Recensione: Four by Four

Di Marco Giono - 25 Settembre 2015 - 2:30
Four by Four
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Non sono cose che decidi a tavolino. Sono cose che non decidi affatto. Aspetti, fai altro per ingannare il tempo, svolti l’ennesimo angolo e aspetti, di nuovo. A quel furfante di Godot gli hanno dato l’ergastolo e tu ad aspettare. Però si tratta solo di cicli, avete in mente quel film della band degli ex. Presidenti…ok, c’era Keanu Reeves, figo eh? Ma non divaghiamo e cito a memoria da qualche parte nella pellicola: il mondo funziona a cicli. Due volte ogni secolo l’oceano ci ricorda quanto siamo veramente piccoli. Cercavo la mia onda e il segnale che un altro ciclo sarebbe iniziato. Così ero sul mio trespolo a farmi un burger quando alla tv vedo comparire quella canaglia, Axl Rose, uno che di Godot se ne fotte e anzi a dire il vero è lui che lo fa aspettare, non faccio tempo ad ascoltare la notizia che il barman mi passa un biglietto. Il burger mi va di traverso. Un teschio stilizzato e la scritta “alzati e cammina. I BB sono tornati. Nicke”. 

I Backyard Babies sono tornati! Mi verrebbe da saltare da un balcone ad un altro lungo un condominio di infiniti piani urlando la mia gioia, il mio gaudio. Sono tornatiiii! Deponete le armi, arrendetevi e ballate tutti con me. Nessuna crisi. Oggi siamo tutti ricchi e prosperi…Cari lettori, sento di essermi preso una buona fetta della vostra pazienza. Siete lì che aspettate fiduciosi una recensione onnisciente e questo farnetica manco si fosse fatto una di polvere della felicità (cit. Pollon, serie animata trasmessa nel 1984). Ricominciamo tutto da capo. 3…2…1…

I Backyard Babies sono tornati! Ve la siete cercata, non si può iniziare in altra maniera. Infatti di loro si sono perse le traccia sette anni fà, sette anni di stop, nessun album, nemmeno una telefonata. No, non esattamente. Nel 2010 dopo aver rilasciato due anni prima il loro album ononimo intraprendono il Them XX Tour per festeggiare il ventennale di attività (si sono formati nel 1989). Quando la festa è finita, però rimangono per terra le lattine, qualche corpo inerme rotolato dalle scale e in realtà alcune cose come al solito sono fuori posto, altre a posto non lo sono mai state. Si tratterebbe di fare pulizia e ripartire, ma il gruppo svedese decide che un ciclo è finito e bisogna tornare sulla strada polverosa e ingannare il tempo, guardarsi in giro e cercare l’onda giusta. 
Il contratto con la Gain Entertainment del gruppo Sony non è di certo una brutta cosa, ma probabilmente non è la causa del loro ritorno, semmai la conseguenza del loro nuovo inizio, di quel voler ripartire dalle proprie origini (come se fosse possibile fare diversamente) e rileggerle filtrandone con tutto ciò che hanno visto e sentito in questi anni di silenzio. 

Il nuovo album lo intitolano Four by Four, non tanto per metterci alla prova su questioni di matematica avanzata, quanto per ricordarci che l’energia scorre forte in loro quattro e infatti sono inevitabilmente sempre loro: alla voce Nicke Borge, alla batteria Peder Carlsson, alla chitarra Dregen e al basso Johan Blomqvist. Che si fa adesso? Punk’n roll!! 
La prima traccia “Th1rt3n or Nothing” esplode rolleggiante in un riff carico di dinamite, ricorda da vicino Slash in “World on Fire”, ma qui il mondo pare indeciso se prendere fuoco o danzare selvaggio su uno skateboard lanciato in un sali e scendi senza fine. Non ci resta che prendere fiato, ma sono attimi perché ci scontriamo con “I’m on my way to Save Your Rock’n Roll” in bilico tra un mood caotico alla Alice Cooper e una rilettura modernista dei TheBuzzcocks, filtrati infatti dai Green Day più aggressivi e dai Bad Religion in punk mode on. Un frullato energico che ci trascina in una festa di luci bianche. Il brano “White Light District” infatti è festa urlata che live piegherà i muri rimbalzando senza sosta in un vortice senza tempo.

