Recensione: Futility Report

Di Stefano Santamaria - 10 Giugno 2017 - 0:00
Futility Report
Band: White Ward
Etichetta:
Genere:
Anno: 2017
Nazione:
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82

Dopo una lunga serie di demo, ep e split a partire dal 2012, gli ucraini White Ward producono il loro primo full-length in studio. La band si fa portatrice di  un black metal alternativo, in cui spicca l’uso del sassofono in un contesto estremo, i cui toni e produzione comunque sono ben lontani dal classico approccio della nera fiamma. 

Jazz, post-rock ed effetti elettronici sono il compromesso a cui dovrete rassegnarvi se vorrete avvicinarvi a “Futility Report”. A spezzare tutto ciò irrompono suite di purissima sofferenza, malignità cantata che si intreccia con un sax accogliente e sontuosamente affascinante. Questo contrasto diventa lo specchio di un dualismo interiore fatto di classe, conturbanti ambientazioni e poi un nero ma patinato gorgo a turbinare all’improvviso. Brani suadenti, che poi si fanno via via lugubri. Facce di una stessa medaglia, i cui sguardi si volgono idealmente in direzioni opposte. 

Forse alcuni non apprezzeranno tale convivenza di intenti, il tepore del sassofono, un’interpretazione d’amore che si mesce con il gelido spirito del black. Da cime tempestose arriva il soffio di un male antico, contemplato però in un modo nuovo, ameno. 

Non c’è mai un totale lasciarsi andare alla mestizia, in tal senso una sorta di coerente prolungamento delle attitudini del sax, un’inusuale ospitalità che riconosciamo ai White Ward. Chiaramente tutto questo non verrà digerito dai più intransigenti, perché vedranno snaturata l’anima del filone. Il suggerimento è di mirare tutto ciò in un’ottica diversa, considerando quindi di non trovarvi realmente di fronte ad una realtà semplicemente estrema. 

Lo sforzo dovrete farlo anche voi, ma ci possiamo sbilanciare dicendovi che ne varrà la pena. L’ideale filo conduttore c’è, non ravvisiamo la semplice voglia di stupire o di legare forzatamente emozioni contrastanti. Tecnica, passione,  personalità ed angoscia per una band tutt’altro che banale ed in grado di mostrare come si possa concettualmente vedere il jazz ed il black in modo anticonformista. Debutto incoraggiante, il tempo ci dirà se abbiamo scommesso bene. 

Stefano “Thiess” Santamaria

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