Recensione: Entity

Di Daniele D'Adamo - 14 Giugno 2019 - 0:00
Entity
Band: Nucleus
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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78

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Fantascienza e metal. Un connubio che, sin dai tempi dei primi Agent Steel – metà degli anni ottanta – ha costantemente affascinato parecchie band, impegnate tuttavia nell’inserimento degli alieni più nei testi che nella musica.

I Nucleus, nati nel 2012 a Chicago, invece, con il loro secondogenito, “Entity”, immaginano entità extraterrestri che si insinuano anche nel loro sound.

Sound che fa capo al death metal il quale, partendo da una base fondata sull’ortodossia technical, si evolve in direzioni di forme avanzate ed evolute, nelle quali sono sistemate le componenti di uno stile che, buon per loro, rimanda a caratteristiche di unicità e forte personalità.

Un tentativo sicuramente coraggioso poiché, non essendoci mai stato un incontro ravvicinato del quarto tipo (contatto diretto), perlomeno documentato in maniera inconfutabile, occorre mettersi nei panni di un’ipotetica società straniera rispetto a quelle che pullulano sulla Terra. Il che non è affatto facile, dovendo inventare di sana pianta un qualcosa che rimandi a visioni di pianeti lontani, abitati da esseri avulsi dal concetto di genere umano.

I Nucleus, peraltro, non utilizzano granché aiuti provenienti dall’ambient o da certi campionamenti – a parte l’incipit dell’opener-track, ‘Arrival’ e qualche raro intarsio strumentale.  Inoltre, non stravolgono la forma-canzone del rock, proponendo un growling, quello di Dave Muntean, che non si discosta certamente da quello classico. Così come non si allontana dal technical la complessa, possente e veloce – blast-beats a profusione – sezione ritmica formata da Ryan Reynolds (basso) e Pat O’Hara (batteria).

No, quello che rende speciale la loro proposta è l’incredibile riffing dei due bravissimi chitarristi: lo stesso Muntean e Dan Ozcanli. Autori di ardite soluzioni tecnico-artistiche che, davvero, stavolta, rimandano la mente a qualcosa che non è di questo Mondo. Inventando accordi che scatenano visioni di galassie lontane anni luce, perse nel vuoto cosmico ove albergano, nascoste nelle nebulose, forme di vita necessariamente basate sul carbonio, affinché possano concretizzarsi legami fisici con i terrestri. Prova ne è l’eccezionale main riff di ‘Uplift’ il quale, immediatamente, dà l’idea di un’elaborazione concepita per rendere viva la percezione di un qualcosa lontano anni-luce sia dal modo di pensare delle persone, sia da elaborazioni artistiche messe a giorno dalle medesime. Molto forte, quindi, il concepimento in musica di astrazioni mentali volte a concretizzare la presenza di soggetti avulsi dalle misere vicende della collettività umana.

Uno stile perfettamente centrato sull’argomento, pienamente in tema, che si riconosce con facilità in mezzo a tantissimi altri, il che rende onore all’ardimento dei Nostri, finalmente epigoni di quanti abbiano apportato novità nelle arti.

Questi sono i punti forti di “Entity”. I deboli? Non ce ne sono di evidenti, se non una leggera uniformità fra le varie canzoni. Seppure siano dotate di vita propria e seguano ciascuna un proprio singolo filo conduttore, il loro insieme appare un po’ troppo compatto, scevro, cioè, da song che si discostino in maniera evidente dalle altre. Il che rende difficile l’assimilazione di un’opera che, se affrontata con la dovuta calma e un’abbondante dose di tempo, può regalare, a chi ascolta, un qualcosa di diverso dalla solita zuppa, dal solito ménage.

Ce ne fossero, come i Nucleus

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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