Recensione: Epoch

Di Emanuele Calderone - 25 Febbraio 2011 - 0:00
Epoch
Band: Fen
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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85

Quando, due anni or sono, uscì sul mercato discografico “The Malediction Fields” dei Fen, la critica giornalistica sembrò spaccarsi in due: c’era chi intravedeva delle ottime potenzialità non ancora sfruttate a dovere e chi invece parlava già di capolavoro. L’album effettivamente, pur nella sua innegabile bontà, presentava ancora qualche incertezza e ingenuità, soprattutto per quanto concerneva voce e suoni, che ne minarono la perfetta riuscita.

I Fen (nome derivante da bellissime pianure tipicamente britanniche) hanno però creduto nelle loro capacità e sono tornati, con la consueta classe ed eleganza, ad affacciarsi sul mondo della musica con il nuovo “Epoch”. Parlare di un album del genere, c’è da ammetterlo, mette quasi in soggezione, poiché tante sono le emozioni che scaturiscono dalle note di questo splendido lavoro. Sì perché questo è “Epoch”, un meraviglioso esempio di black metal atmosferico, che mette in chiaro -qualora qualcuno ancora ne dubitasse- le capacità del quartetto albionico.

Affrontando un freddo e distaccato discorso musicale, al fine di rendere più comprensibile a tutti quello a cui si va incontro, siamo al cospetto di un’opera che si muove tra post-rock e black metal, non disdegnando però numerose divagazioni, che vanno dal progressive all’hard-rock dei rimpianti anni ’70 dello scorso secolo.
Le architetture dei brani, pur nella loro complessità, riescono ad essere a loro modo dirette, senza perdersi mai in arzigogoli o abbellimenti forzati. Tutto scorre con grande naturalezza, facilitando così il processo d’assimilazione dello stesso, rendendolo assai più appassionante e gradevole.

Ascoltare questo gioiello significa però essere, innanzitutto, mentalmente predisposti ad accettare un approccio al black delicato, onirico, che trasforma il genere stesso, spogliandolo della sua primordiale ferocia. Ad emergere è infatti un’innata propensione a rievocare splendidi paesaggi, atmosfere intime. Tutto ciò è permeato da una consolatoria malinconia tipica di quel post-rock a cui si faceva riferimento precedentemente, tanto in voga in questi ultimi tempi. Eppure pensare a questo full-length come figlio di una moda è inconcepibile, tanta è la passionalità travolgente, eppure a tratti composta, che ne scaturisce all’ascolto.
Cercare di paragonare tale lavoro a qualche altro già in circolazione non è impresa facile: lontano da l’“estremismo” (le virgolette sono d’obbligo) sonoro che ha caratterizzato gli ultimi Agalloch, così come dalla delicatezza di “Écailles de Lune”, “Epoch” si pone -per certi versi- più vicino ai Drudkh dell’ultima ora, risultando però migliore sotto tutti i punti di vista.

Sembra pertanto quasi impossibile non rimanere ammaliati dalle delicate note di chitarra che ritroviamo nella title-track, posta in apertura, che da subito incorpora tutti quegli elementi elencati sopra. I 6 minuti e 18 secondi sprigionano classe ed eleganza a non finire. Sia le parti acustiche che quelle elettriche presentano un gusto davvero raro da ritrovare altrove. I Fen però non lavorano solo di classe strumentale: “Epoch” è una piccola gemma dotata di un mood quasi notturno, mistico.
Scorrendo la tracklist, i momenti di massima ispirazione non sono pochi: ecco che quindi citare “The Gibbet Elms” e “Carrier of Echoes” diventa doveroso, se non indispensabile. Nella prima si scorgono influenze progressive di elevatissima fattura in forte contrasto con lo scream mai esasperato di The Watcher, con un risultato finale che soddisferà anche i palati più esigenti.
La seconda è invece un vero e proprio inno all’universo del quartetto inglese. Il pezzo si divide tra lunghi momenti strumentali particolarmente suggestivi, che riportano alla mente i paesaggi britannici da cui i ragazzi prendono il nome, e parti più “classiche” di chiara derivazione Agalloch.
Da applausi è poi il lungo stacco centrale che riesce ad accrescere ancora di più l’impatto emotivo di questo capolavoro.
Deliziosa anche “Half-light Eternal”, decisamente più leggera e in certi frangenti anche spensierata, che ha riportato alla mia mente quanto fatto dagli americani Aeon Spoke, e nella quale gli elementi post-rock prendono, più che evidentemente, il sopravvento.

Tutto perfetto dunque? No, purtroppo. Sembra una sorta di anatema, ma anche questa volta quello che manca al platter, per essere considerato un capolavoro vero e proprio, è una produzione all’altezza della situazione. I suoni più di una volta sono tremendamente impastati e non molto chiari, vanificando un poco la prestazione agli strumenti di ciascun membro. In più di un passaggio le chitarre perdono di potenza e definizione e la cassa della batteria ha un volume fin troppo basso per emergere a dovere.

Eccoci quindi giunti alla fine di questo splendido viaggio. Un’ora e dieci primi pregni di nostalgia, visioni oniriche e pura magia che non potranno lasciare impassibile nessuno. I Fen in quest’uscita non si limitano solo a riconfermare quanto di buono già fatto con “The Malediction Field”, ma compiono un significativo passo avanti, riuscendo finalmente a brillare di luce propria e regalandoci quella che sarà una delle migliori sorprese di questo lungo 2011.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Epoch
02- Ghosts of the Flood
03- Of Wilderness and Ruin
04- The Gibbet Elms
05- Carrier of Echoes
06- Half-light Eternal
07- A Warning Solace
08- Ashbringer

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