Recensione: For All Kings

Di Andrea Poletti - 25 Febbraio 2016 - 0:01
For All Kings
Band: Anthrax
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2016
Nazione:
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65

Scott Ian in merito al titolo dell’album: 

“Il significato che personalmente attribuisco a questo titolo è che tutti possono essere un Re. Tutti possono avere il controllo sulla propria vita, il controllo sul loro destino crescendo mentre si diventa un essere umano responsabilizzato. Non sto necessariamente dicendo che essere un “Re” è sinonimo di comando verso qualcosa e/o qualcuno ma più semplicemente essere il Re di se stessi verso se stessi, nulla più. Assumersi le proprie responsabilità il coraggio di affrontare ciò che la vita ti propone è fondamentalmente; questo è il vero significato per me.”

PRELUDIO

Gli Anthrax sono passati attraverso mode, generazioni, tecnologie e involuzioni-rivoluzioni sociali, decadi di avvenimenti che li hanno portati sino all’undicesimo album in studio alla soglia dei 35 anni di attività denominato For All Kings. Sappiamo tutti dell’abbandono di Rob Caggiano, a favore dei Volbeat che teoricamente “vendono di più”, con il conseguente arrivo in pianta stabile del promettente Jon Donais; sappiamo sopra ogni cosa come questo nuovo capitolo della lunghissima discografia dei nostri ha un valore speciale. Due lati della medaglia dove nella parta buona troviamo ipoteticamente la conferma del benessere del gruppo degli ultimi anni; nel lato oscuro il simbolo dell’eventuale tracollo definitivo senza arte ne parte. Come succede spesso per album con nomi di grande calibro il gusto personale prende erroneamente il sopravvento, bisognerebbe invece guardare ogni aspetto e trarre conclusioni obiettive senza lasciare trasparire la passione che ci guida verso questo o quel monicker. Una brevissima introduzione perché è della musica che dobbiamo parlare, ma dobbiamo farlo attraverso i miei occhi, i tuoi, i suoi, quelli del tuo peggiore nemico e di chi nemmeno sappiamo che esisita. Ci ritroviamo al capitolo finale per una somma del tutto.

TOLLERANZA ZERO: Li considero morti al primo album, Fistful of Metal del 1984.

ALZHEIMER: Gli Anthrax meritano il cimitero e non ha senso che pubblichino un nuovo album, a cosa servono? Chi li ascolta più? Mi ricordo di Caught in a Mosh ma è roba commerciale e non si intona col chiodo borchiato. Perché poi la gente sta dietro ancora a certe band inutili oggi? Ma poi si sono sciolti?

DIPLOMATICO: Sì, si sono ripresi un pochino con Worship Music dopo il disastro precedente ma ammetto che al terzo ascolto non avevo più interesse, non vi trovavo un perchè dell’esistenza quel platter. In fin dei conti che vuoi mai che riescano a combinare questi? Gli Exodus han fatto un album notevole da poco, i Megadeth han spaccato con l’ultimo e gli Slayer continuano a rimanere fedeli al proprio credo. Gli Antrhax seguono troppo le mode, ho sentito il singolo (Evil Twin ispirato ai fatti di Charlie Hebdo a Parigi) e anche se buono lo trovo troppo radiofonico, proverò a dargli una ascoltata ma non credo che alla fine lo comprerò, preferisco ritornare agli anni 80 dove c’era ancora qualcosa da dire.

CONCRETO: Non è male, ha degli spunti interessanti, delle canzoni come Monster at the End, la Titletrack, Evil Twin e la finale Zero Tollerance che prendono e ti fanno fare headbanging facendosi ascoltare più volte senza annoiare. Sono in forma e anche Belladonna sembra aver ripreso il feeling dei vecchi tempi con un ottimo cantato. Si sente che è più a suo agio in questo album rispetto al precedente, su questo non v’è ombra di dubbio. Certamente non sono più la band che conoscevamo un tempo ma bisogna farsene una ragione, o si tentano nuove sperimentazioni e avventure compositive oppure non se ne cava un ragno dal buco. Ascolterò con piacere ma non forzatemi.

