Recensione: Fear Inoculum

Di Gianluca Fontanesi - 2 Settembre 2019 - 0:01
Fear Inoculum
Band: Tool
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2019
Nazione:
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80

Nel 1952 Samuel Beckett l’aveva previsto. Aspettando Godot era quella che oggi chiameremmo una trollata o, in un altro senso, un creare hype in maniera iperbolica. La storia dei Tool degli ultimi tredici anni ha un po’ applicato questo copione, un po’ se ne è sbattuta dei fan e dell’industria musicale e un po’ ha giocato al bastone e alla carota finendo per sconsolare praticamente tutti. In questa novella però Godot fa la sua comparsa, l’attesa ha una fine e Fear Inoculum vede finalmente la luce. Noi italiani abbiamo accolto la notizia semplicemente togliendo una “o” al titolo, realizzando in seguito che non sarebbe stata una becera trovata pubblicitaria ma un disco vero e proprio. Dove avevamo interrotto il discorso discografico dei Tool?

10.000 Days uscì il 2 maggio del 2006 ed erano tempi diversi. Erano tempi dove andavano di moda i thriller esoterici, Il Codice Da Vinci e Fibonacci; erano meravigliosi tempi calcistici che andavano dal grandioso autogoal di Materazzi ad Empoli passando per Calciopoli fino alla vittoria del mondiale dell’Italia a casa dei tedeschi e po po po po po; erano tempi in cui la gente era più rilassata e ancora non andava sui social network a vomitare inutilmente tutto il suo male di vivere; erano tempi in cui il bidello faceva il bidello, il becchino faceva il becchino, il medico faceva il medico, l’immunologo faceva l’immunologo e l’ignorante non aveva voce in capitolo; erano tempi in cui un disco dei Tool era necessario perché erano tempi in cui la musica ancora la si ascoltava.

Oggi è tutto un bel sentire, le svariate piattaforme come Spotify creano dei grandi fruitori di tutto ma possessori del nulla. La musica è un valore effimero che deve essere velocissimo come le nostre vite, facilmente assimilabile per menti sovrastimolate e commentatori online sempre sul pezzo come degli squali assetati di sangue. La cultura artistica fa tabula rasa come Enola Gay su Hiroshima, si ciba delle novità come un piranha e non lascia neanche le ossa, creando così vuoti incolmabili in cui le potenziali grandi opere vengono risucchiate e dimenticate nell’arco di pochi giorni. Non c’è più il tempo per l’assimilazione, la catena di montaggio impone di sentire, sentire, sentire e produrre output su output di giudizi di cui formalmente importa nulla a nessuno, ma il singolo trova ragione di vivere nell’esserci e nell’illusione di sentirsi importante. C’è posto per i Tool in tutto questo?

Poco prima del lancio dei pre ordini di Fear Inoculum i brani dei Tool furono caricarti in tutte le piattaforme digitali possibili e immaginabili e, sinceramente, la paura di un calo totale di braghe in favore di minutaggi più striminziti e sintetici era grossa; poi, la svolta. Come detto da Adam Jones in alcune interviste, il sette è un numero parecchio ricorrente nel disco e nella stesura dei brani, e sette sono le tracce della tracklist su disco per praticamente ottanta minuti di musica. La versione digitale invece supera gli ottantacinque minuti e offre tre intermezzi in più. Per quel che riguarda la versione fisica del disco, ad oggi, viene superata e stravolta ogni logica di mercato servendo un’unica edizione limitata in cd alla modica cifra di ottanta Euro. Il cofanetto contiene il disco, il codice per scaricare la versione digitale, uno schermo integrato a quattro pollici ricaricabile con casse e cavo usb. Sono precaricati più o meno sette minuti di video che concettualmente legano 10.000 Days e Lateralus a quest’ultimo nato e offrono un valore aggiunto spettacolare che, finalmente, torna a dare importanza all’oggetto e all’acquisto della versione fisica di un’opera. Ad oggi sappiamo che uscirà una versione in vinile e non è ancora chiaro se Fear Inoculum verrà stampato in versioni più economiche. Piede in due scarpe quindi per i Tool: apriamo alla nuova era ma alle nostre condizioni.

Fear Inoculum non è un disco per occasionali, quindi, se lo siete, lasciate ogni speranza voi che entrate.