Esausti ci sediamo su un divanetto che dimostra ormai più degli anni che ha effettivamente. Pausa.

Tempo per gustarci una power ballad dall’avvio acustico per poi deragliare (non troppo) in un distorsione e assolo all’ultimo bending. Stiamo ascoltando “Bloody Tears” che mi ricorda per mood e alcune soluzioni melodiche gli Ugly Kid Joe. Dai alziamoci, la festa mica è finita, no? E’ giunta l’ora di “Piracy” che si muove su un riff apparentemente scarabocchiato per poi indugiare scherzosamente in note blueseggianti, ne risulta un lifting che regala parecchi anni in meno ai Backyard Babies. Beffardi quei cori che aprono “Never Finish Anythi”, poi la voce di Borg si sdoppia, la batteria rulla strappando passaggi punk e melodie al limite dello sguaiato. Iniziamo però ad aver il fiato corto e con noi quelli della band cominciano a loro volta a segnare il passo. Si è fatto tardi. Così “Mirrors (Shall be broken)” stenta a funzionare come dovrebbe: hai l’impressione di sentire Liam Gallagher in versione punk, poco convincente a mio modo di vedere. Ultimi fuochi d’artificio per chiudere la festa a dovere con “Wasted Years” che sa di vinile, tanto da colorare cartoline in bianco e nero, viaggiando in un mood rollegiante verso la porta di uscita. Il cielo si colora di un’alba pallida, probabilmente offuscata dai residui alcolici di un party fin troppo riuscito. I Backyards chiudono con “Walls” barcollante su un giro di basso che scurisce le melodie e cela rabbia, forse vendette paranoiche. Così il finale quasi alla Dario Argento getta fosche nubi, interrogativi inquietanti sul reale esito del tempo appena trascorso assieme. Festa o farsa?

Il cielo immoto non restituisce risposte. Tempo invece di recuperare quel minimo di lucidità necessaria per analizzare Four by Four. Questo è un album dai bellissimi suoni che riescono a rendere dinamiche le canzoni, valorizzando la bravura dei Backyard Babies nel creare quella profondità necessaria a tessere trame di breve durata e solo all’apparenza semplici. Il risultato è anche dovuto alla sapiente mano di Jacob Hellner che precedentemente ha lavorato per i Ramstein, gli Apocalytica e i Clawfinger. Il ritorno sulla scena del gruppo svedese è segnato dal contratto con la Sony e in qualche modo le traccie di “Four by Four” si distinguono per melodie facili e dai toni giocosi. Siamo quindi lontani dalla ruvidità di Total 13, probabilmente uno dei migliori album della loro discografia. Tuttavia se l’album si riducesse a semplice esercizio melodico sarebbe da archiviare velocemente, invece ci troviamo davanti a dosi gargantuesche di energia, personalità come diluviasse e una bravura mai scontata negli arraggiamenti. I limiti di questo settimo lavoro dei Backyard si evidenziano in quella sensazione di deja-vu che deriva dai continui riferimenti a band del passato presente/presente, in un paio di brani più deboli rispetto alla media (“Walls” e “Mirrors (Shall be Brocken)”) e in un tono marcatamente giocoso che potrebbe non piacere agli assidui frequentatori della party svedese.

Ci troviamo al cospetto di un album decisamente buono che sono certo darà il meglio live dove l’energia e l’immediatezza dei brani irromperà a spazzare qualsiasi analisi onnisciente. Nel momento in cui ho dovuto sintetizzare in un voto quest’album mi è tornato in mente un famoso paradosso attribuito a Epimenide di Creta (VI sec. a.C.) che parafraserei così “Ogni frase di questa recensione è falsa.” 

 

MARCO GIONO

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