Recensione: Death Shall Rise

Di Andrea Pinazzi - 5 Novembre 2014 - 19:38
Death Shall Rise
Band: Cancer (UK)
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 1991
Nazione:
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88

Eh già, bei tempi quelli… soprattutto per chi, come me, è un amante di un certo tipo di death metal. Quello più ‘classico’, ancora radicato a certe sonorità care al thrash. Certo, nei primi anni novanta c’erano già gruppi che farcivano le proprie composizioni con elementi più tecnici e progressivi (vedi i Death o ancor prima gli Atheist), ma qualcuno ‘non ci stava’: il caro e buon death metal della prima ora doveva restare vivo. E vivo è rimasto, grazie anche a questo “Death Shall Rise” dei Cancer.

Facciamo la conoscenza dei quattro artefici di questo album. John Walker, voce e chitarra. Ian Buchanan, al basso. Carl Stokes, alla batteria. Dulcis in fundo, udite udite… James Murphy alla chitarra. Sì, proprio lui. James Murphy, colui che considero il ‘Re Mida’ del metal. Ha una capacità fuori dal comune: trasformare in oro tutto ciò che tocca, musicalmente parlando.

Detto questo, possiamo avventurarci nell’ascolto del disco. “Hung, Drawn & Quartered” (per la serie: ottimo modo per attirare l’attenzione! Consiglio di approfondire questa che era a tutti gli effetti una pena capitale dell’Inghilterra medioevale. Astenersi facilmente impressionabili!) ci accoglie a braccia aperte e non possiamo non notare immediatamente come, seppur si tratti di una band proveniente dal Regno Unito, le sonorità siano dannatamente ‘made in USA’. È bene ricordare che il disco in questione è stato pubblicato nel 1991: solo un anno prima, in Florida, vedeva la luce “Cause Of Death” degli Obituary. Un disco che ogni amante di questo genere dovrebbe conoscere a memoria. Chi è che ci suonava la chitarra? Già, proprio lui… James Murphy. Insomma, un nome una garanzia.

Tornando a parlare del disco, l’opener è sicuramente riuscita: quel classico mix di doppia cassa e ritmo martellante, unito ad un rifferama ora sostenuto ora più ragionato, con una voce che possiamo definire ‘growl embrionale’, ci accompagnerà per tutta la durata del platter. Con la seconda canzone, “Tasteless Incest”, ci troviamo di fronte al secondo highlight dell’album. Un riff d’apertura molto ‘thrash’ ci traghetta verso un riff death che più death non si può: i Cancer spingono definitivamente sull’acceleratore, con un blast-beats che sostiene un cantato furioso. Ecco però che la violenza viene interrotta da una sezione ritmica semplicemente granitica: un rallentamento pesante come un macigno, per la gioia degli headbangers più incalliti. Da segnalare un pregevolissimo assolo che riesce perfettamente a trasmettere tutta l’angoscia e la follia raccontate nel testo di questa bellissima traccia.

“Burning Casket” non fa che confermare quanto detto in precedenza, così come la title-track “Death Shall Rise”. Le variazioni sul tema sono pochissime, quasi nulle. L’alternarsi di parti veloci e movimentate a sezioni più lente e cadenzate è una costante presente in tutto l’album. Si tratta di un disco decisamente ‘quadrato’, dove tutte le canzoni si assomigliano (ma attenzione, non subentrerà mai la noia o la ripetitività: piuttosto, la definirei ‘coerenza’) e condividono i classici stilemi death metal.

“Back From The Dead” è probabilmente la canzone che più di tutte richiama le sonorità di “Cause Of Death”, citato precedentemente. Non voglio vederlo come un plagio ma come un tributo verso un gruppo che va considerato obbligatoriamente un ‘precursore’. La presenza di Murphy (Obituary nel 1990, Cancer nel 1991) è sicuramente un altro punto di contatto fra le due band: il suo marchio di fabbrica è subito riconoscibile.

Nulla di nuovo da segnalare con la successiva “Gruesome Tasks”, mentre “Corpse Fire” è una delle canzoni più dirette del lotto, con i suoi soli due minuti e mezzo di durata. Il classico ‘pugno nello stomaco’: cercavate un pezzo che non concedesse un attimo di tregua? Eccovi serviti! Spetta ad “Internal Decay” chiudere l’avventura e lo fa nel più classico stile Cancer. Ora una doppia cassa che vola sciolta, ora un blast-beats che sostiene l’infernale voce di Walker, ora una tregua cadenzata ma illusoria: la ripartenza al fulmicotone è proprio lì dietro l’angolo e l’ennesimo magnifico assolo di Murphy ci conduce alla fine di questo “Death Shall Rise”.

Punti di forza? Tanti, davvero tanti. La compattezza, la qualità compositiva (grazie soprattutto al genio di Murphy), la forza di assalire l’ascoltatore senza sosta. Di punti deboli invece non ce ne sono, o perlomeno, non particolarmente significativi. L’accostamento con altri gruppi contemporanei è forte, ma mai colpevole di ‘scopiazzatura’. Il songwriting, seppur perfetto per l’obiettivo dell’album, non trova il suo punto di forza nella varietà. Ma la qualità c’è ed è evidente. E tanto basta: innovazione e sperimentazione non sono (e non vogliono essere) nelle corde dei Cancer, che pubblicano questo album come a voler dire «ehi voi, signori di Tampa, sappiate che da oggi ci siamo anche noi!».

In definitiva, con questo secondo album i Cancer hanno fatto centro. Dedicato agli ‘aficionados’ del death old school e a chi magari non ha mai messo il naso fuori dagli USA (malissimo: Benediction, Bolt Thrower e Carcass sono lì che vi aspettano!). Per tutti gli altri: ascolto caldamente consigliato.

Com’era il famoso detto? «Essere un pezzo da novanta… ». Questo “Death Shall Rise” non ci arriva, ma ci va dannatamente vicino.

Andrea “Blitz” Pinazzi

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