Recensione: Escape from the Black Iced Forest

Di Stefano Santamaria - 10 Maggio 2017 - 0:00
Escape from the Black Iced Forest
Band: Qaanaaq
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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64

Escape from the Black Iced Forest” è la prima fatica in studio dei nostrani Qaanaaq. Il progetto prende il proprio nome da un villaggio, di pochissimi abitanti, adiacente al polo nord. Forse uno degli ultimi insediamenti umani permanenti in quelle lande fredde e desolate.

 Premesso ciò, il progetto pare guardare al passato, a suoni sulfurei e rarefatti di un progressive anni settanta, a tratti mefitico e decisamente esoterico. Unitamente a ciò, c’è la volontà della band di attingere al doom e a sonorità più heavy, che per ambientazioni e suoni, portano alla mente i classici Black Sabbath. Pensiamo allora a Paul Chain, i sopra citati maestri del doom, Uriah Heep ed Emerson Lake and Palmer. Parliamo di un lato molto più oscuro e accigliato  rispetto al prog tastieristico degli ELP, ma è giusto per darvi un’idea in più dell’approccio del full-length.

Luca Togni è il perno attorno cui i brani si muovono, unitamente all’uso di un basso ricco di particolari e protagonista in più frangenti. La chitarra invece, resta decisamente in secondo piano, con un apporto minimale, come anche la ritmica, tesa più che altro a scandire tempi dilatati e  crescendo ovattati che ad altro. Due facce di una stessa medaglia, in cui convivono idee molto interessanti, ricche di “storia” musicale fatta di un connubio di intendimenti interessante, e qualcosa di più debole e raffazzonato. 

Raggomitolati in un angolo gli artisti ci disegnano qualcosa, ma non riusciamo a capirne la genialità in tutta la sua pienezza. Tutta questa timidezza la riscontriamo più che altro nella chitarra, non adeguatamente sostenuta a livello di produzione, debolezza che via via fa sì che il disco perda di incisività. Non mettiamo in dubbio la genuinità ed autenticità del progetto, ma questa resa non fa che affievolire il disco e di conseguenza l’interesse dell’ascoltatore. Troviamo originale invece il tratto marcatamente prog delle tastiere, abbinato ad una più robusta voce di stampo metal. Pensiamo che la voglia di rendere più evanescente la chitarra, sia un compromesso per non  attualizzare il sound, ed a conti fatti, i Qaanaaq ci riescono perfettamente; il prezzo però è troppo alto.

Al di là di valutazioni strettamente personali, l’album ci convince solo in parte, augurandoci di rivederli in futuro più attenti al discorso sonoro. La passione e la personalità ci sono, manca qualche pezzo però per completare il puzzle.

Stefano “Thiess” Santamaria

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