Recensione: Eidoline: The Arrakeen Code

Di Gabriele Pintaudi - 7 Luglio 2010 - 0:00
Eidoline: The Arrakeen Code
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Anno: 2008
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76

I Mechanical Poet cambiano nuovamente faccia e questa volta si presenta più dura, sintetica e futuristica che mai. L’ennesimo cambio di formazione porta al microfono il terzo cantante per il gruppo, poco esperto ma molto capace e con un gran talento, Vladimir Nasonoff. Dotato di un timbro potente e di una impostazione quasi nu-metal, sembra essere perfetto per questo nuovo stile dei Mechanical Poet, totalmente differente dai dischi precedenti.
Lo stesso gruppo che ha mosso i suoi primi passi con le atmosfere fiabesche di Woodland Prattlers e si è orientato verso un sound più easy e cartoonesco con Creepy Tales For Freaky Children, arriva ora a suonare con questo Eidoline una sorta di thrash progressive.

La grafica della copertina è come al solito realizzata dall’unico membro rimasto del vecchio gruppo, Lex Plotnikoff, e anche in questo caso risulta perfettamente azzeccata, con meno particolari rispetto al passato, presentando una rivisitazione della saga di Dune, simbolo di un sound più diretto e potente.
Si parte con Virus e subito ci si ritrova in un mondo fantascientifico e futuristico, aggressivo e oscuro, totalmente differente dalle atmosfere fiabesche dei dischi passati. Appaiono linee di chitarra più dure e cupe, in cui la voce di Vladimir risulta azzeccatissima, un po’ sporca, ma parecchio efficace. L’unica caratteristica che unisce questo lavoro al famoso Woodland Prattlers è, in un certo senso, un ritorno ad una vena metal più marcata rispetto al precedente Creepy Tales ma, se vogliamo, anche meno originale.
Sebbene l’inizio dell’album sia buono ma non faccia gridare al miracolo, il brano successivo, Fantasies, si presenta bene mostrando subito il suo lato più aggressivo, per aprirsi successivamente a un ritornello melodico riuscito alla perfezione. Questa canzone ci riporta lievemente indietro nel tempo, grazie anche alle atmosfere orchestrali che le donano una sufficiente teatralità, un po’ come fece ai tempi l’ottima Bogie In a Coal Hole.
Un altro episodio ben riuscito è Crawlers, e qui si risentono i Mechanical Poet che conosciamo, soprattutto nell’introduzione orchestrale ancora una volta futuristica; nonostante si tratti di una buona traccia, non presenta picchi particolari, e si mantiene sempre su buoni livelli qualitativi, sebbene manchi l’imprevedibilità del passato che, per alcuni ascoltatori può essere un un difetto. Questo allontanamento dal loro modo di intendere il progressive ha tendenzialmente appiattito il modo di far musica dei Mechanical Poet, anche se questo Eidoline risulta un netto passo avanti rispetto al deludente Creepy tales.
Rain non fa eccezione: si tratta di una buona e robusta ballad, ma manca la magia di una volta e il tutto muore nella struttura del brano e nel suo ritornello troppo scontato. Fremen è una traccia breve e potente, dove il talentuoso Vladimir si cimenta anche nel rap, cantanto con passione e decisione. Frontiline è la migliore del disco insieme a Fantasies, God e Sands, perché racchiude un po’ di passato e un po’ di presente, mostra un’architettura più complessa, ma non per questo perde in energia, risultando diretta e coinvolgente quanto basta. Un’altra caratteristica di questo Eidoline è la quasi totale mancanza di assoli che, se da un lato tende a rendere i pezzi ancora meno articolati, dall’altro dona maggiore compattezza ai brani.
La successiva Answer regala una ventata di aria fresca all’album con una partitura tranquilla, ad eccezione del buon ritornello che, anche in questo caso, non fa gridare al miracolo per originalità, ma risulta comunque convincente. Ghouls è la canzone più cattiva del full length e, insieme a Stormchild, è tra quelle più aggressive mai composte dalla band russa. Breve ma abbastanza potente da far tremare le pareti, risente però di una totale carenza di melodia, sebbene questa sia abilmente nascosta da un buon intreccio vocale nella sua parte centrale. La seguente God mostra ancora connessioni ed echi dei Mechanical Poet che furono, dove Vladimir modifica lievemente il suo timbro vocale e, nonostante la carenza di parti strumentali, risultano buone e variegate le ritmiche e i vari passaggi.
I ritmi rallentano con Cathedral, piacevole ma fin troppo lineare e prevedibile; l’inserimento di una traccia strumentale come Machines risulta una mossa azzeccata vista la totale assenza di parti strumentali. I Mechanical Poet non ne hanno mai avuto bisogno a dire la verità, però in questo caso hanno donato più respiro a un disco eccessivamente omogeneo.
Buona anche Witches, ancora una volta supportata da un’ottima prova del cantante, sebbene il ritornello non convinca del tutto. Sands è una canzone con una buona dose di atmosfera e una convincente melodia, e anche in questo caso risulta una scelta azzeccata. Chiude la suggestiva Stars, e qui si fa ritorno al glorioso passato, sebbene manchino per poco gli stessi livelli qualitativi.

In definitiva Eidoline  è un buon disco, che conferma i Mechanical Poet come gruppo estremamente camaleontico e dalle mille facce, che identifica perfettamente la storia raccontata riuscendo a tirar fuori dalla musica quello che vuole, uscendo fuori dai generi e dai cliché. Tuttavia, se da un lato il complesso si è ripreso dopo la delusione di Creepy tales, dall’altro ha messo da parte completamente la cosa che più lo rendeva unico e originale, vale a dire la magia.

Gabriele “Xan” Pintaudi

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Tracklist:

1.    Virus
2.    Fantasies
3.    Crawlers
4.    Rain
5.    Fremen
6.    Frontline
7.    Answers
8.    Ghouls
9.    God
10.    Cathedral
11.    Machines
12.    Witches
13.    Sands
14.    Stars

 

Lineup:

Vladimir Nasonoff: voce
Lex Plotnikoff: chitarre, tastiere
Vladimir Ermakoff: batteria

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