virtù dell’oggettiva qualità realizzativa (ravvisabile sin dal curatissimo artwork) e, soprattutto, della presenza di canzoni piacevoli, ispirate e longeve. Un’altro piccolo grande esempio targato 2013 di come l’Heavy Metal, al di là delle più funeree previsioni che talvolta abbiamo la sventura di udire, sia ben lungi dall’età di pensionamento.

Stefano Burini

 

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