Recensione: Dressage

Di Andrea Bacigalupo - 4 Giugno 2017 - 9:00
Dressage
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2017
Nazione:
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77

La nostrana Punishment 18 Records incocca un’altra freccia al suo arco, tira e ……… colpisce il bersaglio.

Le potenzialità dei tedeschi Running Death erano già state evidenziate nel più che discreto ‘Overdrive’, primo album  del 2015: un Thrash orientato maggiormente verso le melodie Bay-Area che non verso lo stile più diretto evolutosi nella loro nazione, con un songwriting versatile dal quale scaturisce la voglia di uscire dagli schemi.

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Trascorsi poco più di due anni e dopo qualche assestamento nella propria formazione, i Running Death confermano le proprie intenzioni con ‘Dressage’, il loro nuovo Full-Length pubblicato il 26/05/2017.

Il sound dimostra tutto l’impegno del combo nel voler crescere, con una buona evoluzione stilistica che gli fa mettere da parte un po’ di cattiveria per far posto all’irruenza di derivazione Motorhead unita alla sfacciataggine balorda di Ozzy Osbourne; l’amalgama di questo con melodie dinamiche che, pur richiamando le origini del Thrash, sono fresche e moderne, è equivalente ad una serie di pugni nello stomaco a rapida sequenza.

Colpisce molto la variabilità delle tracce e la loro articolazione, con cambi di tempo repentini ben collegati da break energici che mantengono vivo l’interesse di chi ascolta. Più di un brano è strutturato per contenerne, al suo interno, praticamente un altro che, esplodendo, prende violentemente un’altra direzione per poi addentrarsi nuovamente nelle trame principali, conformando così un piacevole tessuto armonico.

Ben studiate sono le sequenze strofa – refrain; nella maggior parte di esse la prima, vigorosa e pestata, conduce alla seconda che viene  lanciata a ‘briglia sciolta’ per annullare ogni inibizione, per la gioia di chi, ai concerti, piace cantare a squarciagola.

La voce è migliorata rispetto alla prestazione su ‘Overdrive’: ha una buona capacità interpretativa e riesce a non eccedere dai propri limiti evitando storture o svalutazioni dell’opera, anche se necessita ancora un po’ di crescita per il prossimo futuro (ma i buoni presupposti per questo ci sono tutti). Per corroborarla nei momenti più enfatici ad essa sono stati sapientemente affiancati cori, doppie voci e controcanti che escono un po’ da tutte le parti cercando il contatto con l’ascoltatore, dando quel tocco di atmosfera ‘live’ definendo che è il palco l’elemento dove il combo preferisce muoversi.

Sorprendente è il lavoro della sezione ritmica, con una batteria devastante, che fa chiedere se, dietro le pelli, c’è seduto più di un musicista, ed un basso dirompente e dinamico. Più che buone sono le sezioni dove tali strumenti ‘evadono’ dal loro lavoro di accompagnamento per diventare protagonisti con momenti solisti brevi ma intensi, perfettamente calati nel pezzo.

Running Death band

Il bombardamento a tappeto comincia con ‘Courageous Minds’, con la quale i Running Death dettano subito le regole del gioco: non si fanno prigionieri. La velocità alternata a tempi più pestati ed il gioco delle chitarre semplicemente inchiodano.

La Title-Track, ‘Dressage’, si muove su tempi più intensi, con strofe irriverenti ed un gioco solista lungo e prezioso.

I pezzi successivi si mantengono sullo stesso livello, con variabili vivaci dove è l’energia esplosiva l’elemento chiave. Molti sono gli episodi che sorprendono: la melodia che si contrappone ad una velocità schizoide ed il break di batteria che porta all’assolo in ‘Delusive Silence’, il phatos della chitarra solista accompagnata da un arpeggio in sottofondo con cui inizia ‘Heroes Of The Hour’ e le strofe cupe che ci accompagnano alla sua conclusione, le Twin Guitars ed il Thrash n’ Roll insolente di ‘Duty of Beauty’, fino a ‘Numbers’, a parere dello scrivente la traccia più rappresentativa e completa che, con la sua struttura complessa ma al tempo stesso lineare, mette in luce tutte le qualità tecniche e compositive della band, con un riff intermedio che ci riporta alle oscurità sabbatthiane di ‘Children of the Grave’ ed un assolo senza accompagnamento di alta levatura.

Beneath the Surface’ si muove su ritmi marziali per poi raccontare una struggente storia, la strumentale ‘Anthem of Madness’ è una dinamica cavalcata mentre ‘Safety Second’ spiazza tutti deragliando dai binari: un brano che inizia lento e nostalgico per poi elevarsi e prendere potenza. Chiude più che degnamente la massiccia e pirotecnica ‘Refuse to Kill’.

Con ‘Dressage’ i Running Death non solo battono e percuotono senza sosta secondo la migliore tradizione Thrash, ma riescono ad impastare il genere sia con elementi più moderni sia con altri più legati all’Heavy Metal classico, senza comunque causare quel senso di contaminazione che contraddistingue tante produzioni degli anni ’90. Un buon lavoro che sa di voglia di divertirsi e di far divertire, equilibrato nell’essere variabile, mai ridondante e senza notevoli cedimenti se non qualche imperfezione qua e là che comunque ci può stare, tenendo conto che il combo è solo al secondo lavoro discografico sulla lunga distanza.

La freccia scagliata da Punishment 18 non solo ha centrato al bersaglio, ma è arrivata vicinissima al centro. Grandi Running Death!!!!!!

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