Recensione: Einsamer Winterweg

Di Daniele D'Adamo - 16 Febbraio 2010 - 0:00
Einsamer Winterweg
Band: Wedard
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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78

Depressive black metal.
La leggenda vuole che la nascita di questo sottogenere coincida con l’uscita di “Det Som Engang Var” di Burzum (1993), ove il norvegese fonde gli stilemi del black metal con l’ambient.
Questa interpretazione mi trova sostanzialmente d’accordo e quindi può prendersi come origine di un genere che, apparentemente addormentatosi nella seconda metà degli anni ’90, è rifiorito inaspettatamente nel nuovo millennio; soprattutto negli ultimi cinque, sei anni.
Se questo rifiorire è avvenuto in maniera diffusa in tutto il globo, le lande statunitensi e quelle nordeuropee sono quelle che, a mio parere, hanno generato gli artisti più prolifici e geniali. Più precisamente singoli artisti, giacché una delle caratteristiche peculiari del genere consiste nel fatto che le band siano composte da un solo musicista.
I nomi più noti: Leviathan e Xasthur (USA), Hypothermia e Trist (Cze), Nocturnal Depression (Fra), Inmitten des Waldes (Bra), Nycht (Swi), Nyktalgia, Sterbend, Paysage D’Hiver e Coldword (Ger).
Proprio in Germania nel 2002 nasce dalla mente del polistrumentista Andreas Schnell il progetto Wedard che – sino a oggi – ha immesso sul mercato underground tredici produzioni, fra demo, split, EP e full-length.
Tre platter per la precisione fra i quali il secondo, “Einsamer Winterweg” (nella versione Third Re-Release del 2007 con l’etichetta Regimental Records), è l’oggetto di questa recensione.
Presumibilmente la commistione fra il clima grigio e rigido, il paesaggio claustrofobico delle foreste e la vena romantica tipica del popolo tedesco (Sturm und Drang prima e Romantik poi) fa si che siano proprio gli artisti teutonici ad avvicinarsi di più all’interpretazione ideale del depressive.        
È importante anche evidenziare che questo termine non è riferito all’omonima patologia psichiatrica, ma a una visione artistica del Mondo schermata da uno stato d’animo caratterizzato da un umore costantemente dimesso e incline alla malinconia.
Terminata questa breve disanima, necessaria per affrontare questo particolarissimo stile musicale nella maniera credo più corretta possibile, ci si può focalizzare su “Einsamer Winterweg”; cantato interamente in lingua madre.

L’album si apre con la title-track: un dolce arpeggio di chitarra accompagnato da una voce narrante filtrata e distorta, trasporta chi ascolta in un immaginario paesaggio grigio, immerso nella bruma di un gelido mattino. Poi, il ritmo languido e la malinconica armonia fungono da veicolo di trasporto per un ipnotico viaggio nelle più tetre paludi della nostra mente. Il canto straziante di Schnell svela tutta la sua sofferenza interiore e il suo tormento: “Einsamer Winterweg”, per questa potenza evocativa, è un capolavoro nel suo genere.
Il sound è evidentemente rozzo e di bassa qualità. Sottolineo evidentemente perché un suono così è l’ideale per rendere correttamente l’idea di un animo aridamente triste, senza speranza per un futuro migliore.
Bisogna anche rilevare che per fortuna non si scende al livello di alcune produzioni del genere, troppo confuse per evincerne addirittura la strumentazione.
La pioggia è la fedele compagna in “Winterdepression”, che col suo mid-tempo (Schell, anche qui in maniera piuttosto desueta, si avvale della collaborazione di un batterista, evitando di ricorrere alla drum-machine) e le raggelanti linee vocali riescono a materializzare il vapore prodotto dal calore del fiato quando si è in ambienti freddi e umidi.  
“Winde der Verzweiflung” si snoda attorno alla melodia portante, sempre dolce e malinconica, arricchita da effetti e sottofondi ambient che rendono concreto, oltre al disagio psicologico, anche una soffusa prostrazione fisica; come se “andare avanti” fosse faticoso sino all’inverosimile.
Il groove inoltre, riecheggia di atavici echi che rimandano alla Natura intesa come entità spirituale, oscura e tenebrosa; matrigna.
A questo punto non vi annoio con la descrizione di “Auferstanden aus Ruinen” e “Leidenschaft” (nonché di “Wandern am Fluss der Zeit”): spero, infatti, che ormai abbiate ben compreso cosa significhi il depressive black metal così come visto da Schnell.

Difficile valutare “Einsamer Winterweg” a livello assoluto.
Per chi, come il sottoscritto, ama immergersi in queste atmosfere segnate da un’acuta sofferenza interiore, l’album è un magnifico tramite per potervi precipitare.
Wedard è un progetto dall’indubbia propensione verso l’arte più pura, piuttosto che sulla tecnica e la possibilità di essere accattivante ai più.
Alcuni passaggi maggiormente melodici possono essere assimilati da chi non è abituato a queste sonorità, tuttavia il target non può che essere specifico e limitato.
Beh … alla fine preferisco favorire l’aspetto artistico e giudicare “Einsamer Winterweg” per il suo conseguente, intrinseco valore sentimentale.

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Track-list:
1. Einsamer Winterweg 8:46
2. Winterdepression 8:20
3. Winde der Verzweiflung 9:30
4. Auferstanden aus Ruinen 9:00
5. Leidenschaft 12:20
6. Wandern am Fluss der Zeit (hidden bonus Track) 10:22

Line-up:
Sternenfrost (Andreas Schnell) – Everything
Karmaggedon – Drums
 

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