Il disco ci serve subito la title track con nonchalanche, brano che era stato offerto come singolo accompagnato da oltre 10 minuti di calcio nelle chiappe radiofonico. E’ un brano non molto complesso, che si basa su una progressione di 4 accordi e dilata, sale e scende in maniera magistrale. Cresce con gli ascolti e, pur non essendo The Grudge o Vicarious, fa la sua ottima figura. La voce di Maynard è onirica, il basso di Justin inconfondibile, la batteria di Danny sempre ad altissimi livelli e la chitarra di Adam accompagna benissimo. I suoni sono bilanciati, l’entusiasmo è parecchio e i Tool non si fanno di certo pregare; la seguente Pneuma è un capolavoro, il brano migliore dell’ album e di certo avrà un posto fisso nei futuri live della band americana. Grandi riff di chitarra, grandi linee vocali, qui c’è proprio tutto e di più; si parte in sordina per arrivare a cantare con Maynard lo splendido ritornello praticamente al primo ascolto. La fase con gli accordi aperti è quasi doom e offre una chitarra graffiante e abrasiva, mentre il ponte alza ulteriormente il livello del brano portandolo al parossismo e a goderecci richiami agli anni ’70, con un assolo che appare quasi improvvisato ed è bellissimo. Fear Inoculum appare come un disco meno matematico, più suonato e con maggior risalto dato alla spontaneità e alla psichedelia. La cosa funziona molto bene e nei brani crea la giusta escalation.

Il primo dei quattro intermezzi, Litanie Contre La Peur, non serve a nulla come gli altri tre ed è perfettamente anonimo e avulso dal contesto; Invincible invece è di ben altra pasta. Il riff di Adam è ipnotico e si protrae in solitaria fino all’arrivo di Maynard e degli altri. Strutturalmente parliamo sempre di brani che ci mettono tempo ad ingranare e probabilmente è una cosa voluta; il sodo lo si raggiunge sempre dopo la metà e, in ogni caso, il preparare il territorio è necessario. Qui Maynard avrebbe potuto fare meglio sul ritornello che, non ce ne voglia, è fin troppo “semplice”  anche se fruibilissimo. Verso la fine la situazione s’incupisce, la chitarra di Adam da sola assieme alla voce robotica di Maynard offrono un momento pregevole e che crea un’incursione nel progressive metal prima di riprendere coi temi portanti fino alla chiusura. Legion Inoculant è un secondo boh mentre Descending è un ottimo brano. L’incipit è sempre dato da Adam e sono molti i parallelismi con gli A Perfect Circle specialmente per quanto riguarda le linee vocali. Anche qui il brano è un diesel ed è giocato sui crescendo: la prima parte è più soffusa e sognante mentre la seconda esplode e dà il meglio di sé. Ottimo il solo di Adam e ottimo il finale tutto strumentale su tinte più oscure, con Maynard che dal vivo andrà a prendere un caffè con James LaBrie, che sarà al bar dalla sera prima aspettando che Petrucci finisca gli assoli di un concerto in una città limitrofa.

Culling Voices a nostro avviso è l’anello debole del disco: parliamo di un brano che per 6 minuti su 10 risente della mancanza della sezione ritmica e la linea vocale depressive andante non aiuta. Justin e Danny entrano poi in maniera timida e senza offrire quel cambio di marcia che la canzone richiederebbe. Ci si aspetta un qualcosa che non arriva, e la parte con accordi aperti è solo una rabbia fittizia, quasi artefatta, che avrebbe goduto di maggior sviluppo e fortuna. Chocolate Chip Trip è l’unico intermezzo presente sulla versione fisica di Fear Inoculum e anche qui subentra un grosso punto di domanda. La traccia consiste in un loop di quattro note di synth o tastiera francamente fastidiosissimo e di un solo di batteria di Danny che ancora non siamo riusciti ad interpretare. La domanda a questo punto sorge spontanea: invece di quattro intermezzi  utili come un due a briscola, non sarebbe stato meglio comporre un altro brano?

La lunghissima 7empest è posta in conclusione dell’opera ed è introdotta dal meraviglioso arpeggio di Robert Fripp; quando poi arriva Adrian Belew… Scusate, riavvolgiamo, ma prima provate a sentire Frame By Frame dei King Crimson.

Rewind.

