Recensione: El Espiritu Del Vino

Di Stefano Burini - 15 Gennaio 2012 - 0:00
El Espiritu Del Vino
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Anno: 1993
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85

La scena rock/metal iberica (con cantato il più delle volte rigorosamente in lingua madre) è sempre stata molto florida, sin dai primi anni 80, grazie a gruppi come i classic rocker Medina Azahara e gli heavy metaller Baron Rojo, passando per band dalle tendenze più “hair” come i Sangre Azul, via via fino a tempi più recenti, con nomi di spicco come Dark Moor, Tierra Santa, Amarok e Mago de Oz.

Nell’ambito di un panorama così vario e nutrito, gli Héroes del Silencio”, nati a Saragozza nel 1984 per mano del chitarrista Juan Valdivia e dell’allora bassista Enrique Bunbury, rappresentarono un caso, se vogliamo, a sé stante per via delle caratteristiche molto eterogenee della loro proposta, fortemente influenzata da sonorità latine e gitane che rendevano estremamente personale e riconoscibile un sound che in questo modo non si limitava ad essere del semplice “hard rock all’inglese cantato in spagnolo”.

In Italia sono spesso stati descritti come i cugini d’oltre Pirenei dei nostrani Litfiba, paragone probabilmente originato dal tipico stile di canto di Enrique Bunbury e dalla sua voce potente e profonda, tanto suadente quanto all’occorrenza carica di rabbia e sentimento, effettivamente non troppo dissimile da quella di Piero Pelù. Tuttavia seppur tale parallelismo non sia affatto campato per aria, è d’obbligo sottolineare che la carica hard rock presente nelle canzoni degli Heroes è mediamente maggiore di quella presente negli LP targati Litfiba, i quali a fianco di bordate non indifferenti (sia in senso strumentale che di liriche) quali “Maudit” o “El Diablo”, si lasciavano suggestionare in più di un’occasione dalla new wave, dalla psichedelia e addirittura dal reggae.

La storia che ci viene tramandata riguardo al passaggio dietro al microfono di Bunbury narra di un momento di pausa in una delle tante sessioni in sala prove in cui Enrique prese il microfono e intonò, scherzosamente, un non meglio specificato brano di David Bowie, soprendendo Valdivia per la qualità dell’interpretazione e spingendolo a conferirgli i galloni di cantante. Da lì in poi, con l’entrata in formazione di Pablo Andreu e Joaquin Cardiel, rispettivamente basso e batteria, e l’incontro con Gustavo Montesano, affermato musicista argentino che mise una buona parola per consentire a Valdivia & C. di ottenere un deal con la EMI per l’EP “Héroe de Leyenda”, la strada verso lo status di stelle di prima grandezza fu tutta in discesa, come testimoniano i 6 milioni di dischi venduti in oltre 37 paesi e i coloriti racconti di amici spagnoli orgogliosi di aver assistito a concerti leggendari in occasione della reunion del 2007.

Nel 1988 gli Héoes del Silencio debuttarono sulla lunga distanza con “El Mar No Cesa”, sempre prodotto da Gustavo Montesano, album che ottenne un buon successo e li lanciò come gruppo di punta sulla scena nazionale, permettendo loro di ingaggiare come produttore l’ex Roxy Music Phil Manzanera per i successivi “Senderos de Traiciòn” ed “El Espiritu del Vino”. Addirittura, per “Avalancha”, nel 1995, si avvalsero delle prestazioni del Re Mida del rock, nientemeno che Bob Ezrin (famoso per le innumerevoli collaborazioni con artisti del calibro di Alice Cooper, Lou Reed, Pink Floyd e Kiss), il cui ruolo fu determinante nello spostare la lancetta del contagiri verso sonorità più dure e definitivamente orientate all’hard ‘n’ heavy, forse nel tentativo di fare breccia anche nei mercati d’oltreoceano, seppur mantenendo la fondamentale caratteristica del cantato in spagnolo.

E poi, nel 1996, proprio all’apice del successo di pubblico e critica, la doccia fredda: gli Héroes decisero di ritrarsi dalle scene con grande stupore e sgomento da parte di tutti i fan e nel corso degli anni successivi ci fu spazio, oltre che per gli immancabili progetti solisti, solo per una raccolta di B-sides dal titolo “Rarezas” (1998), varie antologie e DVD celebrativi e per un mini tour di reunion di 10 date nel 2007 tra Sudamerica, Stati Uniti e Spagna.

Uscito nel 1993 a seguito del pur ragguardevole “Senderos de Traiciòn”, “El Espiritu del Vino” è l’album che, insieme con l’epitaffico “Avalancha”, chi vi scrive reputa l’apice della discografia degli Eroi di Saragozza. La tracklist viaggia in maniera piuttosto omogenea su livelli qualitativi elevati, le tematiche vertono frequentemente su amori vivi o infranti, solitudine, malinconia e un pervasivo senso di sfiducia nel materialismo occidentale. Molto spesso si palesano, inoltre, influenze scaturite tanto da un certo misticismo orientaleggiante molto caro a Bunbury, quanto da suggestioni letterarie legate, per stessa ammissione dei componenti della band, ad autori quali Charles Baudelaire, William Blake e il drammaturgo asturiano Alejandro Casona, autore della opera omonima che ha ispirato “La Sirena Varada”.

