Recensione: Grindcore

Di Giuseppe Casafina - 24 Aprile 2015 - 12:19
Grindcore
Band: Unrest
Etichetta:
Genere: Grindcore 
Anno: 2015
Nazione:
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82

Diciamocelo subito: a volte, quando ti capitano tra le mani dischi con un titolo così fantasioso, s’incappa in situazioni ben poco piacevoli. Perché intitolare un disco con il nome del genere in esso contenuto significa due cose: opzione A, hai pubblicato un manifesto per quel preciso genere, e in tal caso porgo tanto di cappello dinanzi a cotanti attributi; opzione B, forse hai qualche problema con la creatività e dato che si parla di dare un nome a una tua opera d’arte, direi che forse faresti meglio a cambiare passione dandoti al giardinaggio.

Nel caso degli Unrest, per fortuna, siamo ampiamente nei ranghi della prima opzione, per nostro sollievo morale e per beata estasi dei nostri padiglioni desiderosi di suono sparato a mille, che con questo platter di sicuro avranno di che godere.

Gli Unrest sono una formazione americana che suona… indovinate un po’… esatto… taa-daa, grindcore! Un grindcore, a detta della stessa band, pesantemente ispirato dai Nasum e dalla dipartita definitiva di questi ultimi, causa morte del loro leader. Il platter si pone sin dal primo momento, sin dal titolo, sin dalla copertina, come un vero e proprio inno al rumore, quel rumore sporco e graffiante che nacque negli anni ’80 tramite l’operato di Repulsion e Napalm Death, che a loro volta miscelarono la rabbia sociale dei Discharge alla furia cieca del thrash più estremo ascoltabile in quelli anni dando così vita a quel suono che si chiamava, appunto… sì insomma, come questo disco, inutile girarci intorno!

Perché è inutile un qualsiasi tipo di presentazione: stiamo parlando del genere più rumoroso e meno liricamente elaborato per eccellenza (non nel senso di banale, sia chiaro), dove però a cotanta pochezza di elaborazione lirica vi si ritrova sempre un impegno sociale tirato all’estremo, estremo quanto la furia strumentalmente minimale adoperata per portare avanti tali messaggi. Il power-trio dà particolare enfasi a tutto quello che, appunto, è stato descritto finora e questa enfasi risulta talmente riuscita che in suo onore vorresti terminarne la recensione in un paio di righe, nello stile di un qualsiasi buon pezzo grind!

Analizzando il lavoro la prima cosa che salta all’orecchio è la produzione. Semplicemente perfetta per un disco del genere (grezza e chiara allo stesso tempo) e ciò dona, ai dodici pezzi contenuti in esso, un feeling onorevolmente vissuto: strutturalmente, fatta eccezione per un paio di episodi, abbiamo a che fare con brani brevi e furiosi come da tradizione, spesso ricchi di quei cambi di tempo che rappresentano l’antitesi assoluta dell’eleganza progressive dove si decide unicamente se friggere o grigliare le orecchie dell’ascoltatore, e mai massaggiarle con rilassati cambi di atmosfera.

Qui la furia incombe. Che dura solo venticinque minuti. Meno di “Reign In Blood”, addirittura.

Meno di mezz’ora dove riff incisivi come proiettili e cambi di tempo rozzi e martellanti sapientemente alternati si susseguono senza sosta rendendo questo breve periodo di ascolto all’insegna dell’estasi sonora più annichilente assolutamente godibile, dall’inizio sino alla fine. Si dà inizio alle danze con una fucilata della durata di poche decine di secondi, “We’re Calling You Out” e si termina con l’hardcore ‘straight in your face’ di “Drown”.

“Grindcore” è la sintesi ed estasi perfetta in versione 2015 di questo genere, la potenza decisa e bastarda del muro di caos sonoro sprigionata dai nostri eroi è, in ogni brano, semplicemente impressionante. Ed è davvero difficile trovare il brano migliore perché il disco mostra i muscoli fino al suo ultimo secondo di esistenza musicale. Intendiamoci, rispetto a pietre miliari come “Scum” e compagnia anarcoide di cui gli stessi Nasum (la cui influenza si erge prepotentemente sulle tracce come un ammaliante fantasma senza per questo mai portare il suono dei nostri nei ranghi delle band fotocopia) ne fecero a loro tempo ampiamente parte, non vi è nulla di nuovo sotto il sole ma con un titolo del genere di certo non ci si voleva porre questo obiettivo!

“Grindcore” ha il merito non indifferente di rappresentare una boccata di purezza all’interno del suo genere, essendo capace di dimostrare al mondo come sia possibile essere convincenti rimanendo appunto puri, senza quindi ficcare a forza nel contesto della roba poco affine con la sola pretesa di voler mostrare a tutti i costi al pubblico di essere originali (tipo le derivazioni jazz, ma queste sono altre storie). Quindi, lasciate spazio a questi nuovi maestri della rabbia incontaminata. Onore e supporto, in onore di coloro che riescono ancora a tenere alto quello stendardo raffigurante lo spirito della ribellione più estrema.

Per chi scrive, uno dei dischi dell’anno, semplicemente perfetto sia per i grindster incalliti che per i novizi del genere.

Giuseppe “Maelstrom” Casafina

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