La lunghissima 7empest è posta in conclusione dell’opera ed è introdotta dal meraviglioso arpeggio di Adam Jones, che presto distorce il tutto e lancia i Tool verso il secondo pezzo da 90 del disco. Maynard appare qui molto più ispirato e deciso e il mood del brano ne trae giovamento; qui c’è spazio per tutti e si arriva anche a suonare in maniera pesante e con grande sfoggio di tecnica e orpelli vari. Nei suoi sedici minuti di durata succede di tutto ed è un brano di grande respiro, che dal vivo strapperà applausi scroscianti e congedi con lanci di rose. Gli umori salgono, scendono e mutano come il carattere di un meteoropatico e la dimensione jam session prevale sulla quadratura pura a cui eravamo stati abituati dai Tool finora; c’è anche spazio per l’headbanging, per il sudore e per un secondo caffè di Maynard in compagnia di LaBrie che ormai è passato ai superalcolici dalla disperazione. Negli ultimi cinque minuti sembra di ascoltare i Meshuggah, poi la calma dopo la tempesta e l’accoppiata FrippJones viene sovrastata da Maynard in un turbinio di emozioni in perfetto oscillare tra il vecchio e il nuovo.

La copia fisica finisce qua, mentre quella digitale ha ancora Mocking Beat come freccia da scoccare che, invece di centrare il bersaglio, si infilza in un sacco di patate del negozio ortofrutticolo vicino provocando un colpo apoplettico alla vecchietta che le stava accuratamente selezionando per accompagnare l’arrosto del suo pollo di nome Cerbero, morto anch’esso di apoplettico colpo.

Dunque. Prima di approcciarvi a Fear Inoculum, prima di entrare in Fear Inoculum e prima di giudicare Fear Inoculum fatevi una domanda: siete ancora in grado di approcciarvi ai Tool? Possono ancora entrare nell’ordine delle cose anacronismi come brani da un quarto d’ora, fiere di tempi dispari, poliritmie, lentezza all’approccio e fruizioni al contrario? Siete ancora disposti ad ascoltare invece che sentire? Riuscite ancora a tornare ai periodi storici in cui la musica non era usa e getta? Adam, Maynard, Justin e Danny sono tornati in maniera più che dignitosa e fugando i presagi negativi che una qualsiasi opera potesse avere dopo tredici anni di totale silenzio in studio. Il nuovo disco dei Tool è imperfetto ma è assolutamente il disco che avrebbero dovuto fare; sicuramente dividerà, ci saranno quelli a cui non andrà bene nulla, quelli che grideranno al miracolo tirando fuori il quarto segreto di Fatima e quelli che si collocheranno nel mezzo, come noi. In questi casi, e per opere così complesse e di ampio respiro, il voto non va preso come una sentenza ma come una linea guida, che solo il tempo o Alessandro Borghese potranno in futuro confermare o ribaltare. Sarà anche il tempo a fare i dovuti esami proctologici e numerologici, sarà appurato successivamente se i brani conterranno o no sequenze numeriche particolari o la colonna sonora di Mary Poppins al contrario col resto di 2 insieme a 44 gatti; quello che per adesso a noi resta è un grandissimo disco, che ha come pecca il non creare nuovi universi  e il non spostare l’asticella verso nuovi orizzonti. Fear Inoculum è semplicemente un disco dei Tool e basta, e di questi tempi è tanta roba.

Fear Inoculum esce il 30 agosto 2019 e sono tempi diversi. Sono tempi in cui vanno di moda i thriller domestici, le storie stucchevoli, lo strappalacrime da due soldi e dall’empatia melensa; sono cupi tempi calcistici che vedono in Italia un campionato in declino e l’egemonia della Juventus con una nazionale dal peso politico e sportivo nullo e in ricostruzione; sono tempi in cui la gente è incarognita con qualsiasi cosa, il prossimo, il presente, il diverso, il passato e il futuro ed esprime sui social network tutto il suo male di vivere; sono tempi in cui il bidello fa il becchino, il becchino fa il medico, il medico fa il bidello perché la gente tanto ormai si informa e l’immunologo è senza lavoro perché l’ignorante l’ha sostituito e ha più credibilità; sono tempi in cui un disco dei Tool è ancora necessario perché la musica bisogna tornare ad ascoltarla invece di sentirla e dobbiamo tutti fare un passo indietro.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. (Inferno, Canto XXVI)

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