L’iniziale “Nuestros Nombres” scopre immediatamente le carte in tavola proponendoci un hard rock curato e piacevole all’ascolto, animato dalla verve strumentale di Valdivia, Andreu e Cardiel e in particolare dai sensuali ululati di Bunbury. “Tesoro” abbassa i ritmi e funge da ponte tra l’irruenza dell’opener e il dinamico decadentismo dell’ottima “Los Placeres de la Pobreza”, da segnalare per l’elegante assolo di marca ‘Zeppelin meets Maiden’ ad opera di Juan Valdivia, ma è con “La Herida”, prima vera ballata presente su “El Espiritu del Vino”, le sue armoniche, le chitarre acustiche dalle reminescenze gitane e le vocals evocative e cariche di mestizia, che gli Héroes dimostrano di saperci fare su tutti i fronti.

“La Sirena Varada”, dalle liriche metaforicamente pessimistiche, lambisce territori affini al pop per una delle composizioni più atipiche in scaletta, mentre con la lunga e articolata “La Apariencia No Es Sincera”, sicuramente a pari merito con “Nuestros Nombres”, “Flor De Loto” e “La Herida”, la top song di questo lavoro, si ritorna a colpire con una certa intensità. Le melodie sono particolari e interessanti e ad un incipit tranquillo e rilassato succede, a partire dal minuto 2 e 30 un sostanziale cambio di mood del pezzo con atmosfere ipnotiche, ritmiche incalzanti e vocalizzi sempre più disperati ed intensi.

L’acustica “Z” fa da intro a “Culpable”, l’unico brano che strizza l’occhio, con le keys sintetiche e le melodie zuccherine, all’AOR ottantiano, mentre la successiva “El Camino del Exceso” ha sonorità e un andamento delle strofe di stampo maideniano, carico e scorrevole al punto giusto, che ci trascina con mano ferma alla grandiosa “Flor de Loto”, come anticipato, un altro highlight assoluto. L’esordio a base di voce, avvolgenti linee di basso e spanish guitar è, già di per sé, un piccolo capolavoro, ma è lo sviluppo della canzone a lasciare davvero il segno con l’entrata graduale dei vari strumenti, i cori e l’azzeccato refrain, in un crescendo di grande intensità ricco di suggestioni orientaleggianti.

“El Refugio Interior” si presenta come un intermezzo acustico molto pacato che lancia la volata a “Sangre Hirviendo”, hard rock song tosta e dinamica dalla forte impronta stradaiola, e alla bizzarra (e sottovalutata) “Tumbas De Sal”, caratterizzata dalle atmosfere un po’ decadenti e malinconiche tipiche di certe cowboy song a stelle e strisce di quel periodo, riproposte, tuttavia, con modi e mezzi che rimandano in maniera inequivocabile a paesaggi andalusi e sapori tutti latini, piuttosto che al classico immaginario delle mitiche highways che solcano il deserto nordamericano tra locali di bassa lega e bicchieri di Jack Daniels. E forse, d’altro canto, è stata proprio questa la vera forza degli Heroes, il non cercare di fingere di essere qualcosa che non erano e che non avrebbero mai potuto essere, ma anzi il rielaborare quanto di buono sentito in giro per il mondo in quell’epoca, nell’ottica di creare della musica che suoni indubitabilmente spagnola, eppure sufficientemente “internazionale” da poter incontrare i gusti di un pubblico più vasto.

Marciando verso la chiusura incrociamo “Bendecida 2”, la prima parte di un dittico dedicato, si dice, all’allora fidanzata di Enrique, Benedetta Mazzini, attrice e modella italiana figlia nientemeno che di Mina e del giornalista Virgilio Crocco; in essa il motivo cantato a cappella da tutti gli Heroes introduce la canzone vera e propria, la stupenda semi ballad “Bendecida”, non una semplice canzone d’amore, come forse poteva essere lecito attendersi, bensì un brano ricco di fascinazioni e simbolismi provenienti da paesi esotici e lontani, immagini ricorrenti in tutta la discografia degli spagnoli e parte integrante del loro tessuto sonoro.

Cala, infine, il sipario con la melanconica “La Alacena”, introdotta da archi e pianoforte ad accompagnare l’ormai familiare vocione di Bunbury nell’eseguire una melodia estatica che pone il sigillo su un lavoro molto vario e rappresentativo delle sonorità di una band non certo sconosciuta ma forse ancora non sufficientemente considerata, in rapporto alla qualità della proposta.

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Line Up:

Enrique Bunbury – Voce, armonica, chitarra acustica
Juan Valdivia – Chitarra
Alain Boguslavsky – Chitarra
Joaquin Cardiel – Basso
Pablo Andreu – Batteria

Tracklist:

01. Nuestros Nombres
02. Tesoro
03. Los Placeres de la Pobreza
04. La Herida
05. La Sirena Varada
06. La Apariencia No Es Sincera
07. Z
08. Culpable
09. El Camino del Exceso
10. Flor de Loto
11. El refugio Interior
12. Sangre Hirviendo
13. Tumbas de Sal
14. Bendecida 2
15. Bendecida
16. La Alacena

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