Recensione: Fiction

Di Riccardo Angelini - 1 Giugno 2007 - 0:00
Fiction
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Anno: 2007
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81

Potente, melodico, moderno, aggressivo, accattivante. Paradossale. Di gente capace di scrivere un disco come “Fiction” ce n’è poca in giro. Ma tra tutti, perché proprio i Dark Tranquillity?

Non avranno inventato un genere, ma hanno contribuito a fissarne i canoni. Hanno aperto nuove vie quando le moltitudini si limitavano a imitare. Loro, i Dark Tranquillity, hanno forgiato opere immortali, monumenti destinati a sopravvivere negli anni come esempio imperituro per intere generazioni. Poi, all’improvviso, l’artigiano ha accantonato tutti i suoi progetti più avveniristici. Ha recuperato il proprio canone e si è imposto di ripeterlo e riproporlo, rivedendone i dettagli, limando le imperfezioni, smussando le spigolature. “Haven”, “Damage Done”, “Character”. Da mani tanto esperte, non c’era da aspettarsi nulla di meno. Ma dov’è finita la voglia di osare, di andare oltre? Dove il furore poetico di “The Gallery”? Dove l’audacia visionaria di “Projector”?
In apprenza perduta. Per questo chi sperava di trovare in “Fiction” il riscatto del genio represso, chi si attendeva un colpo di coda fuori da ogni schema, non potrà nascondere una certa delusione. Eppure…

Eppure, sebbene riproponga una formula ormai arcinota, “Fiction” rimane un grande album. Ancora una volta, i Dark Tranquillity restano i migliori imitatori di se stessi. Lo dimostrano fin da subito, grazie a un trittico iniziale da infarto. “Nothing to No One” apre le ostilità con un drumming bellicoso, degno dei migliori Amon Amarth. Ma ben presto il terremoto si placa per lasciare spazio a una cavalcata fulminea e roboante, sapientemente interrotta da un refrain asciutto, marziale, esaltato da un sontuoso tappeto di tastiere. Ancora meglio “The Lesser Faith”, pressoché impeccabile da ogni punto di vista: riffing, drumming, intrecci di chitarre e keys, senza trascurare la prestazione eccelsa del solito inossidabile Stanne al microfono – una miscela di violenza e melodia ai confini della perfezione. Completamente diverso l’approccio di “Terminus (Where Death Is Most Alive)”, che vede un riffing secco e spietato lacerare i circuiti elettronici di una melodia sfacciatamente ruffiana. Da non perdere il video dedicato al brano – sicuramente una delle trovate più originali di tutto l’album.

Originalità che, come ampiamente anticipato, trova ahimé poco spazio nel corso della tracklist. Così, mentre le casse sputano le note infuocate della scatenata “Blind at Heart” e della solenne “Icipher” , ci si chiede come possa una band come questa accontentarsi di pezzi buoni, ottimi anche, che da soli farebbero la fortuna di molti apprendisti imitatori, ma tanto maledettamente canonici. Il lampo di speranza, il faro provvidenzialmente rivolto verso nuovi orizzonti si chiama “Inside the Particle Storm”, occhio di un ciclone che sradica i ponti agganciati al passato scaraventandoli in un futuro informe e allucinato, come in una visione maestosa e terribile insieme. Almeno in apparenza.
Sì, perché già la successiva “Empty Me” ritorna a cavalcare sui ben noti sentieri della tradizione, certamente affidabili ma altresì avari di sorprese. Mano a mano che la fine si avvicina la melodia inizia a prendere il sopravvento sulla violenza sonora. Ecco dunque le ben note, straordinarie clean vocals di Stanne protendersi a riempire i silenzi dell’accattivante “Misery’s Crown” – peccato per il banalissimo refrain, che la relega un paio di gradini sotto una “ThereIn” qualsiasi – o congiungersi con l’eterea voce di Nell Sigland (novella Theatre of Tragedy) nella sognante “The Mundane and the Magic”, ultimo highlight dell’album. A separare le due, l’anonimo singolo “Focus Shift”, per chi scrive il punto più basso dell’album – ineccepibile sotto il profilo formale ma privo tanto di originalità quanto di mordente. Eccezione che conferma la regola in una scaletta pressoché priva di punti deboli.

Ecco dunque “Fiction”, disco grandioso, disco da numeri uno. Disco capace di crescere esponenzialmente al passare degli ascolti, rivelando a poco a poco il valore di ciascuna delle sue tracce, progettate e assemblate dalla mano di un autentico maestro. “Perché proprio i Dark Tranquillity?”, ci si era chiesti. La risposta è invero semplice: perché per comporre un disco del genere bisogna essere maestri. Dando ai fan esattamente quello che volevano, complice la qualità impressionante delle composizioni, i Dark Tranquillity si sono assicurati il loro incondizionato consenso. Per qualcuno questo sarà il disco definitivo, per molti un capolavoro. Tuttavia, chi ha in mente i vecchi Dark Tranquillity, chi ricorda quello che hanno saputo fare, le loro scommesse vinte – soprattutto, chi è conscio quello che potrebbero fare, non potrà che rivelare un’ombra di rammarico nel sorriso con cui accoglierà “Fiction”. Per quello che avrebbe potuto essere, per quello che non è voluto diventare.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. Nothing to No One
2. The Lesser Faith
3. Terminus (Where Death Is Most Alive)
4. Blind at Heart
5. Icipher
6. Inside the Particle Storm
7. Empty Me
8. Misery’s Crown
9. Focus Shift
10. The Mundane & the Magic

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