METICOLOSO: Possiamo notare nelle tracce più radiofoniche un cospicuo aumento della resa sonora da parte del gruppo, che han nettamente migliorato la propria alchimia riuscendo a trovare una quadratura del cerchio precedentemente non riscontrata su Worship Music. La produzione potrebbe essere più organica e meno patinata ma sostanzialmente si allinea ai trend in voga negli US, dove la pulizia e il doveroso passaggio radiofonico, sono in grado di far implementare le vendite. Peccato però trovare in mezzo ad alcuni brani ottimamente riusciti (This Battle Choose Us, All of Them Thieves e Monster at the End) intervallarsi dei fillers poco prodotti e di difficile appiglio (Blood Eagle Wings e Defend Avenge); come se avessero voluto la botte piena e la moglie ubriaca, portando sia ventate di un trade mark dell’epoca oramai straconosciuto che idee per quello che dovrebbe diventare il nuovo percorso della band. Bravi ma probabilmente un pizzico di personalità in più e qualche idea meno riciclata avrebbero giovato maggiormente al risultato finale.

ALLEGRO ANDANTE: Non me l’aspettavo da loro un disco di questo calibro, non credevo nemmeno fosse possibile riuscire da parte loro concepire tracce di una presa tale e con un un livello di esperienza riscontrabile sin dai primi ascolti. Basta interfacciarsi con le fantastiche This Battle Choose Us, Breathing Lightning e Suzerain per comprendere quanta ispirazione ci sia in questi brani, trovo un ottimo risultato che riesce a riportarli fuori dalla fanghiglia in cui si erano intrappolati sino a We Came For You All, si vede proprio proprio che l’empatia tra i membri storici non si è affievolita, bravi.

FANATICO: Ci sarà un motivo per cui li ho tatuati sul petto e mio figlio si chiama Scott-Ian Bustazzoni ovviamente. Questi ragazzi non sbagliano un colpo, per me meglio di quanto potessi mai immaginare, credo che comprerò l’edizione in pelo di cincillà con allegato il trimestrale sulla potatura delle piante del giardino sulla fisionomia dei membri del gruppo. Cosa pretendi di più oggi, questo è il metal gente!

REALISTA: Album che può essere inserito alla perfezione nella discografia senza alcuna vergogna, ovviamente non porterà grandi rivoluzioni nel mercato moderno e chi non li ha accettati in precedenza avrà serie difficoltà anche oggi. Gli altri che riescono a comprendere quanto gli Anthrax siano in grado di far parlare di sè, attraverso album discreti senza mai peccare realmente, riusciranno ad entrare in questa nuova visione. Ottimi spunti con diversi fillers che non vanno però a togliere la bontà di questo For All Kings. Se rimaniamo fossilizzati ad un arcaico passato non proseguiremo mai e in questo caso la band ha dimostrato di riuscire a dire la sua, a suo modo, con i suoi mezzi odierni senza farsi ridere dietro, a differenza di altre realtà. Ottima la prova dei singoli, anche se l’ingresso di Donais non ha portato quella ventata di freschezza tutti ci aspettavamo; sicuramente se ne parlerà a lungo di questo album, ma gridare al miracolo è probabilmente sintomo di poca obiettività. Promossi senza lode.

EPILOGO

Assumersi le proprie responsabilità, sapere che ognuno di noi è artefice del proprio destino; questo è il concetto alla base di For all Kings. Molti lo dimenticano ma non la Band di New York, autrice di un disco che seppur standard, in certi momenti notevolmente sotto tono e con riempitivi non indifferenti riesce a modo suo a rimanere a galla, pubblicando tracce che senza dubbio riusciranno in sede live ad infiammare gli spiriti dei presenti. Se non vi sono mai piaciuti in passato, questo potrebbe essere il momento propizio per offrirgli una possibilità, se invece adorate i vecchi Anthrax, questo di certo non fa per voi. Meno bene dei due “Big Four” usciti recentemente ma non per questo da scartare a priori perché una possibilità la merita senza batter ciglio. Almeno, evitando di guardarsi intorno lascinadosi eventualmente influenzare dagli esterni, questi signori hanno preso il loro destino per le mani diventando Re, senza mai tramutarsi in giullari.

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